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VERTICE SULL'ASIA

Fra Trump e Xi c'è di mezzo la Corea del Nord

Oggi è il gran giorno del primo incontro del presidente statunitense Donald Trump con la sua controparte cinese, Xi Jinping. Ma ora c’è un convitato di pietra, non invitato a Mar a Lago, ma ugualmente incombente: Kim Jong-un ha appena ordinato un test missilistico nord coreano, la sua ennesima minaccia.

Esteri 06_04_2017
Kim Jong-un

Oggi è il gran giorno del primo incontro del presidente statunitense Donald Trump con la sua controparte cinese, Xi Jinping. L’incontro avverrà a Mar a Lago, residenza di Trump. L’incontro è il più atteso di tutta l’agenda internazionale degli Stati Uniti, considerando che il commander in chief repubblicano, parla di Cina in modo pressoché ossessivo come avversario strategico nel Pacifico, concorrente sleale in affari, come regime che viola i diritti umani. Ma ora c’è un convitato di pietra, non invitato a Mar a Lago, ma ugualmente presente e incombente nelle discussioni: Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord. Con un tempismo degno di nota, ha effettuato un nuovo test missilistico, in violazione delle sanzioni.

Il regime eremita ha testato un missile balistico a medio raggio dal sito della costa orientale di Sinpo. Il missile è finito nel Mar del Giappone dopo 60 km di volo. La Corea del Nord era già al centro dell’attenzione da tutto l’anno. Questo test è il ventunesimo dal 1999, l’anno dell’inizio della moratoria sulle esercitazioni balistiche (ufficialmente accettata da Pyongyang) ed è il sesto nell’ultimo anno. I lanci procedono dunque con un’intensità senza precedenti. E a questi si devono aggiungere ben due test nucleari sotterranei (anche qui: un’intensità senza precedenti) in un anno. I due programmi sono strettamente correlati. I missili balistici a medio raggio nordcoreani, vista la loro scarsa precisione, possono essere più efficacemente impiegati come vettori di una testata nucleare. Non è affatto detto che la Corea del Nord si stia preparando a lanciare un apocalittico attacco suicida. Ma la pazienza della nuova amministrazione americana si è già esaurita. Almeno nel linguaggio.

“Se la Cina non contribuirà a risolvere la questione della Corea del Nord, lo faremo noi” – ha dichiarato Donald Trump al Financial Times. Alla domanda se pensa di riuscire a risolvere unilateralmente la questione, Trump ha risposto mostrando la sua consueta sicurezza: “Assolutamente”. Risposte franche, informali affidate al pubblico a mezzo stampa e a mezzo Twitter, come sempre nello stile del nuovo presidente. A suo avviso dovrebbero servire a preparare il terreno dell’incontro di oggi. Soprattutto non sono parole che nascono dal nulla. Seguono di appena una settimana, infatti, quelle del segretario di Stato Rex Tillerson che, in visita in Corea del Sud, ha dichiarato che “La pazienza strategica con la Corea del Nord è finita” e l’opzione di un “attacco preventivo” è anch’essa “sul tavolo” se il livello di minaccia dovesse innalzarsi ancora. Si tratta di segnali di forte discontinuità rispetto alla precedente amministrazione, che (pur non escludendo del tutto l’opzione militare), privilegiava la soluzione multilaterale, prima attraverso i “colloqui a sei” ospitati a Pechino e poi affidando sostanzialmente alla Cina il compito di tenere a bada il regime eremita suo alleato. Rex Tillerson ha anche ribadito l’impegno a difendere lo spazio aereo sudcoreano con l’installazione del sistema anti-missile Thaad. Altra mossa che potrebbe irritare la Cina, considerando che i Thaad coprono anche una parte dello spazio aereo cinese, soprattutto le aree della costa orientale che più interessano la nuova strategia navale di Pechino.

All’incontro di oggi, insomma, c’è tantissimo materiale scottante che potrebbe irritare Pechino. Il think tank Heritage Foundation, uno dei più influenti nella galassia conservatrice americana, invita a tener conto di alcune costanti nelle trattative sino-americane dell’ultimo mezzo secolo. “I cinesi ripongono molta attenzione al linguaggio usato in ogni incontro e in ogni dichiarazione” – si legge nell’analisi pre-incontro. Così come il fatto che: “i cinesi cercheranno di sfruttare la mancanza di esperienza degli alti esponenti del governo per avvantaggiarsi sull’amministrazione Trump”. Contrariamente agli incontri fra leader occidentali: “Mentre il presidente Trump pensa senza dubbio di avere un dialogo più produttivo con il presidente Xi ospitandolo nella sua casa di Mar a Lago, i cinesi, tradizionalmente, non si impegnano in discussioni ‘informali’. Infatti, nel 2013, il ‘summit in maniche di camicia’ fra il presidente Xi e Obama nella residenza di Annenberg ha probabilmente peggiorato le relazioni sino-americane. Il presidente Xi rifiutò anche di restare a Sunnylands, affermando che i cinesi non avrebbero potuto garantire la sua sicurezza informatica”.

I cinesi, ricorda ancora la Heritage: “Sono concentrati sul raggiungimento di alcuni obiettivi. Questi sono coerenti e comprendono la difesa dei loro interessi fondamentali: escludere gli Usa dal Mar Cinese Orientale e Meridionale, indurre gli Usa a interrompere il loro sostegno a Taiwan e, gradualmente, indebolire il sostegno Usa agli altri alleati regionali”. L’opposto speculare dell’agenda di Trump. Per questo oggi si potrebbero vedere scintille.