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PRIMARIE USA

Florida: vince Romney, anzi la Destra

Sommati, i voti ottenuti dai candidati conservatori superano quelli raccolti
dal moderato ex governatore del Massachusetts. Che dovrà pensarci.

Attualità 02_02_2012
Mitt Romney vincitore in Florida

 

Il 31 gennaio Mitt Romney ha vinto le primarie Repubblicane in Florida con il 46,42% dei suffragi espressi (pari a 774.942 voti), battendo il 31,93% di Newt Gingrich (533.038 voti), il 13,34% di Rick Santorum (222.774 voti) e il 7.01%% di Ron Paul (117.094 voti).

Nonostante qualche momento "caldo" in cui Gingrich è salito nei sondaggi fino a dare l’impressione di poter forse anche superare Romney, per l’ex governatore del Massachusetts si è di fatto trattato di una vittoria annunciata, la questione unica diventando quindi il determinare con quale margine rispetto al suo rivale, l’ex presidente della Camera federale. È questo il dato da cui ricavare qualche elemento di valutazione non solo contingente. Con una premessa importante, e cioè che lo scontro elettorale a quattro della Florida si è rapidamente ridotto alla semplice disfida Romney-Gingrich.

Nelle primarie Repubblicane del "Sunshine State", infatti, è quello maggioritario il criterio con cui ai concorrenti in gara vengono assegnati i delegati che li rappresenteranno alla Convenzione nazionale di partito incaricata, quest’anno in agosto, di selezionare il candidato presidenziale. Chi cioè in Florida ottiene il numero più alto di voti popolari, si aggiudica tutti i 50 delegati in palio. Non avendo, e con chiarezza sempre crescente, alcuna possibilità di insidiare, in quello Stato, le performance delle due teste di serie (Romney e Gingrich), né tantomeno di potere strappare loro almeno qualche delegato alla Convenzione agostana come invece avrebbe permesso una legge elettorale di tipo proporzionale, Santorum e Paul hanno di fatto abbandonato la partita anzitempo, preparandosi per le consultazioni successive.

Ciò detto, della vittoria (ampiamente) annunciata di Romney occorre appunto valutare con attenzione il distacco che lo distanzia da Gingrich. E che lo distanzia particolarmente lì, in Florida.
Oggettivamente, il vantaggio elettorale conseguito da Romney su Gingrich è molto ampio, e ciò ne comporta una vittoria nettissima. Ma questo significa che viceversa quella di Gingrich è stata una sconfitta altrettanto netta? Non parrebbe.
A conti fatti, l’esito delle primarie della Florida dice che Romney ha saputo guadagnarsi meno della metà dei cuori Repubblicani di quello Stato e che Gingrich ne ha invece conquistati più di un terzo. Diventa allora interessante provare a sondare chi ha votato chi. Cominciamo dal fondo.

Per Paul ha votato certamente un elettorato conservatore ma fortemente venato di quella cultura libertarian di cui il deputato del Texas non fa mistero. Si tratta di un richiamo forte a un modo del pensiero della Destra statunitense preciso e particolare, che l’assonanza dei termini non deve far confondere con il "libertarismo" etico. Per non sbagliare, è esatto dunque almeno dire che il Libertarianism è la quintessenza dell’antistatalismo (protesta contro burocrazie, spesa pubblica smodata, carichi fiscali immorali) e dell’"anti-imperialismo". Negli USA, questo pensiero ha storia lunga, radici antiche e pezze di appoggio non banali nell’ethos politico stesso del Paese, compresi i suoi documenti di fondazione. I "tassonomi" della storia della Destra statunitense, distinguono il libertarianism dal cosiddetto conservatorismo culturale e sociale sottolineando come in quest’ultimo contino soprattutto le questioni di natura morale e identitaria. Ma tale distinzione - esatta, e però un po’ "di scuola" - non deve generare l’errore d’immaginare il Libertarianism insensibile alle questioni culturali e sociali. Al contrario, quella libertarian è appunto una visione culturale forte; e proprio una figura come quella di Ron Paul testimonia che le questioni sociali e morali, per esempio l’opposizione cristallina all’aborto, sono bene al centro di tale filosofia.

Per Santorum ha votato una parte del conservatorismo culturale e sociale, quello che enfatizza la difesa dei "princìpi non negoziabili" pur non disgiunti dalla cogenza di altre questioni, dall’economia alla difesa anche militare. In questa categoria rientrano piuttosto facilmente pure i diversi quartieri della cosiddetta "Destra religiosa" (la "Christian Right"), che non è costituita esclusivamente dalla pur fondamentale componente evangelical, e la galassia dei "Tea Party" (quando poi le due categorie non si sovrappongono, cosa che peraltro accade più spesso di quanto si riesca a evincere da certe cronache).

Per Gingrich ha quindi votato un’altra parte di quello stesso conservatorismo culturale e sociale, fatto anche di "Destra religiosa" e di "Tea Party"; di quella constituency, per Gingrich ha votato una parte più ampia di quella che ha votato per Santorum.

Infine per Romney ha votato piuttosto compattamente tutta l’ala moderata dell’elettorato Repubblicano della Florida (benedetto anche dall’establishment nazionale del partito, sceso non solo apertamente in campo al suo fianco, ma pure smaccatamente contro Gingrich) più una certa parte della sua ala più conservatrice (magari convinta dall’endorsement di alcuni suoi testimonial politici, culturali e mediatici di fama e influenza).

Tiriamo le somme. Nell’elettorato Repubblicano della Florida, l’elemento conservatore ha la maggioranza numerica rispetto all’elemento moderato. Essendo però spalmato, per molti e vari motivi, su più candidati, rischia di non darlo a vedere come invece dovrebbe.
Certo, questo calcolo vale per la sola Florida, e l’incognita vera è se esso possa venire esteso all’intera geografica politica degli States. Epperò, su questo piano, un elemento importante di calibratura la Florida certamente lo offre.

Quello Stato, infatti, ha una storia antica di voto Democratico (epperò di quando i Democratici erano un partito più conservatore di quello che sono oggi, addirittura più dei Repubblicani di allora) e una recente di opzioni Repubblicane. Mediamente però di natura moderata.
Quando si è trovato a dover scegliere fra un Democratico e un Repubblicano non particolarmente in fama di conservatorismo (fa testo il famoso "pasticcio" del 2000, quando per la Casa Bianca si sfidarono il Democratico Al Gore e un George W. Bush jr. "preconservatore"), l’elettorato tutto della Florida si è diviso del resto a metà. Quello Stato conosce poi una forte presenza di votanti "ispanici" in gran numero di origine cubana, ma questo contribuisce di suo a indirizzare quella "minoranza etnica" più al Partito Repubblicano in quanto tale (che quella constituency preferisce di prassi ai Democratici) che non alle sue ali più conservatrici. E pure la composizione socio-economica della cittadinanza ivi residente fa sì che il favore medio si indirizzi certamente alle forze politiche "non ridistribuzioniste" (i Repubblicani), ma magari non altrettanto automaticamente - o non per tutti - verso le sue ali intransigenti anche sul piano morale. Bene inteso, i candidati intransigenti sul piano economico (o così presentati e percepiti) potrebbero non essere affatto "morbidi" nemmeno su quello etico; ma il bombardamento comunicativo che li definisce (a torto o ragione) "moderati", più l’appoggio esplicito dei maggiorenti del partito, spinge sicuramente la parte dell’elettorato sensibile anzitutto (anche se magari non soprattutto) al dato economico a indirizzarsi verso di loro, forse pure temendo, qualora scegliesse altri, "crociate" anche "simnpatiche" ma alla fine "invasive" per il mantenimento solo di un "diritto acquisito" di tipo economico.

Ora, se questo è vero, ciò significa che l’ala conservatrice del Partito Repubblicano ha la maggioranza in uno Stato dove il voto Repubblicano è sì diffuso ma moderato (e dove Romney ha potuto godere di un importante appoggio dalla comunità mormone locale, numericamente non enorme ma decisamente influente sul piano economico). E, stando che nell’Unione nordamericana vi sono Stati dove la media del voto Repubblicano è se non altro più conservatrice che in Florida, tale maggioranza di "Destra interna" è destinata a contare molto.

Immaginiamo adesso che Romney riesca alla fine a conquistare la nomination del suo partito, unendo ovunque voto moderato e parte del consenso conservatore. A quel punto, Romney con detta ala destra del mondo Repubblicano dovrà cominciare a fare positivamente i conti.
È questa una delle virtù del sistema delle primarie. Il voto Stato per Stato fa conquistare a un certo candidato la palma finale, avendo saputo coltivare bene il territorio e i suoi abitanti. Una volta però che ciò è avvenuto, l’elettorato che aveva scelto altri candidati va nuovamente riconquistato passo dopo passo, voto su voto, Stato per Stato. Alla Convenzione di partito che sceglie il candidato presidenziale finale, e a maggior ragione poi nell’ultima tranche delle presidenziali, non vige alcun criterio matematicamente proporzionale. Ma culturalmente, politicamente e propagandisticamente sì. Forse la Florida è l’inizio della vittoria finale di Romney; ma è degli sconfitti che da oggi l’ex governatore del Massachusetts mostra di non poter davvero fare a meno.

I dati forniti in questo articolo vengono aggiornati in base alla pubblicazione di quelli ufficiali

 

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