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IL DIBATTITO

Fine vita, arditi o trattare? La strada rischiosa della Cei

Su suicidio assistito ed eutanasia, le strategie possono essere solo due. Una consiste nel fare opposizione dura e netta, negandosi ad ogni forma di trattativa e chiedendo non dei ritocchi ma l’abrogazione della legge 217 del 2017 sul fine vita, che già contiene l’eutanasia. Una seconda strategia consiste invece nella trattativa, chiamata di solito dialogo. Si ascolta, ci si ascolta, si è contenti di essersi ascoltati. I vescovi hanno da tempo scartato la prima strategia e hanno fatto propria la seconda. Questo vuol dire già porsi sulla strada della trattativa: scambiare il mantenimento dell’aiuto al suicidio come reato in cambio di una riduzione di pena che diventerebbe talmente ridicola da porsi al limite della depenalizzazione. 

Editoriali 13_09_2019

Qual è la strategia dei vescovi italiani nei confronti di una imminente legislazione su suicidio assistito ed eutanasia, mentre le tenaglie della Corte costituzionale da un lato e di un Parlamento fortemente aperturista dall’altro si stanno chiudendo? Due giorni fa il cardinale Bassetti ha letto un ampio intervento su questi temi davanti alle associazioni del tavolo CEI per la vita e la famiglia. Ha ribadito in modo chiaro e incontrovertibile la dottrina della Chiesa alleata con la retta ragione: è moralmente e politicamente inammissibile una legge che contempli suicidio assistito ed eutanasia. Ha anche chiarito che non si tratta di due fattispecie diverse ma di un unico atto di uccisione di un innocente. Sulla dottrina, quindi, nessuno sconto.

Ribadire la dottrina è sempre importante, perché conferma i fedeli e implicitamente chiede coerenza a chi è impegnato su questi fronti, come è il caso dei parlamentari cattolici in questo momento. Ribadire la dottrina, però, non vuol dire automaticamente esprimere una strategia d’azione. Chi si aspettava dal cardinale Bassetti la conferma dei principi è stato esaudito. Anche se – bisogna osservare – se si acclama il pastore quando dice cose dottrinalmente scontate significa che si temeva il contrario e che si esce sollevati, il che è preoccupante. Ci si chiede: è stato esaudito anche chi attendeva una linea d’azione? Qui le cose si fanno più complesse. Il discorso del cardinale Bassetti affronta il tema della linea da seguire soprattutto nel paragrafo 3, che però non soddisfa del tutto.

Nella situazione in cui ci troviamo per quanto riguarda suicidio assistito ed eutanasia, le strategie possono essere solo due. Una consiste nel fare opposizione dura e netta, negandosi ad ogni forma di trattativa, non concedendo nulla perché i temi in questione non si prestano a contrattazione. Per fare questo bisogna avere una visione limpida delle cose, ardimento e voglia di combattere, disponibilità a mobilitare un popolo. Se ci si mette su questa strada bisogna non solo rifiutare l’ingiunzione delle Corte costituzionale, ma reagire con forza chiedendo non dei ritocchi ma l’abrogazione della legge 217 del 2017 sul fine vita, che già contiene l’eutanasia. Bisogna premere con i propri media e far scendere la gente in piazza. Bisogna occupare piazza Montecitorio. Se la partita verrà persa, questa mobilitazione resterà comunque per il futuro e preparerà nuove battaglie perché nel frattempo ha rinforzato le convinzioni ed esercitato i muscoli.

Una seconda strategia consiste invece nella trattativa, chiamata di solito dialogo. Si ascolta, ci si ascolta, si è contenti di essersi ascoltati come hanno dichiarato i vescovi francesi dopo il colloquio con Macron su temi simili, si confermano i principi, si chiede di togliere questo o di aggiungere quello nel testo di legge, ci si accontenta che almeno le cose non vadano peggio, si fanno concessioni al limite dell’accettazione della legge sbagliata. 

Secondo il mio debol parere i vescovi hanno da tempo scartato la prima strategia e hanno fatto propria la seconda. Questo fin da quando cercavano di scongiurare il Family Day. Anche la linea indicata dal cardinale Bassetti mi sembra questa, almeno a valutare il paragrafo 3 del suo discorso. Prima di tutto egli avalla la plausibilità della proposta di ridurre la pena per chi aiuti al suicidio il convivente, come proponeva il disegno di legge Pagano. Questo vuol dire già porsi sulla strada della trattativa: scambiare il mantenimento dell’aiuto al suicidio come reato in cambio di una riduzione di pena che diventerebbe talmente ridicola da porsi al limite della depenalizzazione. 

In secondo luogo il cardinale propone alcuni interventi legislativi di modifica della legge 217 (2017) sul fine vita, legge approvata con l’appoggio di molte associazioni cattoliche e il voto di deputati cattolici nel silenzio dei vescovi, i quali però ora chiedono coerenza. I punti della legge segnalati dal cardinale come bisognosi di cambiamento sono certo importanti, ma non sono gli unici. In quel testo di legge ci sono considerazioni sulla libertà o sull’autodeterminazione o sui diritti che continuerebbero a farne una legge ingiusta anche se le modifiche indicate dal cardinale venissero approvate. Tali modifiche non riguardano, infatti, l’impianto concettuale della legge che rimane inaccettabile, come bene illustra Giacomo Rocchi nel suo recentissimo libro Licenza di uccidere edito dai Domenicani di Bologna. 

In terzo luogo il cardinale chiede che il testo della 217 sia modificato, introducendo il diritto a fare obiezione di coscienza. Ma se si chiede che un testo di legge preveda l’obiezione di coscienza è perché quella legge è ingiusta e l’introduzione di tale diritto non ne cambierebbe la forma, resterebbe ingiusta anche dopo. Questa mi sembra una questione piuttosto grave. La 194 sull’aborto prevede l’obiezione di coscienza, ma non per questo può dirsi giusta. Non voglio dire che non si debba difendere l’obiezione di coscienza, ma chiedere che in una legge ingiusta sia inserita l’obiezione di coscienza è una forma di trattativa che fa ritenere che quella legge così riformata possa essere accettata. Se la legge è ingiusta non ci si deve ridurre a chiedere l’obiezione di coscienza, ma bisogna lottare per la sua abrogazione. 

Dicevo sopra che per seguire la prima strategia bisogna essere disposti a mobilitare un popolo. Le associazioni del tavolo della CEI un tempo erano libere di agire data la loro caratteristica laicale e questo aveva permesso una loro fitta attività sul territorio. Poi, a cominciare con la segreteria Galantino, sono state istituzionalizzate nella CEI e ora ricevono gli ordini dalla Segreteria. La conseguenza è che sono sparite dal territorio, non sono più attive e presenti in molte città in cui lo erano, non fanno azione di formazione delle coscienze su questi temi gravissimi. Anche questa è una ulteriore prova che alla prima linea strategica si è preferita la seconda, quella della trattativa.