Filippo, il bambino che non ha avuto paura di morire
“Con la maglietta a rovescio”, il libro sulla vita di Filippo Bataloni che per circa sei anni ha combattuto contro “il leone” feroce della leucemia. La forza della fede della sua famiglia, quella della preghiera della Chiesa e l'offerta della sua vita a Cristo ci confermano quello che scrive sua mamma: «Se Gesù toglie è per dare di più».
«Abbiamo un bambino che pesa un chilo e non respira…Nel padiglione accanto a quello in cui ho partorito abbiamo un altro figlio, di due anni, che cinque giorni fa è stato ricoverato perché ha la leucemia». Comincia così “Con la maglietta a rovescio”, il libro sulla vita di Filippo Bataloni, e di una famiglia che per circa sei anni ha combattuto insieme a lui contro “il leone” feroce della malattia.
Anna è in ospedale e non sa se presto rimarrà senza figli, con uno solo di loro o con tutti e due come desidera. Anzi, come prega. Perché, ripete nel libro, lei ci crede che la preghiera può far cambiare idea a Dio e mutare il corso della storia. Perciò Anna, insieme a suo marito Stefano, spera. Quindi non smette di chiedere il miracolo per entrambi i bambini, decidendo di dar credito alla vita. Anche Stefano lo fa, fino al punto di dire ad Anna che comunque vada «alla fine di tutto questo noi dobbiamo fare un altro figlio». Perché, dice lui, al male che aggredisce la vita si può rispondere solo con la vita. Fatto sta che dopo un mese circa il neonato, Francesco, si riprende, Filippo pure. Ma la malattia ritornerà.
Sì, comincia proprio così una storia fatta di croci, che solo a metterle in fila si penserebbe non siano umanamente sopportabili. Tanto che, nonostante la sua speranza forte, anche Anna vive momenti di ribellione e sentimenti di abbandono umanissimi, ma anche divini («Dio mio, perché mi hai abbandonato?»). Filippo e la sua famiglia stanno così, in croce. Quella croce che alla luce della fede illumina, fino a far comprendere ad Anna i doni che riceve, anche quando le risposte sembreranno non solo non esaudire le sue preghiere ma anche contraddirle. Non a caso, leggendo il susseguirsi dei fatti, ad un primo impatto viene da chiedersi come sia possibile che Dio permetta ca tante difficoltà di porsi sul cammino di una stessa famiglia.
In realtà contingenze, come l’obbligo per Anna e Stefano di passare le giornate fra un ospedale e un altro senza poter avere contatti con il mondo, li spinge ad aprire il blog (oggi ancora attivo) Piovono Miracoli, per aggiornare gli amici sulla situazione del figlio. Finché, anche grazie a Costanza Miriano, un popolo comincierà a pregare per Filippo: «Per la prima volta - scrive Anna - facciamo esperienza della comunione dei santi». Di qui in poi questa storia sarà costellata di preghiere, sacrifici, digiuni, sostegno concreto, scatenando l’amore di Dio che si manifesta nel Corpo della Chiesa. Un Dio che non sempre toglie la croce, però sempre la condivide.
Ma per sperimentare l’agape fino in fondo, la famiglia di Filippo dovrà passare altre prove. Tre trapianti, trasferte in altre città, separazioni momentanee. Momenti dove dall’esaltazione per una possibile vittoria, si ripiomba nella malattia. Momenti dove Anna crolla e dove Stefano la rialza. O viceversa. Senza contare i tanti bambini incontrati in ospedale che dopo lotte analoghe a quella di Filippo muoiono. Il tutto unito alla prova delle prove, quella di assistere impotenti alla sofferenza crescente di un figlio: uno dei dolori più grandi che l'uomo possa sperimentare. E invece? E invece mentre una sera Stefano sta per lasciar l’ospedale e darsi il cambio con la moglie riceve dal suo bambino sfiancato dalla malattia un sorriso stupendo e capisce quello che spesso i genitori ci mettono anni a comprendere: «Quando i nostri bambini ci chiedono qualcosa è sempre qualcosa di cui hanno veramente bisogno; ma talvolta noi non stiamo a sentire, noi non capiamo e gli diamo in cambio ciò che a loro non serve. Quando noi preghiamo Dio, spesso gli chiediamo qualcosa che a noi non serve affatto, mentre Lui ci dà solo ciò di cui abbiamo davvero bisogno».
Vedere il figlio che spesso non si lamenta dentro dolori enormi fa venire alla mente di mamma e papà il sacrificio dell’Agnello. Strazia il cuore, ma consola anche, perché c’è dentro il segno di una preferenza, un po’ come quella di Dio verso l’«integro e retto» Giacobbe, che «ancora saldo nella sua integrità» può essere usato come strumento per vincere il diavolo accanito contro di lui ma incapace di suscitare ribellione. Anche Filippo non si ribella, fatica umanamente, a volte piange, ma non maledice. Anzi, si rallegra di tutto quel che viene: pur chiuso in ospedale dice di essere felice e sa addirittura battere le mani per gli arancini preparati per lui dalla zia.
Filippo non guarisce ma incontra il fratellino, il terzo figlio di cui Anna e Stefano avevano parlato anni prima. Ormai hanno imparato a ringraziare di ogni singolo momento e giornata con i propri figli, di quella normalità che il mondo dà per scontata, quando non si stufa o si lamenta di essa. Questo è già il centuplo. Nulla in questa storia va come umanamente si vorrebbe, eppure questa famiglia capisce che il Paradiso esiste e ne vive un pezzo in terra. Non siamo noi a dedurlo ma loro a scriverlo in queste pagine, in cui passo dopo passo, dentro canule, prelievi e trapianti (Filippo ne ha fatti tre, un traguardo rarissimo, solo questo è un miracolo che dona mesi di vita in più) si vede come solo dal dolore vissuto nella fede possa emergere un amore senza senza limiti. Quello che tutti desiderano.
Nell’ultimo periodo della sua vita Filippo, che già aveva accettato una condizione umana dolorosa (come spesso nemmeno gli adulti anche credenti sanno fare), dice di non aver timore della morte, perché «...devo solo passare nel grande pianto per entrare nella vita eterna». È Filippo ad accettare, è Filippo a decidere di inginocchiarsi durante l’ultima consacrazione a cui assisterà in Chiesa, pur soffrendo moltissimo. È Filippo a dire sì alla morte con parole profondissime. Ma sono i suoi genitori ad amarlo fino al punto di accettare la sofferenza e l’immolazione richiesta a Filippo per «andare direttamente in Paradiso», come scrive Anna. Là dove, ne è certa, suo figlio non soffrirà più e vivrà solo di felicità eterna nell’attesa di rincontrare la sua famiglia. Viene in mente il Mistero dei Santi Innocenti di Charles Peguy per cui se «ognuno di noi è strappato alla terra troppo tardi, quando già la terra ha fatto presa...ed ha lasciato su di lui un marchio incancellabile», quei bambini no, non hanno «questa piega e questo sapore d’ingratitudine». Cosa che rende il loro sacrificio puro come quello di Cristo e quindi fonte di infinita salvezza.
Sempre Filippo pregherà per sette intenzioni precise offrendo la sua sofferenza, ma è la sua mamma a svelargli il segreto della salvezza, senza risparmiargli la strada dura per arrivare alla meta più bella: «Mamma quando mi passa questo dolore?», domanda lui. Anna risponde: «“Non lo so Filippo, l’unica cosa che so e che se non riesci a farlo passare, puoi fare un’altra cosa: offrilo a Gesù. Gesù è stato sulla croce per noi, anche per te. Con questo dolore che non passa tu stai completando il Suo, sulla croce. Non è inutile se lo regali a Lui”. Filippo docilmente, forse sfinito annuisce». Anna non smetterà di chiedere il miracolo della guarigione, nemmeno dopo sei anni di richieste mai fino in fondo esaudite. Ma tutta la strada è servita per farle capire che il miracolo «l’ho già ricevuto. Non ho più paura». Fino a farle dire che «se Gesù toglie è per dare di più»: la certezza nella vita eterna, l’unità impossibile agli uomini, l’anticipo del Paradiso in terra nella compagnia dei Santi.
Dimostrando che, sempre Peguy, aveva ragione quando diceva che dove ci sono i cristiani, dove c’è la Chiesa unita da sua Madre, la croce diventa il vertice dell’amore: «Ecco il luogo del mondo dove tutto diviene facile/ Il rimpianto, la partenza e anche l’avvenimento,/ E l’addio TEMPORANEO e la separazione […]. Ciò che dappertutto altrove è un’aspra lotta/ E una lama da macello tesa alla gola,/ Ciò che dappertutto altrove è la potatura e l’innesto/ Qui non è che il fiore e il frutto del pesco […]. Ciò che dappertutto altrove è solitudine/ Qui non è che un vivace e forte germoglio». Che dà molto frutto e che fa ancora Piovere Miracoli dal cielo.