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IL SUO CAPPELLANO

Fabo, non siamo riusciti ad aprire la gabbia

La testimonianza del sacerdote che ha incontrato dj Fabo pochi giorni prima di morire: "Non siamo riusciti di aiutarlo ad aprire le sbarre di questa gabbia per far entrare scoperte, voci, incontri che avrebbero potuto dare a questo giovane generoso la voglia di condividere col mondo le novità ancora in serbo per lui".

Editoriali 01_03_2017
Don Vincent Nagle è cappellano alla Fondazione Maddalena Grassi dove Dj Fabo è stato in cura per molto tempo. E ha conosciuto il 39enne che si è dato la morte in Svizzera incontrandolo anche nei giorni precedenti il decesso. La sua morte non lo ha lasciato insensibile. Ecco la riflessione che il sacerdote della San Carlo ha inviato alla Nuova BQ.
 
Lunedì ero con un gruppo di operatori sanitari che lavorano alla Fondazione Maddalena Grassi che aveva in cura Fabiano Antoniani, detto il DJ Fabo, quando abbiamo ricevuto la notizia: aveva deciso di portare a compimento la decisione di morire per sua scelta. Fra queste persone c’era chi era molto affezionato a Fabiano, chi lo aveva aiutato e si sentiva coinvolto nella sua storia, il suo destino. E c’era chi come me era molto interessato anche se meno coinvolto di altri ma non meno toccato. E vedevo questi volti profondamente segnati da tristezza, da un senso di tragedia.  
 
Si sente che tanti hanno espresso sentimenti positivi per quest'azione estrema, chiamandola un gesto di liberazione, un atto coraggioso di auto-determinazione. Ma stando insieme per un’ora con queste persone che avevano condiviso il suo dramma in modi anche intimi, non c’era nessuna atmosfera di celebrazione, né di ammirazione per come è finita la sua storia. C’era una percezione di aver assistito ad un avvenimento violento che ha tolto dal mondo un uomo del tutto capace di amare, scoprire, condividere, un uomo la cui presenza avevamo sperimentato come una promessa in pieno, non come una sconfitta, una vita mancata o una esistenza deformata.  
 
Ci chiedevamo perché non eravamo stati capaci di far passare a questo uomo forte, deciso, sveglio e socievole un nostro sguardo così colmo di possibilità per la sua vita? Fabiano aveva parlato della sua condizione di tetraplegico cieco come di una gabbia. Perché non siamo riusciti ad aiutarlo, ad aprire le sbarre di questa gabbia per far entrare scoperte, voci, incontri che avrebbero potuto dare a questo giovane generoso la voglia di condividere col mondo le novità ancora in serbo per lui. Perché lui e la sua fedele ragazza sentivano che l’amore e la vita erano cose ormai non ricuperabili? Cosa mancava in noi? Cosa mancava in loro?
 
Sconvolti per lo strappo provocato dall'iniziativa compiuta da Fabiano, abbiamo cercato di aiutarci a vicenda domandando al Mistero un raggio di luce che ci potesse far sperare che il Padre non ha finito con Fabiano, la sua fidanzata, la sua mamma e noi. Abbiamo supplicato la speranza che questa storia non finisse qui.
 
Ho detto ad un operatore particolarmente affranto dalla perdita, che gli sembrava cosi inutile, che auguravo che la ferita sanguinante nel suo animo potesse aiutarlo ad avvicinarsi ad altri pazienti con una domanda: che la possibilità di toccare, aiutare e volere bene a un'altra persona sia un modo di far capire, in modo misterioso, a Fabiano quanto bene gli vuoi ancora, quanto è ancora forte la tua voglia di accompagnare il suo viaggio ormai nascosto a noi.