Editoria al Pd, la "restaurazione" è servita
AL Pd la delega dell'editoria. Il clima di restaurazione inizia a permeare anche le stanze della Rai, perché il Pd in questo non farà sconti. Alle prossime elezioni politiche i dem intendono arrivare corazzati e ben posizionati per poter controllare tutte le leve dell’informazione. I grillini si sono arresi ai nuovi alleati.
Il repentino cambiamento dello scenario politico, con il passaggio da una maggioranza giallo-verde a una giallo-rossa, ha dato il via al festival del camaleontismo, che vede coinvolti esponenti politici di primo piano, peones, burocrati, grand commis e perfino editori e giornalisti.
Le piroette di questi ultimi fanno davvero impallidire perché confermano che al governo del cambiamento, così come si autodefiniva il precedente, è subentrato il governo della restaurazione e della normalizzazione, anche in ambito mediatico.
Per 14 mesi il primo governo Conte è stato bombardato dai media che, salvo eccezioni, gli imputavano di essere inadeguato al compito e si auguravano che cadesse al più presto.
Come per incanto, nell’ultima settimana, al sorprendente idillio tra Pd e Cinque Stelle si è affiancata un’altra inaspettata liaison, quella tra il nuovo sodalizio giallo-rosso e gran parte del circuito mediatico.
Dismessi rapidamente i toni inquisitori verso l’odiato Matteo Salvini e l’establishment leghista, i giornali dispensano attestazioni di fiducia e aperture di credito incondizionato al nuovo esecutivo, senza minimamente preoccuparsi di evidenziarne e denunciarne le innumerevoli attestazioni di incoerenza.
Evaporate tutte le riserve grilline sul “partito di Bibbiano” e quelle piddine sulla “finta democrazia diretta di Rousseau”, ecco campeggiare sulle prime pagine dei principali organi d’informazione italiana dichiarazioni al miele di economisti, politologi, opinionisti sulla solidità e l’affidabilità del nuovo governo.
Sorprende altresì l’arrendevolezza grillina nei confronti del Pd per quanto riguarda il controllo delle politiche in materia di media. Un punto qualificante del programma pentastellato nella campagna elettorale per le politiche era la riforma radicale dell’editoria, con la soppressione degli aiuti indiretti ai giornali e un approccio innovativo al tema del pluralismo, attraverso il progressivo coinvolgimento di tutti gli attori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie. Il paladino di tale battaglia di svecchiamento dei vetusti schemi del mondo dell’informazione italiano, dominato da editori “impuri”, era Vito Crimi, cui era stato affidato il ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’editoria. Dopo un iniziale disorientamento, misto a furore iconoclasta, l’esponente grillino aveva preso le misure e si era cimentato nella convocazione degli Stati generali dell’editoria, che avrebbero dovuto concludersi nel mese di ottobre con una convention a Torino per elaborare alcune tesi finali da inserire in progetti di legge per riformare sul serio il mondo dell’informazione. Tutto questo non avverrà perché anche in ambito mediatico è intervenuta la normalizzazione, che appare la cifra dominante del neonato Conte bis.
Al posto di Crimi, infatti, siederà su quella poltrona Andrea Martella, che non solo è del Pd, quindi di un partito che ha sempre beneficiato del sostegno della grande stampa, ma è anche un parlamentare di lungo corso (4 legislature) ed è coordinatore della segreteria del Pd di Nicola Zingaretti. C’è da augurarsi che possa svincolarsi dalle logiche di apparato delle quali i dem sono da sempre fedeli interpreti, ma rimane il fatto che i grillini, anziché pretendere, come partito di maggioranza, di poter proseguire il loro lavoro di rilancio dell’informazione su basi nuove e multimediali, hanno ceduto ai ricatti del vecchio potere.
Da oggi tutto ciò che attiene ai finanziamenti pubblici all’editoria, alla tutela del diritto d’autore, alla comunicazione istituzionale, al rapporto tra media tradizionali e colossi del web avrà una regia piddina.
E non è finita. La saldatura del nuovo asse Pd-Cinque Stelle sta già producendo smottamenti anche in Rai, specchio fedele degli equilibri politico-istituzionali. E’ partito dal consigliere d’amministrazione Rai in quota Pd, Rita Borioni l’assalto alla governance dell’azienda. Nel mirino c’è il presidente “sovranista” Marcello Foa, di cui anche i Cinque Stelle potrebbero presto chiedere la testa, ma ci sono pure alcune figure di punta della tv pubblica, come la direttrice di Rai 1, Teresa De Santis, filo-leghista, alla quale viene imputato il verticale crollo di ascolti della rete ammiraglia.
Dunque il clima di restaurazione inizia a permeare anche le stanze di viale Mazzini, perché il Pd in questo non farà certamente sconti. Alle prossime elezioni politiche, a prescindere da quando si terranno, i dem intendono arrivare corazzati e ben posizionati per poter controllare tutte le leve dell’informazione. I grillini, anche su questo, si sono arresi ai nuovi alleati.