Don Alberto e le minigonne, l'educazione che dà scandalo
Onore a don Alberto, il prete di Udine che ha accostato le gambe delle ragazze in minigonna a messa ai prosciutti. La sua è una bellissima catechesi sulla cura del corpo e la custodia degli occhi. Infatti è stato messo alla gogna perché ha toccato il punto dolente di madri e padri deresponsabilizzati e narcisisti che non educano più, confondendo la libertà con la licenza.
Don Alberto Zanier (in foto con il suo vescovo) è un giovanissimo curato che presta il suo servizio nelle parrocchie della Val Resia. Da alcuni giorni è nell’occhio del ciclone per aver chiesto ai suoi fedeli una cosa sacrosanta: un abbigliamento decoroso per le virgulte friulane durante la messa. E lo ha fatto in un modo spiritoso che non sarebbe dispiaciuto al don Camillo di Guareschi. Come? Dato che la valle in provincia di Udine non è distante da quel San Daniele che contende con Parma la palma di prosciuttificio d’Italia, ha accostato le gambe delle giovani ragazze presenti a messa a dei prosciutti.
Un linguaggio diretto e senza fronzoli, che tutti possono capire, per dire una verità sacrosanta: in chiesa non ci si presenta con le minigonne inguinali che mostrano molto di più di quello che la fantasia potrebbe immaginare.
Don Alberto l’ha scritto sul bollettino parrocchiale in un articolo intitolato Cosce resiane I.G.T.
Il problema è che don Alberto ha spiegato ai suoi fedeli che si tratta di una grave mancanza di rispetto. Anzitutto verso il corpo della donna. In secondo luogo una mancanza di rispetto verso gli altri e verso il sacerdote. Anzi, un insulto e una provocazione dato che il sacerdote è chiamato a vivere il celibato e a insegnare la morale cattolica in campo sessuale. Infine è una mancanza di rispetto per Dio perché la chiesa non è una balera.
Ovviamente gli sono piovuti addosso gli strali di tutto il circo mediatico che ha ripreso la notizia presentando don Alberto come un povero retrogrado lento alla modernità e che non porta rispetto per le ragazze che vanno in chiesa e che si devono vestire come meglio credono. Insomma: ci mancava anche il mee too dentro la Chiesa. In che ginepraio si è cacciato il povero sacerdote.
Eppure le sue parole sono una boccata d’ossigeno in una Chiesa sempre più compromessa col mondo. Le sue parole toccano un argomento molto delicato e per nulla scontato: il tema dell’abbigliamento con il quale ci si presenta a messa è indice anch’esso di quello che è lo spirito dei tempi. Una volta alla domenica ci si metteva il vestito della festa perché era il dress code necessario per presentarsi fronte a quel Signore al quale si dedicava il giorno santo. Oggi a messa ci si va in scarpe da ginnastica e tuta in acetato e in estate non è infrequente trovare gli uomini in bermuda e ciabatte - devono essere però del tipo Birkenstock perché sennò non sono eleganti - e per le donne appunto vestiti scollati che lasciano intravedere forme, spalle, seni e in alcuni casi anche il perizoma.
Chi, arrivato a questo punto iniziasse a sorridere sotto i baffi, dovrebbe considerare che se ti si para davanti una ragazza che mostra chiaramente tutto il suo ben di Dio, non è malizioso o guardone il fedele che ci si imbatte, ma è nella natura delle cose che l’occhio venga distratto. Ecco, don Alberto sicuramente quell’occhio gli è caduto e ha usato la sua intelligenza e libertà di uomo fatto di carne e ossa per chiedere un decoro prima di tutto per non essere distratto lui nel momento del santo sacrificio. Non c’è niente di più umano. Ma oggi la messa è diventata uno show, ci si va con leggerezza, così come con troppa leggerezza ci si accosta alla Comunione. E con altrettanta leggerezza si pretende di poterci andare esercitando una libertà di vestirsi che in realtà nasconde soltanto una licenza all'edonismo e al narcisismo che vede l’universo femminile molto più esposto e al quale si chiede responsabilità.
Ecco il punto. E’ la responsabilità che don Alberto ha tirato fuori e che non è andata giù a una società impazzita e deresponsabilizzata. Che tocca le giovani virgulte, ma che investe soprattutto le madri, il vero obiettivo dello scritto di don Alberto. «Care mamme, quando le vostre figlie escono di casa vedete come vanno in giro?», ha scritto. La domanda ha fatto imbestialire le donne della comunità che hanno protestato sui giornali. Ma in realtà cela una constatazione molto più profonda: la femminilità cresce anche sull’esempio e nel rapporto madre-figlia.
Le Erinni che invece strepitato contro il povero don Alberto molto probabilmente hanno comprato loro stesse il sabato precedente da H&M le minigonne sfoggiate la domenica seguente dalle loro figlie. Fare notare la responsabilità genitoriale è stato il più grosso passo falso di don Alberto perché ha mostrato che tutto nasce da un rapporto e da una relazione di educazione, che in questo caso contempli anche il coraggio del pudore e della custodia degli occhi che va insegnato e prim’ancora vissuto.
Onore dunque a don Alberto, prete troppo moderno per una società antiquata e incagliata nelle secche del perbenismo alla rovescia lasciatoci in eredità dalla rivoluzione sessuale secondo la quale il corpo è una scatola di piacere da esibire e godere.
Peccato soltanto che in questa vicenda di paese il povero sacerdote sia stato lasciato solo. Anzitutto dalla sua Diocesi che ieri non ha voluto difenderlo dagli attacchi subiti, ma limitandosi a riportare sul sito diocesano uno striminzito articoletto in cui ha delineato correttamente la vicenda, ha tradito una sorta di fastidio per lo stile utilizzato da don Alberto.
Nell’articolo infatti si parla del suo come di un «intervento singolare», di «un rude richiamo contro l’uso delle minigonne» e si fa riferimento «a qualche analogia un tantino sprezzante». Se nel complesso la Diocesi non può che mostrarsi d’accordo con il suo prete è in quella serie di aggettivi che tradisce però contemporaneamente una presa di distanza. Il solito clericalismo, che si scandalizza per un paragone di cosce e prosciutti e non considera invece che forse, è proprio grazie a una metafora così verace e diretta se, magari, qualche mamma, vergognandosi, riuscirà a parlare alla figlia del pudore e della purezza. Don Camillo avrebbe usato come paragone il culatello di Zibello e oggi lo celebreremmo come letteratura guareschiana doc.