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L'ANALISI

Curia, in pensione dopo cinque anni. Non tutti.

Secondo il cardinal Muller, il Papa non avrebbe confermato il suo incarico in Cdf perché desidera portare a solo cinque anni l'attività di prefetti e vescovi di curia. Ma molti sono ancora al loro posto, anche dopo tre mandati. E guarda caso...

Ecclesia 28_10_2017

Il Papa l’aveva detto al cardinale Gerhard Mūller, nel famoso ultimo colloquio, e il cardinale, subito dopo, in Germania, in un’intervista all’Allgemeine Zeitung aveva detto così: “Er habe ihm mitgeteilt, dass er dazu übergehen wolle, die Amtszeiten generell auf fünf Jahre zu begrenzen, „und da war ich der Erste, bei dem er das umgesetzt hat“.

Che tradotto poveramente suona così: “Ha comunicato che desidera cambiare, e limitare generalmente i periodi d'attività a cinque anni “e io ero il primo, a cui l’avrebbe applicato”. Nella Chiesa la regola è che ai 75 anni di età i vescovi – e in teoria anche i responsabili dei dicasteri – devono dare le dimissioni. Se non si è vescovi, o si è dipendenti laici, il tetto è di settanta anni. E lo stesso vale per i nunzi apostolici, il cui lavoro è considerato usurante.

Quindi, se il Pontefice diceva il vero, e come dubitarne, adesso ci sarebbe una doppia griglia per le uscite, e svecchiare la Curia. Quinquennio, - uno solo al comando – e settantacinque anni. L’intervista del cardinale Mūller è stata pubblicata il 1 luglio 2017; era un’intervista “a caldo”, subito dopo il colloquio in cui gli era stato detto di lasciare il suo ufficio. Quindi è ben probabile che fosse sincera, e riportasse l’accaduto. Ma dal 1 luglio ad ora, ahimè, non sembra che il Pontefice abbia voluto tenere fede al suo proposito, e all’intenzione che aveva espressa al porporato tedesco.

Vediamo qualche caso. Il più recente, di questi giorni, riguarda il cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontifici Consiglio per la Cultura. È nato il 18 ottobre 1942; ha quindi compiuto settantacinque anni. Ma è dal 2007 che è presidente della Cultura: quindi non un solo quinquennio, ma due. Ad agosto ha invece compiuto 76 anni il cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero. Ha già quattro anni alle spalle con questo incarico; ma ha già “sforato” di un anno il limite canonico.

Qualche giorno fa poi è stato confermato “donec aliter provideatur – finché non si decida altrimenti – Marcelo Sanchez Sorondo, Cancelliere dell’Accademia per le Scienze. Per lui le due griglie si univano: ha compiuto settantacinque anni l’8 settembre 2017, e ricopre il suo incarico alla Pontificia Accademia delle Scenze dal 2001, regnante San Giovanni Paolo II. Tre mandati!

Ma la cosa che forse può stupire è che non si tratta di casi isolati. Al Pontificio Consiglio per i testi legislativi abbiamo il cardinale Francesco Coccopalmerio. È li dal 2007 (due mandati, quindi) ed è nato nel 1938: 79 anni. Ai religiosi c’è il brasiliano Joao Braz de Aviz, il grande inquisitore dei Francescani dell’Immacolata. Nel 2011 cominciò il suo periodo, quindi anche se ha appena settant’anni – come Mūller d’altronde – non si parla di sostituzioni.

Il Prefetto della Congregazione per i Santi, il salesiano Angelo Amato ha quasi 80 anni, ed è Prefetto dal luglio 2008: doppia griglia anche per lui, dunque. Così come per Leonardo Sandri, argentino come Sorondo. È nato nel 1943, ed è Prefetto delle Chiese Orientali dal 2007; cioè ha completato dieci anni di governo.

C’è un elemento che unisce tutte queste persone (salvo forse Sandri, con cui si dice che i rapporti con Bergoglio non fossero idilliaci; ma allora bisognerebbe trovare altre ragioni). E cioè che sono tutte legate al Pontefice, e non hanno Dubia e neanche perplessità di nessun genere, in particolare sull’Amoris Laetitia.

A differenza del vescovo ausiliare di Salisburgo, Andreas Laun, che il 13 ottobre ha compiuto settantacinque anni. Il giorno stesso il Pontefice ha accettato le dimissioni. Nel febbraio scorso Laun pubblicava su Kath.net una lettera di un sacerdote tedesco in America Latina. Il commento riguarda, appunto, le contraddizioni possibili percepite da molti circa il documento. La lettera è scritta da un sacerdote tedesco, amico del presule, che lavora in America Latina.

Caro Andreas, mentre le domande che riguardano i divorziati risposati rimangono vaghe e senza risposta – come spesso accade al Santo Padre – poi può accadere che si verifichi la situazione seguente, assurda: un penitente (nel confessionale) presenta la sua situazione, dicendo che vuole continuare a vivere come marito e moglie con la sua compagna, e poi chiede l’assoluzione, facendo riferimento a varie conferenze episcopali e infine al Papa stesso. Allora come prete mi dico: ‘la mia coscienza  mi dice che non possono dare l’assoluzione, anche se il papa mantiene la questione aperta; quindi io non posso darti l’assoluzione’. Ma l’altro, riferendosi al Papa insiste che vuole essere assolto, e fare la comunione. Devo allora cambiare la formula di assoluzione e dire: ‘Il Papa ti assolve dai tuoi peccati nel nome del Padre e così via..’. Per me questo è assolutamente assurdo! Ma non è la conseguenza di ciò?

Il vescovo Laun commenta: “Ho paura che in questa domanda sia contenuta una logica da cui non si può sfuggire…Non esiste una cosa come una doppia verità, e a certe domande c’è solo un risposta vera – anche quando vescovi, e intere conferenze episcopali danno risposte contraddittorie. Alcune risposte sono vere, altre certamente false. I quattro cardinali che hanno presentato i Dubia possono essere soddisfatti del modo in cui questo sacerdote in Sud America ha presentato il problema”.

Che coincidenza, vero? Ma allora la questione del singolo quinquennio? Vale solo per alcuni? E i settantacinque anni? Forse c’è una terza griglia, che si chiama Amoris Laetitia.