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ZAGABRIA

Crisi politica in Croazia fa tremare i Balcani

In Croazia una nuova, gravissima crisi politica  - con la rottura tra i due partiti di governo, HDZ e Most - mette a rischio la difesa dei principi che per i cattolici sono irrinunciabili, di vanificare i timidi segni di ripresa dell'economia, e di aggiungere tensione a una situazione già esplosiva nei Balcani.

Esteri 09_05_2017
Il primo ministro Plenkovic

In Croazia è in corso una nuova, gravissima crisi politica che minaccia di sconvolgere gli equilibri politici conosciuti fino a oggi in questo Paese, rendendoli meno favorevoli alla difesa dei principi che per i cattolici sono irrinunciabili, di vanificare i timidi segni di ripresa di un’economia arretrata e in perpetua crisi, e di rendere ancora più fragili gli equilibri politici in un’area dell’Europa segnata da nuove tensioni interetniche che potrebbero presto degenerare in una nuova guerra.

Per la seconda volta in due anni si è rotta, questa volta con tutta probabilità in modo definitivo, l’alleanza di governo tra l’HDZ, partito di centro-destra e di maggioranza relativa nel Paese, e Most, un’alleanza di liste locali, per lo più anch’esse di centro-destra (per una panoramica sulla rottura tra HDZ e Most dello scorso anno e la nuova riconciliazione post-elettorale vedere qui).

Causa scatenante di questa nuova rottura tra i due alleati di governo è stato il voto contrario dei ministri di Most all’espressione di un parere negativo del governo alla mozione di sfiducia presentata in parlamento dal Partito socialdemocratico contro il ministro delle finanze, Zeljko Maric, tecnico di area HDZ. Il primo ministro Plenkovic (HDZ) ha reagito annunciando immediatamente la destituzione di questi ministri. 

Ciò avrebbe potuto scatenare una grave crisi istituzionale, poiché secondo la Costituzione croata i ministri possono essere destituiti solamente con la controfirma del presidente del Parlamento, carica ricoperta da Bozo Petrov, presidente di Most, il quale si era rifiutato di farlo; inoltre i ministri dimissionati avevano annunciato che avrebbero proseguito nella loro attività. Alla fine, il conflitto istituzionale è stato evitato solamente per la responsabile decisione di Most di fare dimettere i propri ministri.

Dopo alcuni giorni di notevole tensione, caratterizzati da accuse di Most all’HDZ di avere cercato di “comprare” il voto di un suo deputato, la mozione di sfiducia socialdemocratica al Ministro delle Finanze non è passata per un solo voto (75 voti favorevoli e 75 contrari - per l’approvazione erano necessari 76 voti favorevoli). Successivamente l’HDZ è riuscita a far eleggere un proprio uomo alla Presidenza del Parlamento dopo le dimissioni di Petrov, anche in questo caso per un solo voto.

Il motivo della mozione di sfiducia nei confronti del Ministro delle Finanze è da ricondurre a un possibile conflitto di interessi per la sua posizione di ex dirigente del più grande gruppo privato di aziende croato, l’Agrokor, del quale negli ultimi mesi è emersa la gravissima crisi finanziaria tanto da farne temere il fallimento. Plenkovic è stato inoltre accusato di avere nominato Maric al dicastero delle finanze proprio per cercare di nascondere la crisi di Agrokor e di risolverla sottobanco con l’aiuto dello Stato anche attraverso un trattamento preferenziale dell’erario verso questa società. I ministri di Most andavano allontanati, così afferma il partito di Petrov, poiché essi occupavano i due ministeri, quello dell’interno e quello della giustizia, determinanti per le inchieste su eventuali malversazioni o bancarotte fraudolente con riferimento all’Agrokor

Questo gruppo d’imprese è di proprietà di Ivica Todoric, imprenditore di area HDZ, e dà lavoro a 60.000 persone in quasi tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia, di cui 40.000 solamente in Croazia. Altre migliaia di lavoratori lavorano per l’indotto, soprattutto nell’agricoltura. Esso controlla il 30% del mercato della vendita al dettaglio in Croazia con i supermercati Konzum, e possiede numerose aziende di trasformazione in quasi tutti i settori del comparto alimentare, una catena di alberghi e altre strutture turistiche, società finanziarie, la maggiore catena di edicole in Croazia, imprese attive nell’edilizia e nella sanità.

La situazione debitoria è emersa in tutta la sua drammaticità all’inizio di marzo, quando le banche creditrici, fra le quali la maggiore esposizione è a capo di due banche russe, la Sberbanka e la VTB Banka, hanno annunciato che non avrebbero rifinanziato l’enorme debito di Agrokor. 

Sono cifre da far tremare i polsi, tanto che si teme una vera e propria apocalisse per l’economia croata, con una catastrofica ricaduta sull’occupazione in questo Paese, già colpito da un’emigrazione record (negli ultimi cinque anni quasi mezzo milione di croati hanno lasciato il Paese) e la cui popolazione spesso vive al di sotto della soglia di povertà. Si parla infatti di un debito di circa dodici miliardi di euro, di cui poco più di due miliardi dovuti ai fornitori, nonché di circa 100 milioni di euro di IVA non pagata allo Stato. 

Oltre a possibili malversazioni su cui sta indagando la magistratura, decisivo per l’aggravarsi della situazione debitoria dell’azienda è stato l’acquisto, avvenuto nel 2013, per 430 milioni di euro, del 53% delle azioni di Mercator, la maggiore catena di supermercati slovena, che al momento dell’acquisto da parte di Todoric versava egualmente in cattivissime acque con un debito superiore al miliardo di euro.

L‘atteggiamento di Plenkovic è davvero singolare. Un anno fa, per un caso di conflitto di interessi perfino meno grave, aveva invitato l’allora leader del suo partito Karamarko a farsi da parte. Nel caso di Maric, invece, egli ha scelto di difendere il ministro a spada tratta, e di giungere perfino alla rottura definitiva con Most piuttosto che fare dimettere il ministro.

Con questa scelta Plenkovic ha giocato d’azzardo, essendo cosciente che in questo modo si sarebbe ritrovato senza maggioranza. Egli ha tuttavia confidato che alcuni tra i deputati indipendenti presenti in parlamento avrebbero accettato di sostenere il suo governo, oppure che il Partito Popolare Croato (HNS), laicista e di sinistra, e la Dieta Democratica Istriana (IDS), partito autonomista istriano di sinistra, oggi in coalizione con i socialdemocratici, sarebbero passati dalla sua parte. Nella peggiore delle ipotesi, il primo ministro si sente sufficientemente forte da potere affrontare nuove elezioni anticipate con la speranza di avere la maggioranza assoluta e potere governare da solo.

Qualunque sarà l’esito finale, la scena politica croata non offrirà molte soddisfazioni ai cattolici che si impegnano a difesa della famiglia e della vita. L’insoddisfazione nella società croata per la continua instabilità politica potrebbe risolversi in una perdita di voti per il partito di Plenkovic. Invece di una stabile collaborazione con l’HDZ, culturalmente più affine, Most verrà spinto a un’alleanza del tutto innaturale con i socialdemocratici. Un’eventuale alleanza con l’HNS e l’IDS spingerà ancora di più Plenkovic, già di per sé poco interessato alla difesa ai valori non negoziabili pur essendo cattolico praticante, a una trasformazione in senso liberale della società croata.

Eventuali nuove elezioni politiche porteranno alla creazione di maggioranze trasformiste, risicate e poco stabili, e questo in un momento in cui l’economia croata stenta a crescere, e tanto per rimanere nell’Europa sud-orientale, la Macedonia si trova sull’orlo di una guerra civile, la tensione tra serbi e albanesi è alle stelle, la secessione dei serbi - e una nuova guerra - minaccia la Bosnia-Erzegovina, e i rapporti con la Serbia e la Slovenia sono estremamente tesi.
Una scelta che è davvero un eufemismo definire cattiva.