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GHEDDO

Così in India ho imparato a cercare Dio per tutta la vita

Padre Piero Gheddo ricorda la sua visita di quarant’anni fa al famoso Beda Griffiths, guru e padre benedettino inglese che dirige un centro di preghiera sulla riva del Kavery, il fiume sacro del sud India nello Stato del Tamil Nadu. Attirati dalla sua fama di santità vengono anche politici, universitari e vip indiani.

Ecclesia 13_07_2016
Piero Gheddo

Fra gli 80 e più Paesi extra-europei che ho visitato, uno di quelli che amo di più è l’India. Nel 1977 vado a vivere alcuni giorni nel monastero del famoso guru padre Beda Griffiths (1906-1993), benedettino inglese che da 40 anni dirige un centro di preghiera sulla riva del Kavery, il fiume sacro del sud India nello Stato del Tamil Nadu: una serie di capannucce di fango, paglia e pavimento di cemento, in un boschetto lungo la riva del fiume. Poco distante il villaggio di Thannirpally dove arrivano i pullman di linea per Madras e Bangalore, fra le risaie, le palme di cocco e i bananeti.

Quando arriva un ospite, gli assegnano la sua capanna dove prega, studia, dorme, si rende conto della vita che passa, e com’è importante cercare Colui che non passa, Dio. Poi frequenta la chiesa, le sale di incontro e di studio, la biblioteca, il refettorio, in un’atmosfera di serenità e di spiritualità. Questa visita a padre Beda Griffiths, con padre Sandro Sacchi, allora missionario in India, è del 1977, quasi 40 anni fa.

Oggi anche l’India è cambiata, ma rimane forte il senso religioso della vita. Ad esempio i giornali indiani, sia in inglese sia in lingue locali, hanno la rubrica religiosa. Non per dare notizie sugli avvenimenti religiosi, ma perché ogni religione esprima le sue credenze e le risposte che dà ai fatti della vita. Il nome del monastero è Shantivanam, cioè “luogo della pace” in lingua tamil. Attirati dalla fama di santità di Beda Griffiths vengono anche uomini politici, universitari, persone importanti nella società indiana, per i quali un periodo di preghiera ogni anno è abituale. 

Il benedettino inglese mi dice: «In Europa noi siamo un po’ tutti atei, pur essendo battezzati: mettiamo altre cose al posto di Dio. Noi cristiani, che abbiamo la Rivelazione, ci illudiamo di avere Dio a portata di mano. Per questo conduciamo una vita superficiale, materialistica. Ma Dio non è possibile conoscerlo intellettualmente, bisogna sperimentarlo nell’amore, nella preghiera, nel silenzio, nella rinunzia. È una vita intima che va vissuta, è un Altro che va cercato, amato, desiderato. Dio si comunica a chi lo cerca con cuore sincero».

«In India», continua Beda Griffiths, «i guru indiani che non hanno ricevuto la Rivelazione cercano Dio per tutta la vita, fanno preghiere e sacrifici, leggono e meditano testi sacri, rispettano la legge naturale, spendono la vita per cercare quel Dio che non conoscono. In India la ricerca di Dio fa parte dell’esistenza comune, non solo dei monaci. Chi è sensibile alle cose spirituali fa pellegrinaggi, digiuni e una settimana all’anno di distacco dalle cose del mondo. Va in un monastero a fare penitenza, rientrare in se stesso e dedicarsi al suo rapporto con Dio». E aggiunge: «La cultura indiana è molto religiosa, anche le persone che sembrano più lontane da Dio, dedicano qualche tempo alla ricerca di Dio e alla preghiera».

A me Beda Griffiths ha dato queste norme di vita: «Dio si rivela solo nel silenzio e nella povertà. Rinunzia a quello che è superfluo, togli le distrazioni della tua vita, mangia di meno, prega di più. Non vivere una vita superficiale, chiedi a Dio che ti faccia conoscere il suo volto. Se vivi nel peccato e nelle distrazioni, Dio ti sfugge, ma se lo cerchi osservando i Comandamenti, nella preghiera e nell’imitazione di Cristo, Dio si manifesta anche a te». Auguro a tutti, in questa calda estate, di saper trovare, nelle nostre frenetiche giornate, il tempo necessario al riposo, al silenzio, alla preghiera che ci fa incontrare Dio.