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FINE-VITA

Contro l'eutanasia non basta dibattere della legge

Nel mondo cattolico è in atto una dura polemica che spacca il fronte
dei difensori del diritto alla vita.
Il rischio è che la perdano tutti.

Attualità 05_04_2011
eutanasia
Nessuno può negarlo: la proposta di legge in discussione alla Camera sulle Dat, cioè le “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento”, ha scatenato una dura polemica dentro il mondo cattolico deciso a impedire la deriva eutanasica del nostro ordinamento giuridico.

Da un lato vi è chi sostiene a spada tratta la necessità di legiferare positivamente in materia, giudicando lacunosa la normativa vigente che non metterebbe al riparo dai colpi di mano più o meno legittimi dei giudici chiamati a dirimere i singoli casi. Dall’altro vi è invece chi la legge l’avversa nettamente, muovendo pure critiche alla situazione attuale che comunque giudica maggiormente garante del diritto alla vita e aggiungendo che i colpi di mano di questo o di quel giudice sono e restano appunto solo casi isolati  e comunque illeciti.

Lo scopo dei due schieramenti è lo stesso, ma è sui mezzi che imperversa la lite.

Il primo fronte è capitanato dal presidente del Movimento per la Vita (MpV) Carlo Casini (eurodeputato dell’Udc) - il quale appoggia il ddl proposto dalla maggioranza di governo -, conta sull’appoggio della Conferenza Episcopale Italiana e si esprime dalle pagine del quotidiano Avvenire.

Il secondo fronte è rappresentato dal Comitato Verità e Vita (CVV), ha sponda nelle critiche al ddl sulle Dat espresse dall’ex Sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano e da Adriano Pessina, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, trova spazio sulle pagine de Il Foglio e probabilmente gode delle simpatie discrete di qualche vescovo.

Come tutte le guerre, anche questa non conosce esclusione di colpi; vista però l’identità dei due schieramenti, la cosa è ancora più incresciosa. L’ultima battaglia in ordine di tempo è iniziata  il 19 marzo, a Firenze, nel corso dell’assemblea nazionale del Movimento per la Vita il cui documento conclusivo - sbarcato sulle colonne di Avvenire il 24 marzo - dichiara incompatibile l’impegno nelle realtà locali e attivistiche dell’MpV con la militanza nel CVV. Il quale ha evidentemente reagito, poi sono intercorse lettere, smentite, telefonate, scuse a denti stretti accettate per metà, insomma un vespaio che rende le due posizioni ancora più inconciliabili.
Ora, ragioni valide di natura squisitamente pratica a sostegno della propria posizione le accampano entrambi i fronti. Né, trattandosi di ambiti negoziabili (non negoziabile è solo lo scopo da raggiungere), il favore con cui i vescovi guardano a un intervento legislativo diviene sic et simpliciter indiscutibile per i cattolici, i quali invece lecitamente possono, anzi debbono, in piena coscienza, offrire al dibattito tutti i contributi anche tecnici di cui sono capaci.

Entrambi i fronti di questa comunque incresciosa e troppo lunga “guerra civile” hanno ragione da vendere nella pars destruens, ovvero là dove ravvisano pericolose incognite sia nell’un caso sia nell’altro. Se però pensano che ciò basti a fermare il fremito eutanasico che, legge o non legge, attraversa ora la società italiana, hanno perso in partenza entrambi. Vincerebbero invece se lavorassero a monte della pur importante questione legislativa e politica, assieme, riunendo il fronte pro-life.