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HUMANAE VITAE

Contraccezione, ora anche Wojtyla è "rigido" e "dottrinario"

L'uscita di un libro che - per l'enciclica Humanae Vitae - documenta il determinante aiuto dell'allora arcivescovo di Cracovia, è l'occasione per Avvenire di rilanciare un assalto all'enciclica pubblicata 50 anni fa. Obiettivo: aggirare il divieto della contraccezione. La strategia è dividere il beato Paolo VI (buono e flessibile) da san Giovanni Paolo II (rigido e dottrinario).
- SU HUMANAE VITAE L'ALLEANZA WOJTYLA-PAOLO VIdi Livio Melina

Ecclesia 07_03_2018

In cauda venenum. È così che si usa dire quando la fine di un discorso svela il carattere polemico prima dissimulato. Mi riferisco alla recensione di Luciano Moia, ça va sans dire, apparsa domenica scorsa su Avvenire, del libro del teologo polacco don Pavel Stanislaw Galuszka pubblicato da Cantagalli ed intitolato “Karol Wojtyla e l’Humanae vitae - Il contributo dell’arcivescovo di Cracovia e del gruppo di teologi polacchi all’enciclica di Paolo VI”.

Il caporedattore di Avvenire si concentra su pochi stralci di quel testo di 550 pagine dove viene descritta tra l'altro una lettera indirizzata dall’allora arcivescovo di Cracovia Wojtyla a Papa Montini in cui si suggeriva di affrontare con fermezza il cosiddetto “magistero parallelo” degli episcopati ribelli. Questi, attraverso documenti pastorali, finivano per svuotare il contenuto dell’enciclica Humanae vitae minando l’unità della fede su un punto decisivo per la vita morale dei fedeli. Un primo elemento di conforto personale nasce dal fatto che la narrazione della reazione degli episcopati all’enciclica di Paolo VI contenuta nel mio saggio, “I veleni della contraccezione” (Edizioni Studio Domenicano), è coincidente con quella che emerge dal carteggio del futuro Papa polacco. Nel mio testo ho parlato del magistero parallelo come di un “magistero inverso” e dunque di un vero e proprio “magistero perverso”, ma per il buon Moia il linguaggio vermilinguo dei vescovi ribelli denota “rispetto, accoglienza e comprensione”.

In realtà, presentando i pronunciamenti delle oltre 40 Conferenze episcopali come “dichiarazioni e documenti applicativi variamente critici”, Moia fornisce una rappresentazione distorta, lasciando intendere che tutti i vescovi del mondo fossero concordi nel criticare Humanae vitae. Certo, vi furono i documenti degli episcopati di Austria, Germania, Olanda, Belgio, Francia e quello canadese, per la cui approvazione l’attivismo del vescovo Remi de Roo fu determinante (Richiamato dal prefetto cardinale Ratzinger per il sostegno al sacerdozio femminile, nel 2000 egli fu costretto a chiedere pubblicamente scusa per le spese non approvate dal Vaticano che determinarono un buco di 12 milioni di dollari nella sua diocesi).

Il 27 marzo 2008, parlando a Gerusalemme alla Comunità Neocatecumenale, in riferimento ai documenti delle conferenze episcopali austriache e tedesche, il cardinale di Vienna Schönborn, quello che Papa Francesco ha indicato come un grande teologo e migliore interprete di Amoris laetitia, disse: “Dobbiamo pentirci di questo peccato dell’episcopato europeo che non ha avuto il coraggio di Paolo VI, perché oggi portiamo tutto il peso delle conseguenze di questo peccato”.

Altro che “rispetto, accoglienza e comprensione” di cui scrive Moia, il quale tace la fedeltà del documento della Conferenza episcopale italiana, inglese e statunitense, quest’ultima descritta dall’ex diplomatico Kenneth D. Whitehead come “una delle affermazioni episcopali contro-culturalmente più forti a supporto di Humanae vitae”. In effetti Wojtyla aveva ragione, l’uso di presentare la contraccezione come materia da lasciare alla coscienza dei coniugi, stretti tra quel presunto “conflitto di doveri” umani e cristiani inventato dal vescovo olandese Willem Bekkers nel 1963, permeava i documenti dei vari episcopati dissenzienti.

Se tali argomenti sono stati reiteratamente rifiutati dal magistero, essi, come una sorta di zombie teologici, riemergono oggi per giustificare i rapporti sessuali di persone divorziate con persone diverse dal coniuge. Ma se erano invalidi allora, non si vede perché dovrebbero diventare validi oggi, quando tutte le evidenze empiriche accumulate, la riflessione teologica e l’azione magisteriale ne attestano l’invalidità.

Dove Moia voglia andare a parare lo si scopre alla fine del suo articolo, laddove scrive: «Quale fu la reazione di Montini di fronte a questa proposta? Non lo sappiamo. Sappiamo però che nei successivi dieci anni della sua vita, tornò soltanto quattro volte sull’Humanae vitae. E non solo non manifestò mai l’intenzione di irrigidirne l’applicazione, ma nei discorsi e negli interventi ufficiali non fece più alcun riferimento ai metodi naturali di regolazione della fertilità».

Che rilevanza dovrebbe avere il presunto silenzio di Paolo VI, se non la volontà di non acuire ulteriormente uno scontro che era ad un passo dallo scisma? In realtà il silenzio del Papa fu anche al tempo argomento cavalcato per dare circolazione all’idea che l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione fosse dubbio, e come si dice, in dubiis libertas. In quegli stessi anni il vescovo regressista di Magonza Reuss emanò per i sacerdoti della sua diocesi una direttiva in cui li istruiva a sollevare i coniugi dall’obbligo di astenersi dalla contraccezione per la situazione di dubbio in cui era la dottrina. Era la linea seguita dai teologi Richard McCormick e Bernard Häring.

Papa Paolo VI era consapevole del problema; a padre Ford, che ne fu consulente, disse: “Chi tace acconsente; se la Chiesa non lo proibisce è acquiescente e la dottrina diventa probabile”, e se è probabile essa non obbliga. Ma la dottrina non era in dubbio. Vi erano chiari e netti pronunciamenti del magistero precedente, quelli di Pio XI, Pio XII, Giovanni XIII, vi erano secoli e secoli di Tradizione, vi era la voce dei dottori della Chiesa e dei Suoi Santi. Tuttavia, per non lasciare nemmeno questo margine, Paolo VI, rivolgendosi ai partecipanti al 52º congresso della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, il 26 ottobre 1966, diceva: “Il pensiero e la norma della Chiesa non sono cambiati; sono quelli vigenti nell’insegnamento tradizionale della Chiesa”. Se oggi si volesse intenzionalmente attribuire al silenzio di Paolo VI dopo Humanae vitae un significato d’incertezza dottrinale, si compirebbe dunque un’operazione intellettualmente truffaldina.

Il Papa aveva la responsabilità dell’unità della Chiesa, era stato fedele all’ufficio di maestro e difensore della fede, aveva ribadito la verità morale, scelse di non reprimere con forza la menzogna. Si tratta di scelte difficilissime prerogativa del munus petrino. Quante volte nella storia della Chiesa ciò è avvenuto. Si può citare la decisione nel 1588 di Papa Sisto V di comminare le stesse pene canoniche e temporali previste per l’omicidio a chi fa uso di contraccettivi e commette l’aborto. Nemmeno tre anni dopo, tranne che per il feto già formato, Gregorio XIV abrogherà la bolla del predecessore ripristinando la contraccezione come un atto contro la castità. Possiamo citare anche la posizione intransigente di San Pio V sulla pratica della prostituzione nella città di Roma e confrontarla con la posizione più tollerante di altri Papi anch’essi santi.

D’altra parte, fu lo stesso beato Paolo VI a svolgere una critica nei confronti del permissivismo e della transigenza al male albergante dentro la Chiesa: “Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti in questo atteggiamento, al quale la scuola del cristianesimo moderno ci invita: il riconoscimento del mondo profano nei suoi diritti e nei suoi valori [...] Siamo andati oltre il segno nel conformismo con la mentalità e col costume del mondo profano”, disse durante l’udienza generale del mercoledì 21 settembre 1973. Già allora, subito dopo la pubblicazione di Humanae vitae, i teologi del dissenso abbandonarono l’argomento del dissenso per brandire quello della non infallibilità dell’enciclica che Moia resuscita. Se Humanae vitae non è infallibile, allora è fallibile, ma se è è fallibile non è irreformabile, anzi è riformabile e dunque reformanda, fu la linea seguita per il boicottaggio. Commentando la richiesta di Wojtyla di un pronunciamento del Papa che dichiarasse Humanae vitae “infallibile e irreformabile”,

Moia scrive: “Possibile che Wojtyla ignorasse che era stato lo stesso Paolo VI a imporre a monsignor Ferdinando Lambruschini – decano della cattedra di teologia morale della Lateranense poi arcivescovo di Perugia – di spiegare nella conferenza stampa di presentazione dell’Enciclica che quel testo non doveva essere considerato né infallibile né irreformabile? Evidentemente no”. Fa piacere che Moia si sia scoperto ammiratore di monsignor Lambruschini. Non avrà dunque difficoltà ad accogliere anche questo suo insegnamento: “Nessuna delle istanze della legge morale naturale può essere sacrificata ad una vaga pastoralità” e tenerne di conto nei suoi prossimi articoli di morale (F. Lambruschini, Problemi della Humanae vitae, Queriniana, Brescia 1968, 135). Ora è bene precisare che, anche ammettendo che fosse stato lo stesso Paolo VI ad imporre a monsignor Lambruschini (personalmente non conosco l’atto da cui Moia trae questa informazione), il carattere di definibilità dell’enciclica è materia teologicamente controversa.

Padre Ermenegildo Lio ha prodotto un saggio scientifico poderoso edito dalla Libreria Editrice Vaticana apprezzato da Giovanni Paolo II in cui si dimostra la presenza dei criteri necessari per considerare certo e definitivo quell’atto del Magistero. Se le centinaia di pagine di quello studio dovessero scoraggiarlo, Moia potrà procurarsi una copia del Timone di questo mese dove potrà apprendere in maniera sintetica da padre Carbone perché Humanae vitae è infallibile.

Ma ammettiamo che questi teologi si sbaglino, ciò non cambia una virgola del fatto che la norma sulla contraccezione sia Magistero definitivo. In un intervento pubblicato sull’Osservatore Romano del 4 settembre 1968, il teologo Domenicano Rosario Gagnebet scriveva: “Quando si oppone il carattere non infallibile di questo documento per negare la certezza dell’insegnamento in esso contenuto, sembra si dimentichi che ci sono degli insegnamenti certi nella dottrina cattolica, al di fuori di quelli che hanno fatto oggetto di una proposizione infallibile”. Ancora sull’Osservatore Romano mons. Karol Wojtyla scrisse il 5 gennaio 1968: “Sembra che attraverso tutte le argomentazioni e appelli dell'enciclica, pieni per altro di una drammatica tensione, ci giungano le parole del Maestro: «con la vostra perseveranza salverete le vostre anime» (Luca, 21, 19). Poiché in definitiva si tratta proprio di questo". Pensa forse Luciano Moia che Gagnebet e Wojtyla avessero scritto quei testi in disubbidienza e alle spalle di Paolo VI?