Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
L'ABBANDONO USA

Consiglio per i diritti umani, relativismo elevato a sistema

“C’è un’organizzazione internazionale i cui membri comprendono anche regimi repressivi quali Cuba, Venezuela e Cina". Eppure è nata per proteggere i diritti umani. E' il Consiglio per i Diritti Umani dell'Onu, da cui gli Usa hanno appena annunciato il ritiro. E' il sistema Onu, nel suo complesso, ad essere messo in discussione.

Esteri 22_06_2018
Nikki Haley

“C’è un’organizzazione internazionale i cui membri comprendono anche regimi repressivi quali Cuba, Venezuela e Cina. Quest’organizzazione ha recentemente aggiunto la Repubblica Democratica del Congo, che sta facendo ostruzionismo contro un’indagine sull’assassinio, entro i suoi confini, di due esperti di diritti umani delle Nazioni Unite. Nell’ultimo decennio, questa organizzazione ha approvato più risoluzioni per condannare il solo Israele, di quante non ne abbia emesse per condannare Siria, Iran e Corea del Nord messe assieme. Molti non potrebbero nemmeno immaginare che un’organizzazione di questo genere sia dedita alla protezione dei diritti umani. Ebbene, tutti i dettagli finora elencati riguardano il Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu”. Con questa lettera aperta, pubblicata ieri sul Wall Street Journal, l’ambasciatrice all’Onu degli Stati Uniti, Nikki Haley, spiega il motivo del ritiro del suo paese dall’organismo delle Nazioni Unite. E’ stata una scelta sofferta, ovviamente una decisione che ha fatto discutere tutto il mondo, perché incrina l’immagine delle Nazioni Unite, la loro rispettabilità, persino la loro legittimazione.

Eppure l’immagine e la legittimità stessa del Consiglio erano già profondamente compromessi. Non è certo il ritiro degli Usa (un forte segnale di insofferenza) a incrinarle. Nato nel 2006, sulle ceneri dell’omonima Commissione, per dare più forza alla protezione dei diritti umani, il Consiglio per i Diritti Umani (Unhrc è il suo acronimo internazionale in inglese) si è immediatamente distinto per aver cooptato paesi violatori dei diritti umani. Il casi più clamorosi, nel suo primo anno di vita, erano stati il Pakistan, l’Algeria, la Cina, l’Arabia Saudita, Cuba, tutti cooptati come membri a rotazione senza troppi problemi. La composizione del Consiglio, infatti, come molti altri organismi Onu, è studiata in modo da dare uguale rappresentanza alle varie aree geografiche, più che mirare allo scopo: la protezione dei diritti umani. La Nuova Bussola Quotidiana aveva rilevato nel 2015 la presenza, nel Consiglio, di 15 Stati persecutori di cristiani. Oltre all’Arabia Saudita, che è 12ma nella classifica dei persecutori di cristiani di Open Doors, vi figurano, tra i primi 20 in ordine di gravità delle persecuzioni inflitte, il Pakistan, 8°, la Nigeria, al 10° posto, il Vietnam, 16°, il Qatar 18°. Gli altri stati sono: Kenya, India, Etiopia, Cina, Algeria, Messico, Kazakhstan, Bangladesh, Indonesia ed Emirati Arabi Uniti.

Si rilevava la presenza di questi Stati, violatori dei più basilari diritti di libertà di religione, proprio in occasione di uno dei numerosi scandali del Consiglio: la nomina di Faisal bin Hassan Trad, ambasciatore dell’Arabia Saudita, a capo della commissione incaricata di eleggere gli esperti indipendenti che vigilano sul rispetto dei diritti umani. L’Arabia Saudita: paese in cui molte violazioni dei diritti umani (la decapitazione per un reato come la “stregoneria”, tanto per dirne una) sono prescritte, previste dalla legge. L’Arabia Saudita non ha neppure sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. All’interno del Consiglio, gli Stati membri non sempre concordano sulla definizione stessa di “diritti umani”. Molti di essi hanno sottoscritto altre carte, aggiuntive o alternative, alla Dichiarazione del 1948, pilastro delle Nazioni Unite. Ci sono, infatti, paesi dell’Unione Africana che, nel 1981, hanno sottoscritto la Carta Africana dei Diritti dell’Uomo; paesi dell’Organizzazione della Conferenza Islamica che hanno sottoscritto nel 1990 la Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’islam; paesi della Lega degli stati arabi che nel 1994 hanno sottoscritto la Carta araba dei diritti dell’uomo. Un relativismo integrale, insomma, in cui ogni Stato può giustificare le sue violazioni dei diritti umani, perché afferma la “sua” interpretazione degli stessi. Tutte interpretazioni, non casualmente, contrarie a quella originale, che è considerata frutto dell'egemonia "occidentale", cioè della tradizione giudaico-cristiana. Un relativismo che, come sempre, trova il suo momento unificante nell’accusa a Israele e al sionismo, punto di incrocio di tutti i movimenti di ribellione terzomondista, esempio di “arroganza imperialista” occidentale da abbattere, da usare come foglia di fico per celare i propri crimini e problemi. Il Consiglio, in un decennio, ha condannato 68 volte Israele, 20 volte la Siria, 9 volte la Corea del Nord, 6 volte l’Iran. Altri come Venezuela, Arabia Saudita e Cina, in cui la violazione sistematica dei diritti umani è ampiamente e pubblicamente documentata, non sono mai stati condannati. Nemmeno quando, in Venezuela, ad esempio, si scatena la repressione contro gli oppositori politici.

Proprio l’Arabia Saudita, che dal 2015 assumeva un ruolo tecnico di rilievo, ha impedito ripetutamente al coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per lo Yemen, Johannes Van Der Klaauw, di indagare i responsabili di 8.800 violazioni dei diritti umani avvenute nel paese. Inserita nel 2016 nella lista nera degli Stati che commettono crimini contro l’infanzia, per i bombardamenti indiscriminati nello Yemen e per il blocco navale (in cui le prime vittime, per fame, sono proprio i bambini), l’Arabia Saudita si è fatta subito togliere dall’elenco. L’allora segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, aveva dichiarato all’agenzia Reuters di aver subito “mobbing, minacce e ricatti”, da Riad e dagli altri paesi dell’Organizzazione della Conferenza Islamica.

Sono questi episodi ad aver incrinato l’immagine e la legittimità internazionale dell’Unhrc, non il ritiro americano. “In realtà – spiega la Haley nella sua lettera aperta – il Consiglio fornisce una patina di legittimità a governi che non rispettano i diritti umani e rifiuta di eliminare il suo Punto 7 dall’ordine del giorno, che colpisce Israele in modo selettivo obbligando a includere nell’agenda di ogni sessione un dibattito sul conflitto israelo-palestinese”. L’ambasciatrice degli Stati Uniti spiega che sono soprattutto due i motivi del ritiro, dopo un anno passato a cercare di riformare il Consiglio e le sue procedure. Il primo è la sua stessa composizione del Consiglio. Ma il secondo è ancor più grave: “Molti paesi concordano con gli Usa sulla necessità di prendere le distanze da questi grandi violatori dei diritti umani e nel sostenere Israele. Ma lo fanno solo in incontri a porte chiuse. Nonostante numerose aperture, questi paesi non vogliono schierarsi con gli Usa pubblicamente”.

Alla fine, i problemi che riguardano l’Unhrc in particolare, sono quelli dell’Onu in generale. E’ il “sistema Onu” che viene messo in discussione. Oggi con l’uscita degli Usa dall’Unhrc, domani…