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IL RAPPORTO OPEN DOORS

Cifre dal martirio: saliti a 7100 i cristiani uccisi

Nel 2015 i cristiani uccisi per la loro fede sono saliti a 7.100, contro i 4.344 del 2014, e oltre 2.400 chiese sono state distrutte o gravemente danneggiate, più del doppio rispetto al 2014 quando gli attacchi erano stati 1.062. Lo dice Open Doors, l’organizzazione che documenta le persecuzioni subite dai cristiani nel mondo.

Libertà religiosa 03_05_2016
Sempre più chiese distrutte e cristiani uccisi

Ogni anno migliaia di cristiani vengono uccisi per la loro fede e molti di più subiscono maltrattamenti, discriminazioni e abusi. Secondo Open Doors, l’organizzazione internazionale che da oltre mezzo secolo documenta le persecuzioni subite dai cristiani nel mondo, li soccorre con la preghiera e, se possibile, fornisce loro assistenza e aiuti materiali, nel 2015 i cristiani uccisi per la loro fede sono saliti a 7.100, contro i 4.344 del 2014, e oltre 2.400 chiese sono state attaccate, distrutte o gravemente danneggiate, più del doppio rispetto al 2014 quando gli attacchi erano stati 1.062. 

La più recente vittima cristiana di persecuzione è una donna, Ding Cuimei, morta sepolta viva mentre con il marito, il pastore non ufficiale Li Jiangong, cercava di impedire che la loro chiesa fosse demolita per ordine del governo. È successo il 14 aprile in Cina, a Zhumadian, nella provincia dell’Henan. Ding e Li si erano messi davanti alla chiesa per fermare le ruspe, ma i demolitori proprio con una ruspa li hanno spinti e fatti cadere in una buca e poi l’hanno riempita di terriccio. Il pastore Li è riuscito a liberarsi, ma non ha fatto in tempo a salvare la moglie che è morta soffocata. Dei testimoni sostengono di aver sentito un agente del governo gridare agli operai «seppelliteli, mi assumo io la responsabilità». 

Dal 2013, quando è stata lanciata la campagna “Tre rettifiche e una demolizione” contro edifici e croci cristiani, nella provincia meridionale del Zhejiang e in altre vicine, tra cui quella di Henan, sono già state distrutte almeno 1.700 croci e decine di chiese. Cadono le croci, “troppe”, abbattute per non “deturpare” il paesaggio, ma si moltiplicano i cristiani che ormai in Cina, raggiunti i 100 milioni, superano gli iscritti al Partito comunista che sono 85 milioni.  Sempre il 14 aprile a Pleiku, nel Vietnam centrale, Tran Thi Hông, moglie di un pastore mennonita in prigione dal 2011, è stata picchiata quasi a morte, presa a pugni e calci dalla polizia che voleva sapere di che cosa avesse parlato con i componenti di una delegazione Usa incontrata alcuni giorni prima. 

Priva di sensi, la poveretta è stata poi gettata per strada dagli agenti, davanti a casa sua dove alcuni vicini l’hanno soccorsa. Il marito, Nguyen Cong Chinh, è stato condannato a 11 anni di carcere con l’accusa ritenuta del tutto pretestuosa di essere un nemico dello stato e di aver attentato all’unità nazionale. Prima di essere arrestato aveva già subito la confisca delle sue proprietà e la sua casa di preghiera era stata distrutta. La delegazione Usa molto probabilmente si era informata sulle condizioni di salute e sul trattamento inflitto al pastore. La moglie, nonostante le percosse, non ha risposto alle domande degli agenti.

Pochi giorni prima che Ding venisse uccisa, una donna cristiana in Indonesia, nella provincia di Aceh, è stata condannata a 30 frustate, punizione che le è stata inflitta pubblicamente, alla presenza di circa 1.000 persone. La sua colpa è stata di aver infranto la legge islamica per aver venduto delle bevande alcoliche. Aceh è una provincia a statuto speciale situata nel nord di Sumatra. È l’unica regione dell’Indonesia in cui vige la shari’a, in seguito a un accordo tra il governo centrale e il Movimento per la liberazione di Aceh. Dal 2005 le pene per i trasgressori sono state inasprite, ma finora la legge islamica era stata applicata solo ai fedeli musulmani. 

Tuttavia, dal 2015 è entrata in vigore una norma in base alla quale anche l’operato dei non musulmani in certe situazioni può essere regolamentato. La commerciante cristiana è stata la prima a farne le spese. Nei giorni scorsi altre violenze hanno colpito dei cristiani in India, nello stato di Bihar. Il 5 aprile degli estremisti indu hanno catturato un predicatore nei pressi del villaggio di Budhani Chak e lo hanno torturato crudelmente per cinque ore. Poi gli hanno versato dell’alcol sulle ferite, lo hanno spogliato, lo hanno costretto a bere dell’urina. Infine hanno cercato di fargli insultare Dio infliggendogli delle sacriche elettriche e minacciando di gettarlo sotto un treno. L’uomo ha resistito, disposto a morire piuttosto che pronunciare bestemmie. 

Altri radicali indu il 10 aprile, a Nabinagar, hanno aggredito un pastore e dei fedeli, accusandoli di conversioni forzate, alla fine di un raduno di due giorni organizzato dalla comunità pentecostale Gospel Echoing Missionary Society. Nella classifica Open Doors 2016 dei 50 pPaesi in cui i cristiani sono più perseguitati, la Cina, 33a, e l’Indonesia, 43a, si collocano tra i Paesi in cui la persecuzione è moderata e occasionale. Il Vietnam, al 20° posto, e l’India, 17a, compaiono invece tra i 16 Stati in cui la persecuzione è definita grave. 

In cima alla classifica ci sono nove Paesi in cui la minaccia è tale da essere stata definita estrema. Tra questi figura, al 6° posto, il Pakistan, dove i cristiani hanno subito un attentato jihadista la sera di Pasqua, il 27 marzo, mentre in un parco di Lahore trascorrevano la giornata per la prima volta dichiarata festiva dal governo. È il paese di Asia Bibi, in carcere dal 2009, condannata a morte per blasfemia. La sentenza è stata sospesa lo scorso luglio. Ma l’odio nei suoi confronti, istigato dagli islamici fondamentalisti, è tale che una sentenza di proscioglimento ormai significherebbe per lei morte certa, a meno che potesse subito lasciare il Paese insieme al marito e ai figli.