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CONTINENTE NERO

Chiesa in Africa, la coscienza di un continente

La Chiesa sempre più si fa coscienza di un continente, l’Africa, combattendo ogni giorno per il bene comune. Prime e spesso uniche, nell’indifferenza generale, le Conferenze episcopali degli stati africani provano a dissuadere i giovani dall’emigrare clandestinamente. E i presidenti dal non abusare del loro potere.

Ecclesia 14_05_2018
Vescovi africani

La Chiesa sempre più si fa coscienza di un continente, l’Africa, combattendo ogni giorno per il bene comune. Prime e spesso uniche, nell’indifferenza generale, le Conferenze episcopali degli stati africani provano a dissuadere i giovani dall’emigrare clandestinamente e le famiglie dall’affidare i figli ai trafficanti perchè li portino in Europa a guadagnare soldi da mandare a casa. “Guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali – diceva ai giovani Monsignor Nicola Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo nell’agosto del 2015, aprendo a Kinshasa i lavori dell’Incontro della gioventù cattolica panafricana – utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione di giustizia, pace e riconciliazione durature in Africa. Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi”.

Proprio i vescovi del Congo guidano una battaglia contro il capo dello stato Joseph Kabila per contrastare il suo progetto di conservare a oltranza la carica, che ricopre dal 2001 ed è scaduta nel dicembre del 2016. Prima hanno tentato la via della mediazione. Ma il presidente ha continuato, con degli espedienti, a rimandare il voto sperando nel frattempo di trovare il modo per ricandidarsi, pur avendo già svolto i due mandati previsti dalla costituzione. Quando lo scorso dicembre è stato chiaro che, nonostante le promesse, le elezioni annunciate entro la fine del 2017 sarebbero state di nuovo rinviate, la Chiesa ha deciso di organizzare delle forme di protesta pacifica. A partire dal 14 dicembre, ogni giovedì sera alle 21.00 i parroci di tutte le chiese della capitale Kinshasa fanno suonare le campane per 15 minuti con l’invito alla popolazione di unirsi alle campane facendo rumore, con qualsiasi mezzo: clacson, fischietti, vuvuzela, casseruole. Il Comitato laico di coordinamento, organo della Chiesa cattolica, inoltre ha indetto tre marce di protesta: tre processioni convocate alla fine della messa della domenica e che il governo ha represso duramente sparando ad altezza d’uomo. Il 10 marzo il Comitato aveva deciso di sospendere le manifestazioni in cambio della garanzia che il paese andrà al voto entro il 2018 per eleggere finalmente il nuovo capo dello stato. Ma, invece di dare le garanzie richieste, governo e commissione elettorale parlano adesso di rimandare ancora le elezioni accampando dei pretesti. Per questo il 1° maggio il Comitato ha annunciato la decisione di rompere la tregua e organizzare nuove iniziative di protesta: “chiediamo al popolo congolese di mobilitarsi unito – si legge nel suo appello alla popolazione – in tutte le province, città, villaggi, quartieri, viali e strade, disposto ad affrontare il peggio per ottenere il meglio”.

Anche nell’altro Congo, la Repubblica del Congo, c’è un capo di stato che non intende cedere la carica. Denis Sassou Nguesso è stato presidente dal 1979 al 1992, anno in cui Pascal Lissouba lo ha rovesciato con un colpo di stato. Cinque anni dopo, nel 1997, Sassou Nguesso ha a sua volta organizzato un golpe contro l’avversario e da allora è alla guida del paese, confermato da due vittorie elettorali nel 2002 e nel 2009. Nel 2016 non si sarebbe potuto ricandidare perchè la costituzione allora in vigore fissava a due i mandati presidenziali che un cittadino poteva svolgere e poneva un limite di età che Sassou Nguesso aveva superato. Ma nel 2015 il presidente ha ottenuto che la costituzione venisse emendata con un referendum popolare pilotato, si è ricandidato e ha di nuovo vinto. Alla vigilia del referendum i vescovi congolesi avevano messo in guardia la popolazione dichiarandosi contrari agli emendamenti costituzionali. Nel 2016 si erano rivolti al presidente esortandolo a “salvare la repubblica”.

Adesso riprendono la parola per esprimere la loro preoccupazione per la crisi sociopolitica ed economica del paese. La Conferenza episcopale si è riunita in sessione straordinaria l’8 e il 9 maggio e il giorno successivo ha pubblicato un messaggio molto critico in cui fanno risalire proprio all’imposizione degli emendamenti costituzionali l’origine dei mali che affliggono il paese. Il documento giudica severamente la gestione delle risorse petrolifere: “come si spiega l’attuale mancanza di risorse e l’eccessivo indebitamento dopo 10 anni di crescita durante i quali il paese ha accumulato ricchezze enormi?” Criticando le disuguaglianze economiche, la Conferenza episcopale inoltre denuncia il comportamento di una minoranza di cittadini, corrotti e irresponsabili, che si arricchiscono mentre “nelle famiglie il pasto unico già diventato la regola sempre più si rivela un privilegio”. Infine i vescovi congolesi si dichiarano favorevoli all’iniziativa proposta dalla maggioranza presidenziale che il 4 aprile ha promesso di portare davanti alla giustizia tutti i “criminali economici” colpevoli di aver rubato denaro pubblico: “chi si è impadronito di denaro che appartiene al paese – è il commento dei vescovi – deve restituirlo”.

In effetti la personalità che più ha approfittato della propria carica per arricchirsi è già stata denunciata e indagata, ma dalla procura di Parigi, nel 2008. Denis Sassou Nguesso è stato accusato di sottrazione di fondi pubblici, appropriazione indebita e riciclaggio di denaro. Di sicuro non è risparmiando sullo stipendio di capo di stato che ha potuto acquistare gli immobili di cui la sua famiglia è proprietaria in Francia, tra cui un albergo con piscina intestato a una delle sue figlie, che da solo vale 10 milioni di euro, e un appartamento nel cuore della capitale francese, intestato alla moglie. Eppure l’inchiesta è stata archiviata.