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100 anni di Calvino / 21

Chi dimentica le sue radici rischia di distruggersi

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Nelle Città invisibili (1972) Calvino presenta alcune città che sono metafora del mondo, dell’uomo, della società. Molto interessante è la descrizione di Leonia, che diventa emblema del rapporto del mondo contemporaneo con il vecchio.

Cultura 23_10_2023

C’è un’intervista di Calvino che rappresenta il suo testamento spirituale. È stata pubblicata col titolo Le età dell’uomo (Vent’anni al duemila di Alberto Sinigaglia). Lo scrittore sostiene che una società si definisce dal rapporto che si instaura tra i vecchi e i giovani.

Può essere un rapporto di ammirazione e di imitazione, in cui il ragazzo vuole imitare l’anziano e imparare da lui la tradizione e i costumi. Pensiamo all’autorevolezza che avevano i personaggi romani quando erano anziani ed erano considerati depositari del sapere e della saggezza. Le loro parole erano ascoltate come autorevoli, perché erano dettate da un’eloquenza che era figlia dell’esperienza e del sacrificio. Per questo Cicerone poteva dedicare un dialogo a Catone il Censore intitolato Cato Maior de senectute.

In altre epoche il contrasto tra vecchi e giovani è stato marcato fino ad approdare a nette spaccature e financo a rifiuti come quello del Sessantotto. Nell’epoca contemporanea (e Calvino parla addirittura quarant’anni fa) «il vecchio non è da rimuovere, è già rimosso», perché «oggi si tende a separare i vecchi dal resto della società» e «viviamo in un mondo in cui non si accumula più esperienza».

Nelle Città invisibili (1972) Calvino presenta alcune città che sono metafora del mondo, dell’uomo, della società. Molto interessante è la descrizione di Leonia, che diventa emblema del rapporto del mondo contemporaneo con il vecchio. La città è appassionata del nuovo, sprezzante del passato, anche di quello prossimo che riguardi anche solo il giorno prima:
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.

Tutto quanto è vecchio, cioè del giorno prima, viene accatastato sui marciapiedi e portato dagli spazzaturai, «dentifrici schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana». L’opulenza della città si misura non tanto da ciò che produce quotidianamente, ma da quanto viene buttato via per far posto al nuovo.

La vera passione di Leonia sembra non tanto la novità, ma l’espulsione di ciò che è del giorno prima, considerato già vecchio e quindi impuro. Il compito degli spazzaturai è guardato con rispetto e devozione. L’immondizia è ammucchiata in periferia tanto che negli anni le cataste si sono innalzate e stratificate su un perimetro sempre più ampio. Quali sono le conseguenze?

Più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame del suo passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d’ieri che s’ammucchiano sulle spazzature dell’altroieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri. Il rischio che corre Leonia è una catastrofe. La spazzatura è sempre più alta. Se un solo barattolo o un paio di scarpe cadrà, porterà giù con sé una quantità tale di spazzatura che sommergerà «la città nel proprio passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle città limitrofe, finalmente monde». Avverrà un cataclisma che cancellerà «ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo».
Le città invisibili è «un’opera carciofo», specchio della complessità del mondo. Calvino scrive
La realtà del mondo si presenta ai nostri occhi multipla, spinosa, a strati fittamente sovrapposti. Come un carciofo. Ciò che conta per noi nell’opera letteraria è la possibilità di continuare a sfogliarla come un carciofo infinito, scoprendo dimensioni di lettura sempre nuove.

Il racconto di Leonia può essere letto a molteplici livelli. Calvino non sta riflettendo solo sul degrado, sul consumismo, sull’inquinamento. In realtà, le considerazioni dello scrittore, una volta tolto il velo metaforico, riguardano tutta la cultura contemporanea, tutto il Novecento che ha cercato di demolire e allontanare il passato con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche.

Una civiltà non può dimenticarsi delle sue radici, perché crescerebbe come un tronco sempre più alto non radicato al suolo.

Invece, oggi, cancellate tutte le certezze del passato, rifiutata la tradizione, gran parte della cultura e degli intellettuali contemporanei hanno elevato un inno di liberazione dalle credenze e dalle superstizioni antiche, sentendosi affrancati dal Mistero e da Dio, convinti che si potesse finalmente ripartire ex nihilo, senza debiti con il passato con la finalità di creare un mondo nuovo.

Spenti tutti i lanternoni del passato, l’epoca contemporanea assiste all’accensione di un nuovo lanternone culturale che nega l’esistenza di qualsiasi verità assoluta. All’evidenza delle cose si è sostituito il dubbio applicato ad ogni campo, investendo ogni aspetto del reale. Di fronte al dubbio generalizzato l’uomo non sa più come affrontare l’avventura del reale.

L’uomo di Leonia si vuole liberare di ogni peso, del passato, della realtà alla ricerca di qualcosa di nuovo, sempre e comunque. In questo modo, tagliando i ponti con il passato, non ha le chiavi per comprendere il presente e per generare fecondità nel futuro. L’uomo di Leonia è l’uomo contemporaneo, che vive in una gaia disperazione, pensando di poter fare a meno di Dio, dimenticandosi così del suo destino. Vuole vivere leggero, gettando via tutto quello che possa rappresentare un peso, un’occasione di riflessione o di rimorso di coscienza. Cerca la serenità, la tranquillità. Vuole vivere ottimista, anche se senza ragioni di speranza.

L’uomo di Leonia che si sbarazza di tutto rappresenta il disimpegno con il reale. Non sente il peso della vita e delle difficoltà, vuole sentirsi leggero. La leggerezza dell’io è l’altra faccia della medaglia dell’insostenibile pesantezza di una realtà divenuta incognita, inconoscibile, carcere tetro e ragnatela che impedisce di evadere. La leggerezza dell’essere è conseguenza dell’incapacità a reggere un rapporto vero con la realtà, che è diventata insopportabile, una volta che si è fatto fuori il Mistero, il Creatore, il Destino, una volta che si è soli e che ci si percepisce soli.

L’uomo si sente leggero, perché si percepisce autonomo, non vuole responsabilità, non si prende cura degli altri, ma solo di se stesso. O così almeno crede.