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SCENARI

Camere al via, ma lo stallo fa gola a Lega e M5S

E’ iniziata la settimana decisiva per la diciottesima legislatura. Da ieri i senatori e da oggi i deputati si stanno registrando per poter accedere ai loro uffici e iniziare l’attività parlamentare. Cinque Stelle e Lega non si strapperebbero i capelli se lo stallo prolungato costringesse il Capo dello Stato a sciogliere nuovamente le Camere.

Politica 20_03_2018
L'accoglienza dei neo senatori

E’ iniziata la settimana decisiva per la diciottesima legislatura. Da ieri i senatori e da oggi i deputati si stanno registrando per poter accedere ai loro uffici e iniziare l’attività parlamentare. La prima riunione di entrambe le Camere è fissata per venerdì mattina, quando sia alla Camera che al Senato si costituiranno i gruppi parlamentari e inizieranno le votazioni per l’elezione dei Presidenti. 

Nel frattempo le diplomazie dei vari gruppi politici lavorano a uno schema di accordo che consenta un’elezione condivisa delle guide dei due rami del Parlamento e, soprattutto, la formazione di un governo. Ciò che risalta di più, al momento, sono le divisioni nel centrodestra e nel centrosinistra, ma anche nel Movimento Cinque Stelle, dove la base appare equamente divisa tra i duri e puri, contrari a qualsiasi alleanza con Lega o Pd, e i trattativisti, alcuni dei quali guardano con più favore al Carroccio mentre altri con maggiore simpatia ai dem.

Al di là di quanto dichiarato ufficialmente, Cinque Stelle e Lega non si strapperebbero i capelli se lo stallo prolungato costringesse il Capo dello Stato a sciogliere nuovamente le Camere. Entrambe quelle forze politiche avrebbero tutto da guadagnare da un repentino ricorso alle urne, come dicono i sondaggi più accreditati. Tanti elettori di centrosinistra e di centrodestra, che il 4 marzo hanno ancora dato fiducia a Forza Italia e Pd (o a Liberi e Uguali), si dicono pronti a votare per i Cinque Stelle o per la Lega, proprio per favorire la governabilità e per evitare che non si riesca a formare un esecutivo. Un voto anticipato in autunno porterebbe, quindi, una polarizzazione del consenso e consentirebbe, con ogni probabilità, ai pentastellati di drenare consensi dal bacino dem e da quello del partito di Grasso, e ai leghisti di svuotare Forza Italia e il serbatoio dei residui voti centristi. Peraltro anche nel centrodestra c’è più di qualcuno che voterebbe Cinque Stelle, dopo le aperture governiste e l’approccio moderato mostrato da Luigi Di Maio in queste ultime settimane.

Quindi sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio hanno tutto da guadagnare e possono giocare in autonomia due partite: quella di un’intesa a due per l’elezione dei Presidenti delle Camere (lasciando a bocca asciutta Pd e Forza Italia) e quella di un governo a due per “aggiustare” la legge elettorale introducendo un premio alla lista (o alla coalizione) più votata, per poi consentire a Mattarella di sciogliere le Camere con la certezza di veder uscire dalle urne una maggioranza comunque certa. Se si arrivasse al premio alla lista, al centrodestra non resterebbe altro da fare che il partito unico, a quel punto egemonizzato dallo stesso Salvini, candidato premier.

Unica incognita nel processo di progressivo assorbimento degli azzurri nella Lega riguarda gli effetti che potrebbero prodursi sui governi regionali di Lombardia, Liguria e Veneto. Attualmente le tre giunte di centrodestra sono solide e governano con ottimi risultati, tanto che in nessuna di quelle tre regioni il Movimento Cinque Stelle è riuscito a sfondare. Se Lega e Forza Italia arrivassero alla resa dei conti e se le mire egemoniche di Salvini sulle truppe azzurre irritassero Berlusconi e i suoi che cosa potrebbe accadere?

Sul fronte della sinistra la situazione è ancora più frastagliata e incerta. Liberi e Uguali, che baldanzosamente in campagna elettorale mirava a un risultato a due cifre per poter dettare le condizioni della futura alleanza di centrosinistra post-renziana, ora sta toccando con mano la sua irrilevanza numerica e sa già che, in caso di elezioni in autunno, ben difficilmente sotto la guida di Piero Grasso potrebbe conseguire un risultato più incoraggiante. Dunque i bersaniani sarebbero pronti ad appoggiare qualsiasi esecutivo in grado di scongiurare lo scioglimento anticipato delle urne.

Non è poi così tanto diversa la situazione in casa dem. Lo sfogo di Nicholas Ferrante, un militante Pd di 21 anni, di Avellino, che nei giorni scorsi all’assemblea di Sinistra Dem, a Roma, ha tuonato contro i signori delle tessere e ha accusato il suo partito di essere marcio e clientelare, è solo l’ennesima riprova di uno scollamento dei vertici dem dalla base. Mentre i renziani, giocando di sponda con i berlusconiani, si dicono contrari ad ogni eventuale patto di governo con i Cinque Stelle, l’asse Gentiloni-Franceschini, ma anche l’ala Emiliano-Boccia, non sono pregiudizialmente contrari a quell’alleanza, anzi potrebbero prenderla in considerazione anche con un appoggio esterno su singoli provvedimenti, sempre nel tentativo di evitare un repentino “rompete le righe”. Il Pd è uscito a pezzi dalle urne del 4 marzo e ora non ha una guida politica, ma solo una reggenza affidata al vicesegretario, Maurizio Martina. In aprile ci sarà l’assemblea del partito che stabilirà le regole della successione al dimissionario Matteo Renzi, che ha già fatto sapere che non si candiderà.

Ma i suoi, dentro e fuori il partito, e nelle trattative per il nuovo governo, faranno pesare i loro voti. La maggioranza dei parlamentari dem sono renziani, ma si sa che di fronte al rischio di perdere il posto e di tornare a chiedere il voto agli italiani sarebbero molte le “crisi di coscienza” e i cambi di casacca. Le precedenti legislature insegnano. Dunque fa sorridere l’appello di uno degli sconfitti, Silvio Berlusconi, ai suoi parlamentari (“Fatevi un amico parlamentare Cinque Stelle e portatelo dalla nostra parte”). La verità è che le carte in mano le hanno altri. Il Quirinale punta a far cuocere tutti a fuoco lento, prima di estrarre dal cilindro quella soluzione istituzionale che potrebbe mettere tutti d’accordo e rimandare lo scontro di un anno, fino al prossimo election day, il 26 maggio 2019, con la probabile coincidenza tra elezioni europee e nuove elezioni politiche.