Burkina Faso, Niger, Mali, il triangolo del jihad
Chiese attaccate, missionari rapiti o uccisi nel Burkina Faso, episodi crescenti soprattutto ai confini con il Mali e con il Niger. Proliferano i gruppi di jihadisti, legati a Isis e Al Qaeda. Proliferano in Stati corrotti e inefficienti, attraggono reclute non musulmane attratte dalla paga e dalla prospettiva dei saccheggi.
La notizia dell’attacco alla chiesa di Silgadji, nel nord del Burkina Faso, sta ricordando al mondo che l’Africa è infestata da gruppi armati jihadisti, molti dei quali legati ad al Qaeda o all’Isis. Per il fatto che nel video diffuso nei giorni scorsi Abu Bakr al-Baghdadi si complimenta con i combattenti del Burkina Faso e del Mali, si può pensare che ad agire sia stato un gruppo legato all’Isis, lo Stato Islamico. Finora però manca una rivendicazione e nel paese gli attacchi più cruenti, a un albergo e a un caffè nel 2016 e a un ristorante nel 2017, nel cuore della capitale Ouagadougou, sono stati rivendicati da gruppi affiliati ad al Qaeda. Da allora di azioni jihadiste clamorose non se ne sono più verificate. Tuttavia la presenza jihadista, soprattutto nel nord est, al confine con il Mali e con il Niger, è andata crescendo. Negli ultimi quattro anni più di 300 persone sono state uccise. I miliziani, contrari all’educazione occidentale come Boko Haram in Nigeria, colpiscono spesso scuole e insegnanti. Il 26 aprile cinque insegnanti hanno perso la vita in un attacco e altri due, rapiti l’11 marzo, erano stati uccisi il 20 marzo. Per motivi di sicurezza 1.111 scuole su 2.869 hanno chiuso negli ultimi mesi.
Domenica 28 aprile a Silgadji un gruppo di uomini armati, arrivati a bordo di sette motociclette, hanno ucciso sei persone tra cui il Pastore officiante e due suoi figli. Dicono che è la prima volta che viene presa di mira una chiesa, ma monsignor Laurent Dabiré, vescovo di Dori, sostiene che il 5 aprile in un villaggio della sua diocesi, degli uomini sono entrati in una chiesa cattolica dove i fedeli stavano celebrando la Via Crucis e, dopo aver separato gli uomini dalle donne e dai bambini, ne hanno uccisi quattro mentre tentavano di fuggire. Infine prima di andarsene hanno saccheggiato il villaggio.
Vittima presumibilmente di un commando jihadista è stato anche padre Antonio César Fernandez, un missionario salesiano. Il 15 febbraio scorso stava tornando dal Togo quando, a un posto di blocco, degli uomini hanno circondato la sua auto, lo hanno costretto a scendere e lo hanno ucciso con tre colpi di arma da fuoco risparmiando invece due confratelli che viaggiavano con lui.
Data la situazione, si teme per la sorte di don Joël Yougbaré, scomparso domenica 17 marzo mentre stava tornando nella sua parrocchia, Djibo, dopo aver celebrato la messa in un villaggio vicino. La notizia che il suo corpo impiccato era stato rinvenuto è stata smentita da monsignor Laurent Dabiré. In Niger è per la vita del missionario Sma padre Pierluigi Maccalli che si prega. È stato rapito al confine con il Burkina Faso nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2018 nella missione di Bomoanga, un’area del paese, a maggioranza islamica, in cui il cristianesimo è molto diffuso. A sequestrarlo potrebbero essere dei jihadisti provenienti dal Burkina Faso o dal Mali. Da allora di lui non si hanno notizie certe.
Burkina Faso, Niger, Mali da molti anni sono sotto la minaccia del jihad. Tutti i paesi della fascia sub sahariana del continente africano lo sono, dal Senegal alla Somalia. Sulla costa orientale, inoltre, dalla Somalia il jihad è riuscito a infiltrarsi a sud, in Tanzania e Mozambico.
Nei paesi a maggioranza musulmana, come il Mali, il Niger e il Burkina Faso, gli imam fondamentalisti conquistano facilmente consensi al jihad denunciando la corruzione delle leadership, attribuendola al mancato rispetto della legge islamica. Anche quando il dovere di combattere la guerra santa è poco sentito, altri fattori favoriscono il reclutamento dei combattenti. Migliaia di giovani in tutto il continente, persino non di fede islamica, entrano nei gruppi jihadisti allettati dalla paga, dal bottino e dal potere di essere armati e incutere paura. Indagini condotte in Kenya tra giovani “disertori”, ex jihadisti, hanno rivelato che molti ragazzi si arruolano negli Al Shabaab, il gruppo armato somalo legato ad al Qaeda, unicamente per denaro. I reclutatori battono soprattutto i grandi centri urbani dove si concentrano masse di giovani disposti a tentare il jihad perché sono disoccupati o perché svolgono lavori mal pagati. I jihadisti africani stringono rapporti di collaborazione con bande criminali che contrabbandano droga, armi, che praticano la tratta di donne e bambini. Gli Al Shabaab, ad esempio, si finanziano con il contrabbando di avorio e di khat, una droga, in Kenya e Tanzania, e con quello di legname, eroina e pietre preziose nel nord del Mozambico.
La guerra santa in Africa, almeno per una parte dei jihadisti, diventa inoltre una modalità della conflittualità tribale. Il cristianesimo e l’islam in modo diverso hanno proposto entrambi il superamento del tribalismo. Invece la religione ne è diventato quasi sempre un fattore, che esaspera ulteriormente i sentimenti di avversione e intolleranza. È il caso dei frequenti scontri tra i pastori transumanti di fede musulmana Fulani/Peul e i cristiani di varie etnie, per lo più agricoltori, in una fascia di territorio che va dal Mali alla Repubblica Centrafricana. Le vittime sono spesso i cristiani, ma a scatenare la violenza per lo più sono il controllo di pascoli e sorgenti e le razzie di bestiame.