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ECONOMIA SOTTO ACCUSA

Braccio di ferro con Tria, ma la corda potrebbe spezzarsi

Quanto sta accadendo al governo nello scontro con Tria ricorda le tensioni scoppiate nel secondo governo Berlusconi con il ministro degli Esteri Ruggiero: corpo estraneo alla politica, ma garante dei "poteri forti". Il rischio di strappi è concreto, ma Di Maio e Salvini devono stare attenti a non esagerare perché interrompere la legislatura senza aver portato a casa nulla potrebbe essere controproducente. 

Politica 21_09_2018
Il ministro Giovanni Tria

A volte la storia si ripete. Cambiano i protagonisti ma il canovaccio sembra lo stesso. In politica in modo particolare, i contendenti spesso sono costretti dalle situazioni ad assumere atteggiamenti anche abbastanza prevedibili, che poi portano ad esiti altrettanto scontati. Quanto sta accadendo al governo in questi giorni a proposito della manovra finanziaria ricorda tanto alcune tensioni scoppiate nel secondo governo Berlusconi, nel 2001, quando l’allora Ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, ingaggiò un duello logorante con i partiti che sostenevano quell’esecutivo, e in particolare col premier, fino a decidere di rassegnare le dimissioni e di lasciare l’incarico.

Quel 5 gennaio 2002, Ruggiero gettò la spugna al termine di un colloquio, a Palazzo Chigi, con il Sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta. Motivo scatenante il botta e risposta con lo stesso Berlusconi a proposito di una presunta "freddezza" del governo, sull'avvio dell'euro e sulla vocazione europeista dell'esecutivo. Ruggiero, ex direttore del Wto, era stato chiamato per le sue ottime entrature internazionali, per la stima di cui godeva sia nell'Unione europea che negli Stati Uniti. Non a caso la sua nomina alla Farnesina era stata vista con favore sia dal Capo dello Stato dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi sia dagli ambienti confindustriali vicini alla Fiat.

Ma quando Ruggiero si dimise, da Palazzo Chigi definirono il suo allontanamento “consensuale”, proprio per stoppare sul nascere le prevedibili polemiche. Che comunque non mancarono nei giorni immediatamente successivi.

Sono in molti, in queste ore, a profetizzare che Giovanni Tria, Ministro dell’Economia, possa fare altrettanto, non volendosi piegare in alcun modo ai diktat dei partiti di governo, in particolare di Luigi Di Maio, che lo ha esortato a trovare le risorse per finanziare i vari provvedimenti come il reddito di cittadinanza annunciati in campagna elettorale dallo stesso Ministro dello Sviluppo economico e dagli altri vertici pentastellati.

Il rallentamento del Pil, le nubi che sembrano addensarsi all’orizzonte per quanto riguarda l’occupazione, suggeriscono prudenza all’esecutivo Conte rispetto a quanto inserire nella manovra di bilancio. I nodi verranno presto al pettine quando bisognerà presentare la nota di variazione al Def e, nel mese di ottobre, quando sarà varata la legge di bilancio.

Lì si capirà se sia componibile la frattura tra il Ministro Tria e i due azionisti di governo, uno in particolare, Di Maio, assediato dai suoi oppositori interni, che mal digeriscono l’intesa con la Lega, soprattutto da quando Matteo Salvini è tornato a flirtare con Silvio Berlusconi e a parlare di compattezza della coalizione di centrodestra.

In realtà ci sono degli elementi di profonda diversità con il precedente di Renato Ruggiero, il tecnico scaricato dal secondo governo Berlusconi. E’ vero, lui come Tria veniva percepito come un corpo estraneo dai partiti che tenevano in piedi l’esecutivo. Ma lui era ambasciatore, alto funzionario della Commissione Ue, Ministro degli Esteri, dunque guidava la diplomazia, non aveva in mano i cordoni della borsa. In questo caso l’attuale titolare del dicastero di Via XX Settembre è il garante del governo giallo-verde presso i mercati, colui che rassicura i creditori dello Stato italiano e tiene lontani gli speculatori.

Se si dimettesse Tria, il governo sarebbe molto più debole e attaccabile, qualcuno avrebbe buon gioco nel tentare di far cadere l’esecutivo anche perché ben difficilmente si troverebbe un sostituto più malleabile di lui e in grado di farsi imporre dai due vicepremier la linea da seguire in materia di legge di stabilità. 

Per ora Tria ha dovuto rinunciare all’uomo che avrebbe voluto alla Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco, e digerire quello scelto da Lega e 5S, Fabrizio Palermo. Ma sulla manovra ben difficilmente si piegherà.

Sono soprattutto i grillini a vedere in Tria un nemico, intenzionato secondo loro a smontare l’impalcatura del contratto di governo, per spegnere i sogni giallo-verdi e realizzare il disegno di Mario Draghi e Sergio Mattarella, che sarebbe quello di un governo tecnico o comunque più filo-europeista.

Il rischio di strappi è concreto, ma Di Maio e Salvini devono stare attenti a non esagerare. Tornare alle urne senza aver portato a casa nulla potrebbe non essere una mossa azzeccata. Gli elettori pretendono risultati concreti e in tempi brevi.  Molti di loro, in caso di elezioni anticipate, potrebbero convertirsi ad altre proposte politiche. La storia recente insegna che, peraltro, i cicli durano ben poco e, proprio quando sembra che non ci siano alternative credibili, spuntano all’orizzonte opzioni nuove. Far cadere Tria potrebbe essere l’inizio della fine, in particolare per Luigi Di Maio.