Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
LETTERA

Bergamo Pride, la menzogna sul rispetto delle diversità

Per capire quanto il Gay Pride sia un colossale inganno basta guardarlo per quello che è: un’occasione per etichettare le persone come “lesbiche”, “gay”, “bisessuale”, “eterosessuale”, “omosessuali”, “queer” e chi più ne ha più ne metta.

Attualità 16_05_2018

Caro direttore,

quest’anno per la prima volta le strade della mia città vedranno sfilare il Gay Pride.

Il falso rispetto sbandierato dagli organizzatori lì sotto gli occhi di tutti, nello slogan stesso della parata: “Educare alle differenze per combattere l’odio”.  Nero su bianco, o meglio su arcobaleno, ci sono loro, le differenze. Come a voler ribadire, specificare, rimarcare l’esatto opposto di quello che vorrebbero tentare di dimostrare, ovvero che ci sono le differenze. Come se ci fossero delle persone differenti, delle categorie differenti, delle differenze oggettive da mettere in risalto, anzi a cui bisogna educare. Ma differenti da cosa? Da chi? Perché?

Nella sezione Manifesto Politico del sito dell’evento si legge: “Bergamo Pride 2018 – Giù la maschera! nasce proprio con l’intento di essere un’occasione di confronto finalizzata alla costruzione di una città sempre più aperta al dialogo con le differenze. Una città in cui potersi sentire al sicuro e in cui persone con orientamenti sessuali, etnie e generi diversi possano cooperare al di là dei pregiudizi”.

Ma decretare che ci sono delle differenze tra persone per via della razza o dell’orientamento sessuale, non è forse la prima forma di discriminazione?

Ecco, per capire quanto il Gay Pride sia un colossale inganno basta guardarlo per quello che è: un’occasione per etichettare le persone come “lesbiche”, “gay”, “bisessuale”, “eterosessuale”, “omosessuali”, “queer” e chi più ne ha più ne metta. Un momento per incasellare tutte le persone con attrazione per lo stesso sesso nella cosiddetta “comunità Lgbt”, una sorta di recinto con chi è dentro e chi è fuori, una riduzione della persona alla sua attrazione sessuale, uno svilimento dell’essere umano, una svalutazione della grandezza di ciascuno, una negazione della realtà. E’ questo di cui c’è da andare orgogliosi?

Ci sarebbe invece bisogno di un’educazione alla realtà: noi siamo uomini o donne, niente di meno di questa grandezza, e se qualcuno tenta di ridurre questo splendore non è né rispettoso, né dialogante, né accogliente: è un bugiardo presuntuoso che pensa di essere così magnanimo da essere disposto persino ad accogliere chi reputa diverso. Non solo, chi propaga questa menzogna ha la responsabilità di ingannare tutte quelle persone che l’attrazione per lo stesso sesso la vivono sulla propria pelle illudendole che una sfilata provocatoria o la richiesta di diritti declinati unicamente sulla comunità “lgbt” conducano alla felicità.

 Restano l’amarezza e il dolore di costatare che nessuna voce in città si sia levata per smascherare questo inganno, per denunciare questa menzogna e soprattutto per offrire un approccio cristiano e quindi pienamente umano alla questione, nemmeno la nostra amata Chiesa di Bergamo. Forse per timore di subire attacchi, forse in nome del politicamente corretto ci si è scordati quello che scriveva Ratzinger nel 1986 “La Chiesa non può non preoccuparsi di tutto questo e pertanto mantiene ferma la sua chiara posizione al riguardo, che non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento. Essa si preoccupa sinceramente anche dei molti che non si sentono rappresentati dai movimenti pro-omosessuali, e di quelli che potrebbero essere tentati di credere alla loro ingannevole propaganda. Essa è consapevole che l'opinione, secondo la quale l'attività omosessuale sarebbe equivalente, o almeno altrettanto accettabile, quanto l'espressione sessuale dell'amore coniugale, ha un'incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo”. L’allora prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede quasi trent’anni fa metteva in guardia dalla pressione di gruppi “mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. Essi manifestano, anche se non in modo del tutto cosciente, un'ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo”.

Quel testo andrebbe riletto oggi e meditato, tanto è attuale. Scritto per la pastorale delle persone con attrazione per lo stesso sesso, è profondamente vera, e quindi autenticamente cristiana, perciò parla al cuore di tutti: “La persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento solo al suo orientamento sessuale. Qualsiasi persona che vive sulla faccia della terra ha problemi e difficoltà personali, ma anche opportunità di crescita, risorse, talenti e doni propri. La Chiesa offre quel contesto del quale oggi si sente una estrema esigenza per la cura della persona umana, proprio quando rifiuta di considerare la persona puramente come un «eterosessuale» o un «omosessuale» e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna”.

Meno di questa grandezza, non chiamatelo amore.