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STATI UNITI

Bannon licenziato, una vittoria liberal

Il licenziamento del fido consigliere Steve Bannon fa perdere al presidente Trump un aggancio importante al mondo conservatore. Diverse le speculazioni sui motivi, ma tutto fa pensare che Bannon sia entrato nel mirino del genero di Trump, Jared Kushner, che fa capo all'ala globalista dell'amministrazione.

Esteri 20_08_2017
Steve Bannon

Venerdì 18 agosto il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump ha licenziato Steven K. Bannon, definito dai media anti-Trump (la stragrande maggioranza) l’«anima nera» dell’Amministrazione in carica. Non ricoprirà più il rango di “Chief Strategist” della Casa Bianca e probabilmente non verrà rimpiazzato, visto che nel dicembre scorso Trump aveva creato quel ruolo apposta per lui.

A caldo - e maliziosamente - il licenziamento è stato imputato ai tragici fatti di Charlottesville, in Virginia. Il 12 agosto i “suprematisti bianchi” - una congerie di fanatici contraddistinti da una teologia delirante (clicca qui) condita in salsa neonazista (clicca qui) e la cui punta di diamante è il Ku Klux Klan (KKK) - sono scesi in piazza per protestare contro la rimozione di una statua del generale confederato Robert E. Lee (1807-1870) - la nobile eredità “sudista” non va però lasciata nelle mani di questi mitomani cialtroni -, finendo per scontrarsi con una contromanifestazione antirazzista. Quando un’automobile guidata dal suprematista James Alex Fields Jr., 20 anni, si è scagliata sulla folla, Heather Heyer, 32 anni, è rimasta uccisa e altre 19 persone ferite.

Spiegando però così il siluramento di Bannon altro non si fa che dare fiato, per l’ennesima volta, al solito teorema su Trump. Il presidente - dice infatti il teorema - è un fanatico nazional-populista che da sempre flirta, e forse anche qualcosa di più, con il mondo dell’estremismo alla KKK. Questo accade - prosegue il teorema - perché a dargli gas è proprio Bannon, descritto - dal teorema - come il leader oltranzista dell’«alt-right» (“alt” sta per “alternative”), ovvero la Destra estremista. Questa è nota da decenni nei libri di storia come “far-right”, ma oggi è stata ribattezzata dalla stampa liberal con questa etichetta che si rivela essere sempre più di comodo (la notazione più importante è che la “far-right” è sempre stata distinta, anzi nemica del conservatorismo). Con Trump l’«alt-right» sarebbe dunque andata finalmente al potere. A Charlottesville c’è però scappato il morto e così il presidente, già in crisi - secondo il teorema -, ha pensato di photoshoppare la propria immagine sacrificando Bannon.

Che sia un castello di carte lo mostra l’infondatezza delle premesse. Prima di sostenere questa versione, occorrerebbe infatti dimostrare che Trump sia davvero prossimo al suprematismo bianco, quindi (e soprattutto) che lo sia Bannon, infine che Trump abbia, su questo fronte, qualcosa da farsi perdonare al prezzo di Bannon.

La verità è che né Trump né Bannon sono minimamente legati, vicini o anche solo somiglianti al KKK e dintorni. Sui tragici fatti di Charlottesville, Trump ha detto: «Il razzismo è male. E coloro che scatenano la violenza in nome di esso sono dei criminali e dei delinquenti, compresi il KKK, i neonazisti, i suprematisti e gli altri gruppi d’odio che ripugnano a tutto ciò che abbiamo caro in quanto americani» (clicca qui). E Bannon - in un’intervista al periodico progressista The American Prospect - ha definito i suprematisti «[...] una banda di pagliacci» (clicca qui).

Il mondo intero ricorda inoltre che Bannon, prima di affiancare Trump alla Casa Bianca, dirigeva il sito d’informazioni Breitbart News. Ora, a parte che la Repubblica dovrebbe smetterla di scrivere (lo ha fatto più volte) che Breitbart News è un sito specializzato in fake news (clicca qui) semplicemente perché pubblica notizie che a Repubblica non piacciono (mentre il dio del giornalismo italiano se ne sta zitto e muto davanti a un’accusa tanto grande e indimostrata), Breitbart News è stato concepito dal giornalista conservatore ebreo-americano Andrew Breitbart (1969-2012) a Gerusalemme nel 2007 per controbattere alle accuse della Sinistra internazionale contro Israele. E non è cambiato. I solerti elaboratori di teoremi anti-Trump ne inventassero insomma uno più credibile.

Stando così le cose, il siluramento di Bannon deve avere un’altra ragione. Certamente è troppo presto per dire l’ultima parole sulla vicenda, però qualche importante elemento di valutazione già c’è.

Solo poche settimane fa, su queste stesse colonne, veniva rievocata la vicenda del grave licenziamento, da parte di Trump, di Reince Priebus, capo di gabinetto presidenziale, evocandone anche certi retroscena (clicca qui). In quell’occasione si diceva che nel mirino di Trump, oltre a Priebus, c’era proprio anche Bannon, il fidatissimo Bannon. Assurdo, visti i legami profondi tra i due; assurdo sì, a meno che il mirino in cui sono finiti prima Priebus e poi Bannon sembri di Trump ma in realtà sia di altri.

Nel caso di Priebus il mirino era quello di Anthony Scaramucci, allora nuovo direttore dell’Ufficio comunicazioni della Casa Bianca, e soprattutto del mondo liberal che quegli rappresenta. Scaramucci ci ha poi rimesso del suo, ma l’obiettivo, cioè cacciare il prezioso Priebus, lo ha centrato (clicca qui). Nel caso di Bannon, invece, il mirino potrebbe essere quello di Jared Kushner, il potente e influente genero di Trump che con il conservatorismo non ha niente a che fare. Scrive infatti il consuetamente bene informato Politico.com che Bannon «[...] ha cozzato in modo particolare con l’ala globalista della Casa Bianca, tra cui vi sono il genero di Trump nonché suo consigliere anziano Jared Kushner e Gary Cohn, direttore del National Economic Council» (clicca qui). Del resto i nemici di Bannon dentro l’Amministrazione Trump potrebbero avere benissimo sfruttato i fatti di Charlottesville per dare in pasto ai media una scusa digeribile del suo dimissionamento.

Priebus e Bannon sono due personaggi assai diversi, ma sono (erano) entrambi strategici per tenere legato a Trump quel variegato mondo conservatore (c’è il movimento, infatti, e c’è il Partito Repubblicano, volti diversi della Destra americana di oggi, e sempre da non confondere con la galassia del suprematismo della “far-right” di cui sono avversari e avversati) che altrimenti da alleato (seppur a volte obtorto collo) si trasformerebbe in acerrimo nemico. Eliminati dunque loro, il legame di Trump con il mondo conservatore (cioè, strategicamente, con le sue diverse anime) non sparisce del tutto (legami forti ce ne sono ancora, in primis il vicepresidente Mike Pence), ma subisce un colpo durissimo.

Se uno fosse malizioso potrebbe del resto ricostruire il quadro generale nel modo seguente. Il mondo liberal non si aspettava la presidenza Trump. Ha quindi ingoiato il boccone amaro, scatenando le piazze per distrarre l’opinione pubblica da manovre più sottili tese a esorcizzare l’aspetto più pericoloso della nuova Amministrazione: gli elementi conservatori in essa presenti, che promettono la cancellazione di molto di quanto di male ha in otto anni fatto Barack Obama. E quel modo più sottile è la decimazione progressiva dei personaggi che in qualche modo potrebbero fare la differenza. Non si spiegherebbero altrimenti gl’ingressi nell’Amministrazione di corpi alieni quali Kushner e Scaramucci. Si obietterà che sia uno sia l’altro li ha nominati Trump. Vero. Ma questo significa che anche un cane sciolto come lui ha, per molti aspetti, le mani legate nei confronti di quel potentissimo mondo liberal la cui rappresaglia spara ad altezza uomo.