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SIRIA

Astana: con gli Usa assenti, poche chance di accordo

A un mese dalla fine della battaglia di Aleppo - e con lo Stato Islamico tornato in queste ore a mostrare tutta la sua pericolosità a Deir Ezzor e a Palmira - riparte domani da Astana, la capitale del Kazakhstan, il negoziato sul futuro della Siria. Gli Usa non ci saranno, a causa della presenza dell'Iran.

Esteri 22_01_2017
Assad

A un mese dalla fine della battaglia di Aleppo - e con lo Stato Islamico tornato in queste ore a mostrare tutta la sua pericolosità a Deir Ezzor e a Palmira - riparte domani da Astana, la capitale del Kazakhstan, il negoziato sul futuro della Siria. È arrivato infatti il giorno del vertice annunciato da Russia, Turchia e Iran, la troika dei nuovi equilibri venutisi a creare nell'area negli ultimi mesi. L'appuntamento di Astana era stato infatti indicato come il naturale proseguimento dell'intesa tra Mosca e Ankara sull'evacuazione di Aleppo Est. Con l'obiettivo di estendere a tutta la Siria la tregua perlomeno tra le forze leali al presidente Bashar al Assad e le fazioni ribelli sostenute dalla Turchia, che hanno ora nella città di Idlib la loro roccaforte.

Ad Astana - insieme alle tre potenze regionali che hanno promosso il tavolo - saranno presenti la delegazione del governo siriano, guidata dall'ambasciatore all'Onu Bashar al-Jaafari, e quella capinata da Mohammad Alloush in rappresentanza di alcuni tra i gruppi armati ribelli (i più «sensibili» alle indicazioni di Ankara, che ancora l'altro giorno per bocca di un esponente di governo ha ripetuto che ormai «non è realista» una soluzione in Siria senza un negoziato con Bashar al Assad).

Chi non ci sarà, invece, è l'amministrazione Trump. Negli ultimi giorni le quotazioni di una sua possibile presenza erano cresciute, dopo che era trapelata la notizia dell'invito ufficiale rivolto da Mosca (del resto la scelta di una data successiva al 20 gennaio aveva subito fatto pensare a questa intenzione). Andando ad Astana Washington avrebbe marcato in maniera molto netta il cambio di atteggiamento rispetto all'amministrazione Obama sul dossier Siria. Invece, almeno per il momento, il neo segretario di Stato Rex Tillerson ha scelto di non scoprire le carte: ieri il dipartimento di Stato ha reso noto che al vertice andrà solo l'ambasciatore in carica nel Paese, George Krol. Un diplomatico nominato dalla precedente amministrazione e che al vertice non potrà aver alcun altro ruolo se non quello di osservatore.

Ufficialmente il Dipartimento di Stato ha motivato la scelta collegandola ai tempi ristretti della transizione a Washington. Ma è una giustificazione, evidentemente, debole: la verità e che - almeno per il momento - la Casa Bianca non sposa l'iniziativa a tre promossa da Russia, Turchia e Iran, preferendo piuttosto attendere l'appuntamento dell'8 febbraio, quando a Ginevra sulla Siria è previsto l'inizio di una nuova sessione dei colloqui promossi dall'Onu. È vero che le due iniziative non sono tra loro in alternativa: lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per esempio, ha dato mandato al proprio inviato per la Siria Staffan de Mistura di essere presente ai colloqui di Astana, intendendoli come un preambolo importante dove verificare le effettive possibilità del tavolo negoziale ufficiale. Ma il problema di Astana, per l'amministrazione Trump, è il ruolo riservato a quel tavolo all'Iran, che è il grande punto di domanda rispetto alla politica dell'America First rispetto al Medio Oriente. Perché - finita la campagna elettorale - è assolutamente impossibile tenere insieme l'opposizione all'accordo sul nucleare iraniano con l'accordo sulla pacificazione della Siria. E Teheran lo sa bene. Infatti - prima ancora che il dipartimento di Stato annunciasse la sua decisione - il ministro degli Esteri Javad Zarif l'altro giorno aveva già gettato fumo negli occhi di Washington esprimendo la sua contrarietà alla presenza degli Stati Uniti ad Astana (e aggiungendo anche - con una chiara stoccata ai russi - che loro non li avevano affatto invitati).

Con queste premesse è difficile immaginare che il vertice possa andare molto oltre il consolidamento della tregua, che peraltro in alcune aree in queste settimane è stata ampiamente violata. Ma - al di là del risultato concreto - si tratta lo stesso dell'inizio di una fase nuova per la Siria. Non è un caso, dunque, che proprio in questi ultimi giorni anche lo Stato Islamico – nonostante le evidenti difficoltà a Mosul - abbia deciso di lanciare un'offensiva prendendo di mira i quartieri controllati dalle forze lealiste a Deir Ezzor e la storica città di Palmira, quella perduta sotto l'avanzata dell'esercito siriano appoggiato dai russi e poi però riconquistata. Il Califfato gioca come sempre sulle divisioni altrui; in particolare nell'est della Siria, dove per compiacere Erdogan le milizie curde (quelle finora rivelatesi più efficaci sul terreno nella lotta allo Stato Islamico) vengono tenute comunque fuori dal tavolo di Astana. In Siria nell'ultimo periodo l'amministrazione Obama aveva scelto di puntare soprattutto su di loro. Alla prova dei fatti come si comporterà con loro l'amministrazione Trump? Come imposterà il rapporto coi sauditi? E quali forme concrete assumerà l'impegno dichiarato di un salto di qualità nella lotta all'Isis? Per il momento Tillerson ha scelto di non rispondere. Ma non potrà andare avanti a lungo con questo atteggiamento.