Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Filippo e Giacomo il Minore a cura di Ermes Dovico
PAKISTAN

Arif Masih è libero. Era in carcere per "blasfemia"

Un grande passo avanti: per la prima volta è stato possibile dimostrare l'infondatezza delle accuse ai cristiani.
- Una preghiera per Asia Bibi

Attualità 18_04_2011
Pakistan

 

È un giorno di grande festa per i cristiani pakistani. Arif Masih, 40 anni, originario del villaggio di Chak Jhumra, nella diocesi di Faisalabad, in carcere dal 5 aprile con l’infamante accusa di avere bestemmiato l’islam, è stato liberato. A due giorni dalla grande mobilitazione mondiale di preghiera in favore di Asia Bibi, gli amici e i legali dell’infaticabile Fondazione Masih, che tra Lahore e Londra si prodiga per la sorte dei cristiani perseguitati, non nascondo la forte emozione.

Arif è libero da poche ore. Sta fisicamente cercando una sistemazione, un luogo per riposare e per rifocillarsi; ma tutti stanno già pensando al dopo, al fatto che la sua liberazione costituisce un grande e inaspettato precedente che fa ben sperare anche per l’annoso e doloroso caso della giovane Asia in carcere a Sheikhupura, nel Punjab insanguinato. In prigione Arif ci era finito dopo che un vicino di casa islamico, Shahid Yousaf, per regolare vecchi conti personali, lo aveva accusato di avere strappato pagine del Corano e di avere inviato minacce scritte a gruppi di musulmani.

Come Asia, Arif comunica con i giornalisti attraverso i legali della Fondazione, anche per motivi di sicurezza, che permangono tutti. Stabilita una triangolazione telefonica funzionale, Arif ci racconta che, del tutto «miracolosamente» (parole sue), in carcere non ha subito né violenze né angherie, né per mano dei compagni di cella né dei secondini. Forse perché il suo caso era davvero troppo noto per spingere chicchessia a commettere passi falsi, forse perché alla fin fine qualcuno si è pur convinto della sua innocenza, nessuno lo sa bene: ma non di meno si tratta di un evento eccezionale.

«Sappia», glossa Haroon Barkat Masih, presidente della Fondazione Masih, «che non è certo questa la regola. Gl’islamisti del Pakistan, che non sono certo pochi o timidi, menano vanto di poter picchiare o addirittura uccidere un “infedele”. Per loro i cristiani sono dei veri e propri nemici, ognuno di loro viene considerato comunque e sempre un amico dell’Occidente, e per questo motivo è stigmatizzato duramente. Immaginiamoci cosa può succedere allorché un cristiano, come è stato il caso di Arif, viene imprigionato con l’accusa di aver violato la legge contro la blasfemia… Davvero ancora non ci capacitiamo del fatto che non gli sia stato torto un solo capello… e ne ringraziamo il Cielo…».

Quando Arif, la notte scorsa, è stato liberato, gli attivisti della Fondazione Masih lo hanno preso in consegna alle porte del carcere confidando cu un scorta armata allestita ad hoc e lo hanno nascosto dove nessuno sa. Così, del resto, era stato fatto anche per la famiglia di Arif durante la sua prigionia, nascosta al sicuro in un luogo segreto, dotata di un minimo sussidio economico che le permettesse di andare avanti. Addirittura, il 16 aprile, durante uno spostamento, gli amici della Fondazione hanno dovuto fisicamente difenderla dagli assalti di una plebaglia male intenzionata. «Il Pakistan è così», spiega Haroon. «Sono già state ammazzate famose ed eminenti personalità politiche; tutto è possibile in qualsiasi momento… Anzi, lo stesso Arif non smette adesso di correre rischi. Ora che è un uomo libero, e non è più “protetto” dalle guardie carcerarie e dalle strutture di “correzione”, può essere ammazzato per la strada da qualsiasi fanatico. E di gente così il Pakistan è pieno. Nel nostro Paese, i jihadisti sfogano tutte le proprie ire sulla popolazione interna perché di fatto, al di là della retorica, delle utopie e degli slogan, il loro progetto di “islamizzazione del mondo” segna quotidianamente il passo e viene costantemente frustrato dalla situazione globale contro cui essi possono davvero poco. A farne le spese sono così i cristiani, soprattutto perché sfogarsi contro di loro è per molti, troppi una virtù pubblica…».

Ciononostante, oggi resta il giorno della gioia. «Sì, perché il caso di Arif dice prima di tutto che è davvero possibile dimostrare - come abbiamo fatto noi della Fondazione fornendo una cinquantina di testimoni a discarico - l’infondatezza  delle accuse, quindi battere il potente avversario che ha dalla propria una legge fatta apposta per permettere ogni irregolarità e tutte le arbitrarietà. In secondo luogo il buon esito della vicenda conferma la giustezza della nostra strategia: dei cristiani vessati e ingiustamente incarcerati bisogna parlare e scrivere senza timore, occorre puntare i riflettori su di loro e agire con la massima libertà e generosità possibile. Con Arif ha funzionato, ci aspettiamo grandi consolazioni anche per Asia Bibi. Lo dica a tutti, lo scriva di nuovo: c’è bisogno che mercoledì tutto il mondo preghi per la nostra amica in carcere. Siamo certi che Dio non ci abbandonerà».

- Mercoledì una speciale giornata mondiale di preghiera per Asia Bibi