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JIHAD ITALIA

Antiterrorismo di successo quando manca un governo

Strano che proprio in un periodo di limbo governativo, con l'esecutivo Gentiloni in uscita e nessun nuovo governo in vista, sia partita la più ampia operazione antiterrorismo finora mai osservata in Italia. Secondo Minniti, "oggi" c'è un pericolo jihadista. E perché ieri no?

Politica 31_03_2018
Torino, conferenza stampa dopo l'arresto di Halili

Quelle strane circostanze di cui la storia del nostro Paese si nutre da sempre. Del tipo che con un Governo dimissionario scatta una delle più imponenti e ficcanti operazioni anti-terrorismo di matrice islamista che si ricordino negli ultimi anni. Da Torino a Foggia, passando per Cuneo, Aprilia, Latina e chi più ne ha più ne metta sono in corso perquisizioni, provvedimenti di custodia cautelare e smantellamenti di reti di proselitismo jihadista affiliate ad Isis; al netto della soddisfazione per l'eliminazione di pericoli imminenti per la sicurezza nazionale ed europea, e con la consapevolezza che le operazioni di polizia non sono necessariamente in linea con i tempi della politica istituzionale qualche domanda che vada a rompere questo idillio giornalistico e mediatico in genere va fatta.

Quando il Ministro Minniti, che certo non ha lesinato attenzione su certi fenomeni ci dice che il rischio jihad oggi è più alto che mai in Italia apre la porta ad alcuni interrogativi: che vuol dire 'oggi'? Lo si deve intendere in senso strettamente temporale da ciò deducendo che in un momento specifico è scattata una determinata minaccia? Fino a ieri (sempre cercando di capire cosa si intenda) questo pericolo non c'era? Domande che potrebbero sembrare forzature ma che vanno poste nell'ottica di comprendere questa improvvisa impennata di operazioni e di arresti in ambito jihadista; perché finché c'è stato un Governo in carica alle denunce e alle richieste di chiarimenti sulla dinamica di proselitismo di stampo radicalista, sulle moschee fai da te e sui rischi ad esse connessi ci veniva sempre risposto che la situazione non destava particolare preoccupazione, che il fenomeno era sotto controllo. Insomma, tutto sommato un clima di relativa tranquillità. Ma oggi ci accorgiamo, e questo è un dato di fatto non una considerazione giornalistica, che la situazione così tanto tranquilla non era.

E ce ne accorgiamo in un periodo di 'limbo' istituzionale, quando il Governo è dimissionario e non c'è alcuna certezza che se ne riesca in tempi brevi (e con una certa solidità) a formarne un altro. Coincidenze, con ogni probabilità. Anche se a chi guarda da fuori tutto questo trambusto di cronaca e lo incrocia con la situazione politica potrebbe venire naturale una riflessione: ''allora la compagine governativa che ci lasciamo alle spalle ha operato per la sicurezza''. E magari pensa che tante delle cose dette da chi la criticava potrebbero non essere vere. E tutto questo riflettersi su cosa avremo domani. L'osservatore neutro, l'uomo della strada, come si diceva una volta, potrebbe essere incline ad un ragionamento del genere, non avendo a disposizione (perché nella vita si occupa di altro, lavora) gli strumenti critici di cui i fini analisti dei media mainstream dispongono. Ma che stavolta, c'è da scommetterci, non useranno perché questo avrebbe ripercussioni su come fino ad oggi hanno svolto il proprio mestiere, connotandolo di ritrosia, quando non di vera e propria reticenza su temi che oggi sono all'ordine del giorno. Useranno anche stavolta il copione prontamente fornito dal pensiero unico, nella parte in cui si legge che in realtà i governi che sembrano meno forti sono in realtà quelli più forti e che i 'populisti' e le menti libere hanno torto anche quando hanno ragione.