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IL DISCORSO DI DELPINI

Ambrogio svuotato, tra Costituzione e pensare condiviso

Se la Città si riconosce in debito con un Santo cattolico per la sua stessa esistenza al punto di convocare attorno ad un altare il popolo e i governanti, allora riconosce che la sua vita politica dipende, in ultima istanza, da Cristo. Ma nel discorso alla Città dell’arcivescovo Delpini per Sant'Ambrogio non c’era nemmeno un lontano accenno a tutto questo. Ecologia, pensare condiviso, Costituzione, Europa, ma Cristo e il Vangelo non erano minimamente presenti.

Editoriali 08_12_2018
L'arcivescovo Delpini

La sera di giovedì scorso nella basilica di Sant'Ambrogio di Milano, alla presenza di molti sindaci e consiglieri comunali oltre che del popolo, l’arcivescovo Delpini ha celebrato la messa solenne in onore del patrono sant’Ambrogio e ha tenuto il tradizionale discorso alla Città.

Chiediamoci: cosa vuol dire celebrare in Cattedrale o nella Basilica principale la festa del Santo patrono di una città? Significa asserire solennemente che il Santo in questione – che sia Ambrogio o Giusto o Zeno nulla cambia -, è non solo il Padre nella fede ma anche il Pater civitatis, il fondatore della Città stessa. In caso contrario cosa ci starebbero a fare i sindaci con tanto di fascia tricolore al petto? Cosa ci starebbe a fare la polizia urbana con il gagliardetto del Comune? Cosa ci starebbero a fare il Prefetto, le autorità civili e militari? Nessuno di costoro è lì a titolo personale, ma a titolo istituzionale. Con la loro presenza essi dicono (anche se non sanno di dirlo) che la vita pubblica della Città si fonda sulla religione cristiana e che Ambrogio o Giusto o Zeno sono i fondatori della città perché solo Dio può essere vero garante del bene comune e il bene comune è il vero fine dello stare insieme. La Città c’è perché i cittadini hanno una comunanza di fini, altrimenti ci sarebbe un ammasso di individui ma non una comunità, ma la comunanza di fini richiede un fondamento indisponibile che solo Dio può garantire. In molti casi i vescovi patroni delle Città le hanno anche effettivamente difese dal nemico o dalle carestie e addirittura governate e tenute insieme nelle difficoltà della storia. Ma anche se ciò non fosse materialmente avvenuto, ugualmente essi sarebbero Patres civitatis perché senza il legame religioso non può essercene altro di vero e profondo.

La secolarizzazione ha fatto dimenticare queste cose. I sindaci si infilano la fascia tricolore in Chiesa nel giorno del patrono come la metterebbero alla inaugurazione della Fiera cittadina. Molte volte vengono invitati anche i rappresentanti delle altre religioni perché si pensa che ci sia bisogno non tanto “della religione” ma “di religione” in generale e che comunque i buoni rapporti con le religioni male non fanno. Il senso “percepito” da tutti, compresi i protagonisti, è molto ma molto inferiore al senso “in sé” della celebrazione del Santo patrono, come accade in agosto per la temperatura percepita rispetto a quella reale da chi vive in zone umide.

Andando ancora più in profondità, la festa del Santo patrono ci ricorda che le questioni di quaggiù non si risolvono senza l’aiuto da lassù. I giochi veri ed ultimi si svolgono lassù e non quaggiù. Non si arriva a dissodare i terreni incolti se prima non si dissodano le anime. Le relazioni tra gli uomini rimangono conflittuali se prima non si sistemano le relazioni con Dio. La famiglia non può essere protetta con leggi e politiche se si dimentica la Sacra Famiglia. Se l’uomo non più guardare in verticale finisce che non saprà nemmeno più guardare in orizzontale. Se il cristianesimo non è indispensabile ma solo utile, allora finisce che prima o dopo diventerà anche inutile. Tutto questo significa che la Città non basta a se stessa.

Questo è quanto l’arcivescovo Delpini avrebbe dovuto ricordare ai milanesi: la Città non basta a se stessa e non può trovare dentro di sé le soluzioni ai suoi problemi. Nemmeno nella conversione ecologica, perché prima di tutto serve la conversione a Dio. Se la Città si riconosce in debito con un Santo cattolico per la sua stessa esistenza e per il suo stesso futuro, al punto di convocare attorno ad un altare, e non attorno ad un tavolo di un convegno, il popolo e i governanti, allora riconosce che la sua vita politica dipende, in ultima istanza, da Cristo. Se così non è, ci si convochi attorno al tavolo di un convegno senza scomodare l’Eucarestia.

Ma nel discorso dell’arcivescovo non c’era nemmeno un lontano accenno a tutto questo. Ecologia, pensare condiviso, Costituzione, Europa, … ma Cristo e il Vangelo non erano minimamente presenti. Che le autorità presenti e magari anche il popolo avessero dimenticato il senso pubblico e politico della festa liturgica del Santo patrono può essere capito, anche se non giustificato, data la secolarizzazione galoppante. Che lo abbia dimenticato il vescovo pone qualche problemino in più. A meno che non si sostenga che la dimensione orizzontale basti a se stessa, senza bisogno di quella verticale. Allora basterebbero l’ecologia, il pensare condiviso, la Costituzione e l’Europa …  ma a quel punto non ci sarebbe più bisogno del Santo patrono né della sua festa liturgica a carattere pubblico. E non ci sarebbe più nemmeno bisogno del discorso dell’arcivescovo di Milano, perché l’ecologia, il pensare condiviso, la Costituzione e l’Europa le conosciamo già, anche se non ci siamo ancora “convertiti” ad esse, come suggerito dall’arcivescovo, dato che preferiamo convertirci a Cristo, come sant’Ambrogio.