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STATI UNITI

A sorpresa Obama apre al "matrimonio" gay

La Casa Bianca dichiara incostituzionale la legge del 1996. Ma per ora è una opinione. Dovrà anche fare i conti con un popolo contrario.

Attualità 24_02_2011
"Matrimonio" omosessuale

 

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha cambiato idea. O forse no. La sua Amministrazione - dice - non sosterrà più nei tribunali federali il “Defense of Marriage Act” (“Doma”), cioè la legge federale che riconosce unicamente i matrimoni monogamici eterosessuali approvata il 21 settembre 1996 durante la presidenza di Bill Clinton dal 104° Congresso federale a maggioranza Repubblicana (quello “famoso” dove la Camera era presieduta da Newt Gingrich, allora protestante battista, poi convertito cattolico). Lo ha annunciato ieri il ministro statunitense della Giustizia Eric H. Holder jr., riferendo che Obama definisce ora «incostituzionale» il “Doma”.

Tutto però, a rigor di termini, resta una opinione “personale” espressa dalla Casa Bianca in considerazione del fatto, ha aggiunto Holder, che i tempi sono cambiati. Però contemporaneamente il presidente ha affermato che continuerà a opporsi al cosiddetto “matrimonio” omosessuale. E comunque il portavoce del presidente, James “Jay” Carney, ha glossato riportando che Obama sta ancora «lottando con la questione».

Confusione. O ennesima presa di posizione altalenante, nel tentativo di non scontentare apertamente nessuno, concedendo un poco qui e un poco là. La potente lobby omosessuale all’opera nel Paese però gioisce e la sua punta di diamante, la National Gay and Lesbian Task Force - attiva a Washington dal 1973 -, considera la decisione una vittoria netta, ancorché ai punti e non per ko. Del resto, nessuno si aspettava una uscita della Casa Bianca tanto netta e repentina.

Oltre che inattesa, peraltro, la decisione di Obama - che certo prelude a una seria disputa giuridica e  a un conseguente scontro duro politico - rischia di essere altamente impopolare. Va infatti ricordato che sul punto i cittadini statunitensi si sono direttamente e ripetutamente espressi con una chiarezza inequivocabile.

Il 2 novembre 2004, in concomitanza con le elezioni presidenziali, Arkansas, Georgia, Kentucky, Michigan, Mississippi, Montana, North Dakota, Oklahoma, Ohio, Utah e Oregon hanno celebrato referendum con cui i cittadini hanno chiesto l’inserimento nelle proprie Costituzioni di emendamenti che proibiscano i “matrimoni” fra persone omosessuali sempre con numeri enormi e talora con risultati “bulgari”: Georgia e Kentucky con maggioranze di 3 a 1, e Mississippi di 6 a 1. Lo stesso avevano fatto, precedentemente, il Missouri il 4 agosto e la Louisiana il 18 settembre con una maggioranza di circa il 78%.

Il 7 novembre 2006, in concomitanza delle elezioni di “medio termine”, Colorado, Idaho, South Carolina, Tennessee, South Dakota, Virginia e Wisconsin fecero lo stesso (il South Carolina con il 78% dei suffragi e il Tennessee con l’81%); e in Arizona, dove i “sì” persero, i “no” vinsero con appena il 51% dei consensi in quello che è comunque stato solo un appuntamento rimandato.

Infatti, il 4 novembre 2008, in concomitanza delle elezioni presidenziali, l’Arizona è tornata al voto referendario sul medesimo tema e così hanno fatto anche Florida e California. In tutti e tre i casi ha vinto il “sì”: persino in California, dove la lobby omosessuale è davvero potentissima, e dove già poter immaginare di riuscire a indire una consultazione a tutela del matrimonio naturale monogamico eterosessuale venne alla vigilia considerata una vittoria enorme.

In tutti i casi citati, poi, i “sì” sono stati trasversali ai partiti e hanno sempre premiato la morale naturale anche in luoghi dove contemporaneamente venivano invece premiati candidati politici al Congresso o alla presidenza federali assai possibilisti in temi di “princìpi non negoziabili”.

Il saldo finale è insomma questo: le unioni omosessuali sono vietate da emendamenti alla Costituzione di 30 Stati su 50 e in 42 il matrimonio è giuridicamente definito l’unione fra un uomo e una donna. Il cambio di opinione di Obama dovrà fare i conti questi fatti.