Un'altra condanna a Google per monopolio, stavolta negli Usa
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Una corte della Virginia, negli Usa, ha condannato Google per posizione monopolistica illegale nel settore pubblicitario online. Una causa iniziata nel 2023 (dall'amministrazione Biden) ed ora gravida di conseguenze per il funzionamento di Internet.

Mentre l'attenzione mediatica mondiale era concentrata sulle celebrazioni pasquali e sulla morte di Papa Francesco, il 17 aprile 2025 negli Stati Uniti è stata emessa una sentenza destinata a scuotere il mondo tecnologico: Google è stata dichiarata colpevole di mantenere un monopolio illegale nel mercato della pubblicità online.
Il giudice Leonie Brinkema della Corte distrettuale della Virginia orientale ha stabilito come il colosso di Mountain View abbia «deliberatamente messo in atto una serie di pratiche anticoncorrenziali» che gli hanno permesso di «acquisire e mantenere un potere monopolistico» nel settore dell'advertising tech. Si tratta della seconda condanna per violazione delle leggi antitrust in meno di un anno, dopo che lo scorso agosto un altro giudice federale aveva dichiarato Google colpevole di monopolio illegale anche nel campo delle ricerche online.
La sentenza è significativa poiché colpisce uno dei principali motori di guadagno di Google. Nel 2024, la società ha generato quasi 30,4 miliardi di dollari grazie all'inserimento di annunci su applicazioni e siti web di terze parti. La causa, intentata nel gennaio 2023 dal Dipartimento di Giustizia americano insieme a otto Stati, accusava Google di aver soffocato la concorrenza agendo come intermediario dominante nel settore pubblicitario online. «Questa condotta esclusiva ha danneggiato sostanzialmente gli editori clienti di Google, il processo competitivo e, in ultima analisi, i consumatori di informazioni sul web aperto», ha scritto il giudice Brinkema nella sua decisione.
Lee-Ann Mulholland, responsabile degli affari normativi di Google, ha annunciato che l'azienda presenterà ricorso contro la decisione. «Abbiamo vinto metà della causa», ha dichiarato, sottolineando che la corte ha respinto l'accusa secondo cui Google avrebbe monopolizzato anche il mercato degli strumenti utilizzati dagli inserzionisti per comprare annunci.
La sentenza potrebbe avere conseguenze drastiche. Nel caso precedente sul monopolio nelle ricerche online, il Dipartimento di Giustizia ha chiesto che Google ceda il suo browser Chrome e smetta di pagare partner come Apple in cambio di trattamenti preferenziali. Un procedimento simile seguirà anche questa nuova condanna, con la possibilità che Google sia costretto a vendere parte dei suoi strumenti di tecnologia pubblicitaria.
Questa sentenza segue il trend delle azioni dell’antitrust contro i monopoli tecnologici iniziato durante l'era Biden (sebbene alcune indagini chiave siano iniziate durante la prima amministrazione Trump per poi concretizzarsi in cause formali durante il governo democratico).
L'amministrazione Biden ha adottato un approccio più aggressivo contro i monopoli tecnologici, con Lina Khan alla guida della Federal Trade Commission (FTC) e Jonathan Kanter a capo della divisione antitrust del Dipartimento di Giustizia. In ogni caso, questo trend ha rappresentato un significativo cambio di rotta rispetto ai precedenti approcci decisamente più permissivi nei confronti delle grandi aziende tecnologiche.
Se confermate nei successivi gradi di giudizio, queste decisioni potrebbero portare a cambiamenti strutturali significativi per Google e per l'intero ecosistema di internet, con potenziali benefici per gli utenti in termini di maggiore concorrenza, meno pubblicità invasive e una più ampia scelta di contenuti online.
In un momento storico di forti tensioni internazionali nei confronti del principale rivale economico, la Cina, sembra però davvero strano vedere come Trump non cerchi di accaparrarsi i piaceri delle grandi industrie d’oltreoceano e preferisca, invece, lavorare sulla riduzione dei monopoli interni. Sicuramente avrà calcolato un maggior beneficio nella crescita di società piccole in un contesto di concorrenzialità parificata rispetto che ai movimenti elefantiaci ma potenti dei grandi colossi tecnologici.