Il trionfalismo della semplicità
Le «esequie di un pastore, e non di un sovrano»: un mantra sui funerali di Francesco, che non saranno poi dissimili da quelli dei predecessori. Se non per la coltre di retorica.

È arrivato il giorno delle esequie di papa Francesco, che saranno le «esequie di un pastore, e non di un sovrano» – lo ha spiegato ieri il maestro delle celebrazioni liturgiche, mons. Diego Ravelli, durante la quarta congregazione generale dei cardinali, ripetendo un mantra in voga dall'anno scorso, quando il papa defunto approvò la revisione dell'Ordo Exsequiarum Romani Pontificis: «Il rito rinnovato, inoltre, doveva evidenziare ancora di più che le esequie del Romano Pontefice sono quelle di un pastore e discepolo di Cristo e non di un potente di questo mondo».
Rivedendo però i funerali di San Giovanni Paolo II (gli ultimi di un papa morto in carica) non si capisce cosa allora avrebbe fatto pensare ai funerali di un potente invece che di un pastore. La differenza più evidente finora è stata forse l'esposizione nella bara invece che sul piccolo catafalco: sarà quel metro in più di altezza a fare la differenza tra il sovrano e il pastore? Per il resto Francesco ha avuto omaggi non dissimili e una Messa esequiale non dissimile. Addirittura un corteo per le vie di Roma ne scorterà il feretro fino alla sepoltura. Una sepoltura «semplice», lo si sente ripetere all'infinito, eppure anch'essa a ben vedere non troppo diversa da quella dei predecessori.
L'unica vera differenza rispetto ai predecessori è la coltre di melassa retorica sulla semplicità – una semplicità così ostentata a ogni piè sospinto da diventare un nuovo trionfalismo. Ma bisogna farlo notare sottovoce per non disturbare l'auto-narrazione imposta sin dall'inizio di questo pontificato.