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l'analisi

Francesco, il papa del post-Occidente e del post-sacro

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Al contrario di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Francesco ha scelto di affrontare la sfida della marginalizzazione del cattolicesimo riprendendo lo spirito più radicale del post-Concilio, in una estrema de-sacralizzazione della Chiesa e della stessa funzione del pontefice.

Ecclesia 24_04_2025

Una prima interpretazione storica del ruolo svolto dal pontificato di Jorge Mario Bergoglio deve partire, a mio avviso, da due sue coordinate fondamentali: la de-sacralizzazione e la de-occidentalizzazione.

Riguardo alla prima, va detto innanzitutto che papa Francesco è stato probabilmente l'ultimo protagonista della epocale disputa interna alla Chiesa sull'eredità e l'interpretazione del Concilio Vaticano II, e quindi sul rapporto tra il cattolicesimo e gli imponenti processi di modernizzazione e secolarizzazione innescati dal Novecento. Il tentativo, elaborato in sede conciliare, di avviare un dialogo con le forze culturali, sociali e politiche più rilevanti nel mondo contemporaneo con l'aspirazione a una nuova evangelizzazione venne inteso da molti settori progressisti della Chiesa come una sovrapposizione tout court tra la dimensione propriamente religiosa e quella politico-ideologica (come nella "teologia della liberazione"), mettendo in evidenza radicali contraddizioni e divisioni all'interno del mondo cattolico.

Alla fine degli anni Settanta, quando l'ondata ideologica novecentesca cominciò a rifluire, il pontificato di Karol Wojtyla segnò l'inizio di un approccio molto diverso: una rinnovata rivendicazione di protagonismo cristiano che, a cavallo della fine della guerra fredda, ridefinì il richiamo al trascendente come una componente essenziale della civiltà occidentale e un fondamento dell'idea di libertà e di uguaglianza in essa veicolata. Davanti alle sfide poste all'Occidente dalla globalizzazione, quella rivendicazione veniva riformulata poi da Joseph Ratzinger, succeduto a Giovanni Paolo II con il titolo di Benedetto XVI, come ricongiunzione alle radici dell'identità europea, in una linea che univa cultura ebraica, greca e romana nella sintesi cristiana.

Ma il tramonto delle ideologie otto-novecentesche non aveva significato la fine né dell'ideologia in quanto tale, né della secolarizzazione. Sotto la forma del "politicamente corretto" e della cultura cosiddetta woke diventava egemone in Occidente una forma radicale di relativismo, che, sul tema del rapporto tra le culture come su quello dei diritti soggettivi e della morale, si traduceva in un crescente sentimento esplicitamente anticristiano. Il tutto in un mondo globalizzato sempre più plurale dal punto di vista delle civiltà e delle religioni, e in cui l'Occidente che era stato cristiano diveniva via via più minoritario anche dal punto di vista demografico.

Le dimissioni di papa Benedetto e l'elezione al soglio di Pietro di Jorge Bergoglio sono state il segno drammatico di questa crisi strutturale. Francesco, il primo papa americano e gesuita, fin dall'inizio sceglieva di affrontare la sfida della marginalizzazione del cristianesimo e del cattolicesimo con uno spirito speculare a quello dei due suoi illustri predecessori. Al contrario di loro, riprendeva lo spirito più radicale del post-Concilio, ma non tanto nel senso della "teologia della liberazione" (verso la quale mostrava comunque una certa indulgenza) quanto in quello di una estrema de-sacralizzazione della Chiesa, e della stessa funzione del pontefice.

Seguendo in parte la tradizione dell'ordine fondato da Ignazio di Loyola, in parte quella della Chiesa "di popolo" e "di strada" sudamericana, e ispirandosi (più simbolicamente che altro) al francescanesimo il papa argentino, che definiva se stesso solo come "vescovo di Roma", puntava insistentemente a presentare al mondo l'immagine di una Chiesa spogliata di ogni orpello, di ogni formalismo, di ogni struttura dottrinaria e persino dogmatica: una Chiesa che per riavvicinarsi a società ormai fredde e lontane rinunciava quasi persino a una attiva evangelizzazione (la ripetuta condanna bergogliana del "proselitismo") per confondersi semplicemente con esse, sintonizzarsi con il loro sentire, lenirne le sofferenze materiali e psicologiche (come un "ospedale da campo"), nel segno della "misericordia" e dell'empatia. Da qui la minimizzazione sistematica delle questioni di morale; le aperture, sia pur sempre ambigue, agli stili di vita incompatibili con la dottrina nel segno del principio "todos, todos, todos" e della sostituzione del catechismo con  l'"accompagnamento"; l'uniformazione della dottrina sociale a un populismo pauperista in cui "gli ultimi" (movimenti sociali, migranti, occupanti) hanno sempre ragione, e sono titolati a pretendere il sostegno da parte dei pubblici poteri.

L'altro grande criterio ispiratore del pontificato bergogliano è stato l'abbandono sostanziale del baricentro europeo e occidentale della Chiesa, in favore di un'attenzione preferenziale all'Asia, all'Africa, all'America latina, a quello che oggi viene chiamato il "Sud globale". Un  mutamento di prospettiva, questo, che costituisce innanzitutto la presa d'atto di quello che ormai è un dato di fatto innegabile: il cristianesimo è sempre più minoritario in Europa e nell'America del Nord, e percentualmente sempre più i cristiani, e i cattolici, risiedono nei tre continenti sopra citati. E che è stata rispecchiata dalla massiccia nomina di cardinali provenienti da essi, che avranno probabilmente un ruolo decisivo nel prossimo conclave.

Per valutare, dunque, l'impatto storico del papato di Francesco occorre innanzitutto chiedersi qual è stato l'esito di questa duplice strategia, pur tenendo conto che le ricadute di grandi mutamenti epocali si definiscono in periodi più lunghi. Oggi la Chiesa del mondo è più o meno rilevante, rispettata, attrattiva che al momento delle dimissioni di Ratzinger?

Per quanto riguarda la proiezione post-occidentale, è plausibile pensare che la Chiesa "semplificata", popolana e populista veicolata da Bergoglio si sintonizzi con una certa facilità con i sentimenti prevalenti  nei nuovi o potenziali nuovi fedeli del "Sud globale", in genere non inclini alla dottrina ma piuttosto sensibili alla "inculturazione" delle loro particolari tradizioni nella prassi liturgica e pastorale. Ma in Occidente quell'approccio non sembra affatto aver invertito la tendenza alla secolarizzazione e alla marginalizzazione del cristianesimo. E laddove si scorgono, sia in Occidente che altrove, tendenze alla crescita delle conversioni (in particolare nelle giovani generazioni) esse sembrano avvenire soprattutto in un contesto di reazione conservatrice alla secolarizzazione, di ricerca di un "senso" forte della vita anche a livello di morale e di condotta, di rifiuto del relativismo e di reazione alla pressione dell'integralismo islamico, o di quello laicista woke, abortista, eutanasista, Lgbt+.

Più in generale, il mondo globalizzato multipolare appare interessato in ogni suo polo di civiltà da una tendenza non alla de-sacralizzazione ma a un fiero ritorno al sacro come fondamento delle società e delle istituzioni. E la parte di mondo ancora (o di nuovo) cristiana non sembra fare eccezione. La Chiesa "ospedale da campo" e "accompagnatrice" non è sicuramente un modello che riscuote grande successo. E chiunque succederà a Francesco sul soglio pontificio non potrà non tenerne conto.