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verso il conclave

“Dagli ai cardinali!”: sui media è licenza di sfottere

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Burke ridicolizzato, le analisi di Müller ignorate, la statura di Sarah minimizzata. Ma per Tagle che fa balletti in chiesa e Cupich che benedice un drago, si tace. Mentre il tifo per Zuppi è smaccato, reso ancor più ridicolo dall'endorsement della Boldrini. Sui media trionfa il gossip con sfottò, non l'analisi di ciò che i cardinali sono chiamati a votare.

Editoriali 28_04_2025

Sarà uno stillicidio, da qui all’extra omnes. Come stanno guardando i principali giornali le vicende vaticane dell’imminente Conclave? Non essendo avvezzi a guardare oltre il proprio naso, che impone uno schema politico su tutto, lo schema che si è affermato è il seguente: parlare bene dei cosiddetti cardinali progressisti in continuità bergogliana e parlare male - demolire se è possibile - quelli che invece sono bollati come “nemici” delle riforme, fustigatori nei costumi e ridicolmente attaccati al passato. I cardinali Müller, Burke e Sarah sono quelli più presi di mira, dipinti come “nemici” di Papa Francesco.

Forse perché sono quelli che in tutti questi anni hanno incontrato il popolo di Dio più di ogni altro porporato e lo hanno fatto in svariate iniziative in giro per il mondo: conferenze, eventi religiosi, presentazioni di libri, iniziative culturali. 

Il fatto di essere stati “liberati” anzitempo da Francesco dalle loro incombenze di curia (per non dire “licenziati” con misericordia) ha consentito loro di girare, incontrare il popolo, tastare il clima e parlare ai fedeli meglio di molti altri, che hanno invece puntato solo sulle interviste e le ospitate televisive. Ma non si può pretendere che un Cazzullo lo sappia. Alle presentazioni dei libri di Sarah, ad esempio, da anni si registra il tutto esaurito in Italia e Francia per lo meno: risulta ad esempio che per altri porporati, che so un Aveline, si possa dire lo stesso? Ma questo non interroga i media, perché ai media interessa altro. Interessa chiamarlo con disprezzo «il guineano fustigatore».

Quella mediatica è una lettura affidata a firme incapaci di analizzare che cosa sia stato il pontificato di Bergoglio in questi 12 anni, quali scenari abbia aperto davanti e dietro di sé in ordine alla trasmissione del depositum fidei (qualcuno spieghi il significato a Formigli). Una lettura che si limita a gossippare e svelenare. Altro, di sostanza, non sembra emergere. Miopi sulle cose importanti, presbiti sulle piccolezze.

Va da sé che a beneficiare del primo trattamento (cardinali nel solco bergoglista) sono individuati i due porporati già battezzati come eredi di Papa Francesco, secondo lo stantio identikit del “prete tra la gente”: Zuppi e Tagle, ad esempio, sono i più gettonati, l’arcivescovo di Bologna, ad esempio, può godere del tifo gratuito e sperticato di Repubblica e Corriere che non perdono occasione per citarlo anche se non apre bocca. Ieri per esempio, a favore di "don Matteo" è arrivato il qualificato endorsement di Laura Boldrini: «Zuppi Papa ci piace». Cioè, la Boldrini, con tanto di plurale maiestatis, ci rendiamo conto?

Ad esempio, Fabrizio Roncone, firma del Corriere, che evidentemente non mette i piedi in una chiesa dai tempi della Cresima, così racconta l’arrivo dei cardinali per l’ultimo omaggio a Bergoglio in San Pietro: «Arrivano come divi della Chiesa, che Francesco li perdoni. Agghindati con i loro pesanti crocefissi d’oro massiccio, l’abito talare rosso porpora completo di zucchetto: ma anche, quelli più sciolti, dentro vestiti neri di stoffe preziose, le giacche ben tagliate, con le asole ricamate, i bottoni di vero corno, perché si vede, reverendissime eminenze, che vi piace servirvi da sarti di gran mestiere (certo non è un vezzo che appartiene a Matteo Zuppi, tra i pochissimi ad avere un’autentica aria da prete, da pastore, e chissà se per lo Spirito Santo potrà essere un buon indizio)».

Un incipit ridicolo e condito da un livore che solo chi non sa di che cosa scrive può esibire vantandosene. Che poi, guardando bene il Sacro collegio in questi giorni, non si è trovato un solo cardinale che si sia vestito diversamente dall’altro, avendo tutti – e dico tutti, dunque compreso Zuppi – un vestito d’ordinanza rigorosamente monotono e codificato negli anni.

Però, per sfottere, sempre nello stesso articolo non si perde occasione. Ma l’obiettivo è il cardinal Leo Raymond Burke, definito da contratto “trumpiano”, anche se l’endorsement pubblico del porporato del Wisconsin a The Donald noi non riusciamo a trovarlo: «C’è chi abbassa la testa e tira diritto, tipo Raymond Leo Burke, il fantasmagorico cardinale trumpiano che si fa portare il mantello dai chierichetti e, certe volte, quando gli viene lo sghiribizzo, va in giro con un cappello a tesa larga così fru fru, che al confronto, Benedetto XVI, con le sue scarpette rosse, sembrava un tipo sobrio». Il riferimento è ad una vecchia foto che ritrae Burke con in testa il galero e un abito cardinalizio con strascico. Vestiario che dovrebbe esaltare la dignità di chi è elevato ad essere il principale collaboratore del Papa, ma che di questi tempi viene assurto a marchio di infamia contro la chiesa povera. Ma su queste provocazioni, Gesù aveva già risposto da par suo a Giuda e non è il caso di proseguire.

Solo che, in mancanza di sostanza, il tiro al piccione contro Burke è ormai un genere letterario. Così Aldo Cazzullo, un altro che pensa di conoscere la Chiesa come le sue tasche solo perché ha fatto i soldi con libri e trasmissioni televisive ad argomento religioso, nella cronaca minuto per minuto del funerale, genere che il nostro utilizza ad ogni evento di una certa rilevanza nazionalpopolare, dal Festival di Sanremo all’elezione del presidente della Repubblica, così impallina il povero Burke: «I cardinali sembrano sinceramente sopraffatti, se non dal dolore, dalla responsabilità. Il porporato di Trump, Burke, ha dovuto rinunciare a malincuore allo strascico retto dai chierichetti e al cappello rosso a falde larghe che imbarazzerebbe Cristiano Malgioglio».

Insomma, c’è licenza di sputtanamento persino durante un funerale.

Sputtanamento che non coinvolge, chissà perché, l’altro grande favorito della cricca massmediatica, Luis Antonio Gokim Tagle, già arcivescovo di Manila e pro-prefetto del dicastero dell’evangelizzazione. Del suo pensiero, delle sue parole, della sua teologia non si sa granché, ma i social sono ormai pieni delle sue scenette, alcune persino in chiesa, in cui canta e balla canzonette infantili oppure di lui che canta Imagine di John Lennon con la voce stridula e stonata dei giapponesi durante il karaoke dopo il terzo gin tonic. A voler “sputtanare” ce ne sarebbe anche per lui ma per il giornalista collettivo è solo un «comunicatore moderno» e immancabilmente «vicino ai poveri». 

Oppure il cardinal Blase Joseph Cupich, Arcivescovo metropolita di Chicago, anche lui tra i “salvati”, che, leggiamo dal sito MIL, benedice con tanto di casula rossa un drago nel corso di un evento pubblico. E che dire del cardinal Jean Claude Hollerich, gesuita e arcivescovo di Lussembrugo, che a proposito del Papa di cui ha bisogno la Chiesa non ha saputo dire nient’altro che «un Papa che guardi le serie Netflix, che – raccogliendo l’eredità di Francesco – sappia comunicare coi giovani, abbia la percezione che il mondo corre a «velocità siderale». Che dire? Un’analisi davvero profonda. Ma per questi porporati la tagliola dello sfottò non scatta, guarda un po’.

Chi ha provato a tracciare un minimo di analisi, è stato il cardinal Müller, prefetto emerito del Dicastero per la dottrina della fede, che intervistato da Repubblica ha parlato chiaramente di ciò che non va: «Se parliamo del pontificato, invece, ci sono diverse opinioni – ha detto -. In alcuni momenti è stato un po’ ambiguo, ad esempio quando con Eugenio Scalfari ha parlato di Resurrezione». Poi, con chiarezza e parresia (si potrà ancora utilizzare la parola totem del pontificato bergogliano?) ha ricordato che il documento sulla benedizione delle coppie omosessuali «deve essere chiarito» perché non si deve «relativizzare la dottrina cattolica del matrimonio»; che il Sinodo non deve «confondere la Chiesa con un’organizzazione politica, come il World economic forum o l’Onu»; che nella nomina di una donna prefetto di un dicastero vaticano «il problema non è la donna, il problema è un laico chiamato a presiedere una congregazione espressione dell’autorità del collegio cardinalizio»; che sul dialogo con l’Islam bisogna «evitare ogni forma di relativismo: la fede cattolica non è un’espressione singolare di una religione universale del mondo creata dal forum di Davos».

Insomma, un’intervista importante, che ha provato a mettere nel dibattito dei temi decisivi per la Chiesa di domani, alla quale nessuno dei “papabili” ha risposto nel merito, ma che invece è stata liquidata dal tritacarne mediatico come la solita tiritera del cardinale conservatore.

I pochi che hanno provato a farlo, come ad esempio Corrado Formigli, lo hanno fatto offrendo, come contraltare di Müller, Luca Casarini, il black bloc sinodale convertito sulla via dei migranti e la cosa già fa ridere di suo.

Si continuerà così, perché a certa stampa non interessa l’analisi, ma il tifo, l’attacco preventivo, lo sfottò ben orientato e a certi cardinali questo andazzo non dispiace affatto.