Conoscere l’altra Resistenza, per una vera riconciliazione
Che cos’è stata la Resistenza? Le sue diverse forme: non solo un movimento partigiano. La Resistenza dei militari e dei religiosi. La Resistenza della carità e quella dei crimini. Le basi per una riconciliazione. Dalla video-intervista di Riccardo Cascioli ad Alberto Leoni.

Ieri in Italia si è celebrato l’80° anniversario della liberazione dal nazifascismo, eppure a ottant’anni di distanza, quando si parla di Resistenza, il Paese continua a essere diviso, per ragioni ideologiche e anche di scarsa conoscenza di quella fase cruciale della nostra storia. Di questo si è parlato al Venerdì della Bussola trasmesso ieri, dal titolo L’altra Resistenza. Alla conduzione il direttore Riccardo Cascioli, che ha avuto come ospite Alberto Leoni, autore di diversi libri sulla Resistenza, tra cui uno sul ruolo dei partigiani cristiani.
Ma cos’è stata la Resistenza? A questa prima domanda Leoni ha risposto ricordando tra l’altro quanto diceva uno storico e partigiano come Raimondo Luraghi (1921-2012), Medaglia d’argento al valor militare, il quale spiegava che di Resistenza non ce n’è solo una: c’è stata la Resistenza dei militari nelle sue varie forme, in Italia e all’estero; c’è stata quella dei partigiani e, ancora, quella del Corpo Italiano di Liberazione. A queste forme di Resistenza, Leoni ne aggiunge un’altra, ossia «la Resistenza disarmata, la Resistenza della carità», che è poco conosciuta e che pure «costava cara». Bastava ospitare un disertore per rischiare la vita: un fatto che secondo Leoni andrebbe ricordato «sia a quelli che glorificano solo una parte della Resistenza, cioè alla sinistra fondamentalmente, perché si dimentica la Resistenza disarmata, sia alla destra, ai neutralisti o ai post-fascisti che invece dicono che la Resistenza non era nulla».
La Resistenza non fu dunque solo un movimento partigiano e, anzi, dopo l’8 settembre 1943 «i primi a resistere sono i militari e i religiosi», spiega lo storico e collaboratore della Bussola, che cita anche degli esempi sia tra i primi (il tenente Ettore Rosso e il generale Ferrante Vincenzo Gonzaga) che tra i secondi (don Pasquino Borghi e don Domenico Orlandini). La stessa Resistenza partigiana – aggiunge Leoni – è stata avviata dal mondo dei militari, in particolare da «un nucleo di ufficiali», soprattutto giovani e nei gradi inferiori, «che da subito nascondono le armi, fanno dei gruppi partigiani di 10-20 uomini» e, col tempo, «si finisce per costituire un esercito partigiano che conterà alla fine almeno 200 mila uomini effettivi».
Leoni osserva che la Resistenza fu più complessa di come la descrive la sinistra. All’interno della stessa Resistenza partigiana, c’erano «diverse componenti». Ad esempio nelle Brigate Garibaldi c’era sì una forte componente comunista, che giocò un ruolo importante, con il PCI in veste di organizzatore, ma questa componente non era certo l’unica: «Nelle Brigate Garibaldi ci andava chiunque», afferma lo storico, e al loro interno vi erano pure «tantissimi cattolici, che hanno occupato anche posizioni di rilievo, senza essere comunisti». Leoni ricorda anche il ruolo delle Brigate Giustizia e Libertà (i cui membri erano «molto radicali, molto antifascisti, molto ben addestrati») e, seppur di minor peso, degli autonomi, ossia dei monarchici.
In sostanza, non reggono né la narrazione fascista sulla Resistenza né quella comunista. A domanda di Cascioli, che ha chiesto come mai la Democrazia Cristiana non abbia cercato di far emergere la storia reale della Resistenza, Leoni ha risposto dicendo che probabilmente il clima di guerra fredda ha fatto «cedere a questa tentazione di non fare più storia, nel senso che non sono più state riportate a galla tutte quelle numerosissime testimonianze di partigianato cristiano, presente anche in formazioni di sinistra». E questa mancata analisi storica avrebbe contribuito alla polarizzazione cui assistiamo ancora oggi, con la sinistra che si è fondamentalmente attribuita il merito dell’intera Resistenza, sorvolando sulla collaborazione che vi fu tra le varie forze che si opposero al nazifascismo.
Altra pagina di storia poco trattata è quella dei crimini di alcuni gruppi partigiani, perlopiù comunisti: crimini commessi non solo durante la guerra (vedi l’eccidio di Porzûs, nel febbraio 1945) ma anche dopo (vedi quanto avvenuto tra il ’43 e il ’49 nel Triangolo rosso, con l’uccisione pure di diversi sacerdoti). A proposito, Leoni richiama un concetto tipico della sinistra, per cui «la guerra rivoluzionaria era vista come continuazione della guerra partigiana. E questa idea è presente anche nelle Brigate Rosse».
Riguardo alla già accennata Resistenza della carità, lo storico ha detto che «gli episodi sono veramente tantissimi», gesti grandi e piccoli, che ebbero come protagonisti più settori della popolazione, incluse alcune persone note per essere fasciste.
Questa carità fu molto vasta in campo cattolico; Leoni cita in particolare padre Placido Cortese (1907-1944), francescano, direttore del Messaggero di Sant’Antonio e oggi venerabile, che salvò centinaia di persone procurando loro documenti falsi, prima di essere catturato e torturato fino a morire.
Quelli accennati, insieme ad altri ancora, sono tutti elementi di cui è necessario acquisire consapevolezza per raggiungere quella riconciliazione di cui si parla ogni 25 aprile. Secondo Leoni, «la riconciliazione si potrebbe fare a partire dal concetto di patriottismo. Paola Del Din, l’ultima partigiana Medaglia d’oro della Resistenza ancora vivente, si è definita sempre non partigiana ma patriota, perché il partigiano vuole essere di una parte, invece i patrioti sono per tutti», nessuno escluso, mirando in sostanza al bene della patria, al bene comune. A proposito dei fascisti, lo storico ritiene che bisogna, da un lato, «distinguere quelli che sono stati i criminali, perché di crimini i fascisti ne hanno commessi veramente tanti» e, dall’altro, non demonizzare tutti indistintamente (Leoni cita i casi di Adriano Visconti, Carlo Borsani e del tenente Barbetti, quest’ultimo destinatario di una lettera del condannato a morte Pietro Ferreira, cattolico, al quale lo stesso tenente aveva cercato di salvare la vita).
In definitiva, argomenta Leoni, «la riconciliazione va fondata non sulla cancellazione dei crimini», che vanno chiamati con il loro nome, «ma sul bene che può essere stato fatto». E bisogna ricordare che quanto di buono si è raggiunto attraverso la Resistenza, con la libertà e lo sviluppo del dopoguerra, passa dalle azioni «sia degli antifascisti che sono stati tali fin dall’inizio, sia di quelli che sono diventati antifascisti la sera dell’8 settembre e che ci hanno rimesso la vita».
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Riportiamo la seguente correzione di Alberto Leoni rispetto alla video-intervista:
Nel corso dell’intervista trasmessa venerdì 25 aprile sono incorso in una inesattezza e riporto la seguente doverosa correzione: durante il fascismo i militari giuravano fedeltà solo al re e non anche al fascismo. Il senso del discorso è che, nel corso del conflitto mondiale, i militari non si ribellarono al fascismo e ai tedeschi fino alla sera dell’8 settembre 1943. Fino ad allora si registrarono poche decine di casi di ammutinamento su un esercito di milioni di soldati (si veda Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943, p. 333)
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