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l'altra resistenza/6

Bisagno, un caso irrisolto e sospetto

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L'eroica figura di Aldo Gastaldi, il partigiano Bisagno. Cattolico fervente e in conflitto con i partigiani di estrazione comunista. La sua morte è ancora avvolta da un velo di sospetti e circostanze non chiare. 

Cultura 28_04_2025

Aldo Gastaldi, morto ad appena 23 anni, fu il comandante carismatico ed eroico della divisione Garibaldi “Cichero” sulle montagne liguri e la sua zona d’influenza si estese fino all’alessandrino, al piacentino e al parmense. Cattolico fervente, di un rigore morale degno di un monaco guerriero, fu molto apprezzato dai dirigenti comunisti per la sua competenza e combattività. Questo, almeno, fino al gennaio 1945 quando apparve chiaro che i comunisti vedevano “Bisagno” come un ostacolo alla propria egemonia. Di questo dissidio testimoniano alcune lettere di Gastaldi in passi come questo «Noi non abbiamo un partito, noi non lottiamo per avere un domani un cadreghino». Oppure di questa lettera profetica del 10 aprile 1945: «Continuerò a gridare ogni qual volta si vogliano fare ingiustizie e griderò contro chiunque, anche se il mio grido dovesse causarmi disgrazie o altro». 

Alla fine della guerra i rapporti tra “Bisagno” e i capi delle Garibaldi erano assai tesi e, una sera, la vettura su cui si trovava Gastaldi fu colpita da alcune fucilate. Se questa era la situazione è intuitivo comprendere la ragione dei sospetti sulla sua morte. Il materiale esaminato consiste principalmente in quello pubblicato dall’Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Ilsrec) e dal libro “Bisagno: la vita, la morte e il mistero del partigiano Elvezio Massai «Santo» e del giornalista Pier Luigi Stagno: un libro quasi introvabile e che sostiene la tesi dell’omicidio. 

Secondo la ricostruzione dell’Ilsrec “Bisagno” partì il 19 maggio da Genova verso il bresciano e il lago di Garda per accompagnare alle proprie case alcune decine di partigiani, ex alpini della divisione “Monterosa” della Repubblica sociale.  Era accompagnato dal partigiano «Dorino» (Dorino Cappelli) e da un certo Ettore Filipazzi in qualità di autisti, insieme ad una settantina di alpini su un camion con rimorchio, un grosso Fiat 666. Con loro anche una grossa camionetta Volkswagen e su di essa una decina di alpini, comandati dal maggiore Paroldo, con «Barbera» (Adolfo Burlando) come autista.

I due veicoli fecero un percorso comune fino a Piacenza, poi si divisero. Dopo Piacenza, la camionetta con Paroldo e «Barbera» si diresse verso il mantovano per accompagnare gli alpini che risiedevano nella Bassa padana, mentre il camion si diresse verso il Lago di Garda. L’appuntamento era fissato a Peschiera, per andare poi a Torbole a casa di Paroldo, vicino a Riva del Garda, sulla punta nord del lago. La frizione della camionetta si guastò, ma Paroldo e «Barbera» si procurarono un carro attrezzi e con quello raggiunsero Peschiera nella mattinata del 20. Già a questo punto le versioni di “Dorino”, “Barbera”, Paroldo e Giovanbattista Canepa “Marzo” divergono su alcuni particolari. Secondo Paroldo la camionetta fu lasciata a Desenzano ma è più probabile che fosse issata sul rimorchio, decisivo nella dinamica dell’incidente. 

A mezzogiorno del 20 il gruppo, secondo Paroldo e «Dorino», raggiunse Torbole e la casa di Paroldo, e rimane a cena presso la famiglia del maggiore. Anche sui presenti alla cena vi sono discordanze perché Paroldo, nel corso di un’intervista, inizialmente non ricordava la presenza di Filipazzi. “Bisagno” dormì a Riva del Garda e ripartì per Genova la mattina del 21, dopo colazione, con Filipazzi al volante (versione «Marzo»/«Barbera»). Sia Paroldo sia «Dorino» riportano lo stesso orario di partenza, poco prima delle 9 del mattino. Durante il viaggio Gastaldi, nonostante il parere contrario dei compagni, volle arrampicarsi sul tetto stando semisdraiato sulla sinistra e «Barbera» lo raggiunse, seduto a destra. Mentre «Dorino» dormiva nella cuccetta della cabina, Filipazzi, all’altezza, forse, di Bardolino tentò un sorpasso per superare una lunga colonna di veicoli e di prigionieri tedeschi.

Durante questa manovra un camion americano gli tagliò la strada e Filipazzi fu obbligato a sterzare a sinistra. Le ruote dell’autocarro andarono in una scarpata. «Barbera» cadde nel rimorchio mentre «Bisagno» scivolò a sinistra, cadde a terra nella scarpata e venne schiacciato dalle ruote del rimorchio. Dalla descrizione dell’incidente si ricava che non si tratta di una scarpata a discendere, esterna alla sede stradale, ma piuttosto di un terrapieno più alto della strada stessa. Il luogo dell’incidente, secondo «Barbera», si trovava all’altezza di Bardolino, a 50 chilometri da Torbole, mentre secondo «Dorino» il punto era appena fuori dall’abitato di Cisano di Bardolino nei pressi dell’11° chilometro della strada, vicino a una cappella votiva.

Sempre secondo la testimonianza di «Barbera», Gastaldi venne raccolto morente e adagiato sul camion, accudito dallo stesso «Barbera» mentre «Dorino» si era messo al volante. Arrivati all’ospedale di Desenzano, «Bisagno» cessò di vivere subito dopo. Secondo «Barbera» potevano essere le 9 del mattino ma ciò appare del tutto improbabile, visto che coincide con l’ora di partenza da Torbole. «Dorino» e «Barbera» andarono dai carabinieri e li portarono sul luogo dell’incidente, dove era rimasto Filipazzi, seduto a terra, inebetito. Paroldo ebbe la notizia da «Dorino» alle 13, mentre era a pranzo a Torbole. Accorso a Desenzano, vi arrivò alle 15:30 per constatare la morte di Gastaldi.

Va notato che, sebbene i carabinieri fossero intervenuti, nessuno seppe indicare che l’ospedale più vicino era quello di Bussolengo, a 14 chilometri di distanza e non quello di Desenzano a 28 chilometri. L’ILSREC esibisce la testimonianza del partigiano Michele Patrone che, tuttavia, contraddice quella di “Barbera” in tre punti: 1) data il funerale di «Bisagno» al 17 maggio anziché al 23; 2) al volante ci sarebbe stato «Dorino» e non Filipazzi; 3) al posto di Filipazzi si parla di un certo Nebbia che non compare in altre versioni. Per quanto riguarda Ettore Filipazzi esiste solo una lettera indirizzata ai genitori di Aldo Gastaldi che nulla dice sulle circostanze e pare più scritta da un prete che da un camionista.  

Non esistono documenti ufficiali sulla morte di Gastaldi, tranne una dichiarazione del sindaco di Desenzano (anno 1988) in cui si legge che il decesso è avvenuto per schiacciamento del torace e dell’addome «a seguito di incidente occorso sulla strada Verona-Brescia» (sic!).

Non vi fu nessuna istruttoria sulla morte. Filipazzi non venne interrogato, così come non lo furono le trenta persone che viaggiavano sul camion (o sul rimorchio). Nessuna autopsia. Irreperibili i verbali dei carabinieri intervenuti. Introvabile la relazione che Paroldo afferma di aver scritto. Nessuno dei testimoni, nemmeno Paroldo, seppe indicare il luogo dell’incidente, che secondo la dichiarazione rilasciata al comune di Desenzano, sarebbe avvenuta sulla strada Verona-Peschiera, quindi nemmeno lungo il Garda. Le ricerche di Stagno e Massai hanno permesso di individuare il probabile luogo dell’incidente a Cisano, a 60 chilometri da Torbole. Questo, però con una strada oggi più larga di un metro e mezzo e con auto moderne. Il luogo sarebbe all’11° chilometro della Gardesana, poco fuori il paese di Cassone. C’è anche la cappelletta (a esser precisi un’edicola) di cui parla «Dorino» nella sua testimonianza. E’ una strada molto stretta, leggermente in salita ed è difficile ipotizzare un sorpasso con un camion grosso e lento come il Fiat. Manca però un elemento essenziale, cioè la scarpata su cui «Bisagno» sarebbe caduto per poi scivolare sotto il rimorchio. Poco più lontano, a Lazise, c’è un punto che può essere più consono all’incidente, con la scarpata di un metro e mezzo descritta da «Dorino» sulla sinistra e un’edicola sul lato sinistro della strada in direzione Desenzano.

Su tale incidente è stata avanzata l’ipotesi di un caffè avvelenato che avrebbe fatto perdere i sensi a “Bisagno” ma si tratta di un’ipotesi assai macchinosa. Più interessante è la testimonianza di Gino Lunetti, cugino di Aldo Gastaldi, contenuta in I giusti del 25 aprile (ARES) di Luciano Garibaldi. La mattina del 22 maggio 1945, a Lunetti venne permesso di vegliare la salma di «Bisagno» in qualità di parente. In quell’occasione poté constatare che il torace di Aldo Gastaldi era integro.

In definitiva le testimonianze sono così scarse, confuse e contraddittorie da non poter stabilire un quadro coerente dell’evento. L’autore, nel corso delle sue ricerche ha raccolto un’ulteriore versione secondo la quale l’incidente sarebbe avvenuto nel centro di Bardolino di fronte all’attuale Hotel San Marco, poco prima della pieve romanica. Inoltre, sempre secondo tale testimonianza, «Bisagno» sarebbe stato portato via immediatamente verso il basso lago, a Desenzano. Il problema è che questa testimonianza è orale e di seconda mano, essendo il testimone defunto da tempo ed ha un valore molto relativo. D’altra parte, a quasi ottant’anni distanza, è ben difficile trovare testimoni ancora vivi. La polvere di decine di anni di silenzio ha ormai coperto ogni traccia.  

Di tutta questa storia due sono le cose davvero importanti: la prima è la figura di Aldo Gastaldi, dichiarato servo di Dio e per il quale è in corso la causa di beatificazione; la seconda è il desiderio di fare pulizia nella storia della Resistenza che merita sempre di più di essere l’epopea fondante della nuova Italia.



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