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CONTINENTE NERO

Zimbabwe, il primo sanguinoso voto libero

Il voto del 30 luglio in Zimbabwe, il primo senza Robert Mugabe (dopo 37 anni al potere) è segnato da nuove violenze. Riconfermato al potere il partito di Mugabe, lo Zanu-Pf, alla presidenza torna il presidente in carica Mnangagwa. E scoppia la protesta dell'opposizione.

Esteri 04_08_2018
Polizia sotto i manifesti elettorali

Il voto del 30 luglio in Zimbabwe, il primo senza Robert Mugabe, deposto lo scorso novembre da un colpo di stato militare dopo 37 anni al potere, ha confermato la leadership del partito da sempre alla guida del paese, lo Zanu-PF che in parlamento ha ottenuto 145 seggi su 210, una netta maggioranza. La stessa opposizione, per bocca del suo leader, il  candidato dell’MDC Nelson Chamisa, ha ammesso il risultato e ha dichiarato di rispettarlo. Ma invece non accetta quello delle presidenziali.

Nella notte tra il 31 luglio e il 1° agosto la Zec, la Commissione elettorale, ha annunciato la vittoria del presidente in carica, Emmerson Mnangagwa, l’uomo che ha preso il posto di Mugabe vincendo lo scontro ai vertici dello Zanu-Pf contro l’ala del partito che sosteneva la successione di Grace, la moglie di Mugabe, alla carica di capo del partito e dello stato. Ma il giorno prima, con una mossa che ormai in Africa i candidati usano spesso e che sempre genera violenze post elettorali, per le aspettive che genera in chi crede di aver vinto nonostante i risultati avversi e la rivolta di chi si vede contestata la vittoria, Chamisa si era proclamato presidente. Nelle strade della capitale Harare il suo partito aveva iniziato dei festeggiamenti che si sono trasformati in manifestazioni di protesta sempre più violente quando si è sparsa la voce che la Commissione elettorale “stava dalla parte” di Mnangagwa e gli aveva attribuito la vittoria. L’esercito subito intervenuto ha agito con la consueta durezza, appresa e praticata nell’era del regime appena terminato. I militari hanno sparato sui dimostranti uccidendone sei,  molti sono i feriti. La città si è fermata per ore temendo il peggio.

Lo strettissimo margine di vittoria – 50,8% dei voti al presidente in carica, 44,3% a Chamisa – agli occhi dell’opposizione è la conferma che l’esito ufficiale del voto deve essere respinto. Ulteriori prove di un voto manipolato sarebbero la frequenza insolitamente alta dei votanti – oltre l’80% - in tutte le 10 province del paese e il ritardo nell’annuncio dell’esito. “Quel che cercano di fare con questo ritardo – aveva detto durante una conferenza stampa Chamisa mentre passavano le ore e l’annuncio dei risultati non arrivava  – è prenderci in giro. Questa è manipolazione, falsificazione dei dati. Stanno cercando di inquinare il risultato e noi non lo permetteremo”.

Ad Harare per il momento è tornata la calma. Ma giorni di incertezza attendono il paese se davvero Chamisa, come ha già dichiarato, intende presentare ricorso secondo quanto prevede la legge. Di certo, il comportamento dei due leader nei prossimi giorni servirà a capire quanto sono responsabili, quanto sincere sono le loro dichiarazioni di intenti: democrazia reale, sviluppo, lotta alla corruzione, ridare al paese speranza e concrete prospettive dopo tanti anni di crisi. 

“Che la Zec abbia pubblicato dei risultati falsi, non verificati, è scandaloso e deplorevole – ha twittato il 3 agosto Chamisa – adesso deve pubblicare quelli veri e verificati, omologati dai partiti. Il livello di mancanza di trasparenza e falsificazione della realtà della Zec, di scadimento morale, di mancanza di valori è sconcertante”. Più tardi in giornata ha esortato il suo avversario a non accettare dei “risultati corrotti”, vero e proprio colpo di stato contro la volontà degli elettori, confermando che l’MDC inentende contestare i risultati ufficiali sostenendo di avere prove che delle urne sono state trasportate in mezzi aperti per contentire che fossero manomesse e che esiste una discrepanza tra il numero dei votanti alle parlamentari e alle presidenziali.

Da parte sua, Mnangagwa invita alla calma, dice che sono in corso trattative con Chamisa per cercare di evitare una crisi, assicura di aver proposto una inchiesta indipendente per individuare i responsabili delle violenze del 1° agosto. Anche lui  ha affidato a twitter le sue riflessioni. “Sono onorato di avere vinto le elezioni – ha detto – siamo andati divisi al voto, ma ci uniscono i nostri sogni. Questo per lo Zimbabwe è un nuovo inizio. Questa terra è la patria di noi tutti, affonderemo o staremo a galla insieme”.

Affondare o stare a galla. L’espressione rende l’urgenza, senza rimandare ogni decisione a causa di una crisi politica e senza instillare dubbi sulla legittimità delle cariche politiche, di salvare lo Zimbabwe, risanare l’economia dopo decenni di politiche devastanti, far uscire il paese dall’isolamento in cui l’ha costretto l’irresponsabile, sconsiderato regime del presidente Mugabe. Secondo il più grande sindacato del paese, nel 2017 la disoccupazione è salita al 90% . L’inflazione, che nel 2015 e 2016 era diminuita, ha ricominciato a crescere a livelli preoccupanti, facendo rivivere l’incubo degli anni successivi all’esproprio forzato delle grandi proprietà terriere quando la merce negli scaffali quasi vuoti costava milioni di dollari zimbabwani. Nel 2007 da un tasso di inflazione su base annua già astronomico, 1.700%, si era rapidamente passati a tassi del 13.000%. Quando il Fondo monetario internazionale aveva ipotizzato che si raggiungesse un tasso del 100.000%, non era parso possibile. Invece nel 2008 anche quel livello è stato ampiamente superato. Quell’anno una forma di pane è arrivata a costare 100 miliardi di dollari zimbabwani e un pacco di zucchero da due chili di miliardi 20 miliardi. Ancora adesso la popolazione porta i segni di quegli anni disperati.

La speranza di vita alla nascita in Zimbabwe è una delle più basse del mondo, solo 59 anni. Altri indicatori delle condizioni di salute risultano tra i più alti: il tasso di mortalità entro i cinque anni di età è di 70 su mille e la maternità costa la vita alle donne in ragione di 443 decessi ogni 100.000 gravidanze e parti.