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MARIOLINA MIGLIARESE

Vita e sviluppo In principio c'è la madre

«La prima figura d’amore è sempre la madre. Perciò il maschio è originariamente eterossessuale. Quindi il percorso del maschio deve essere quello di separarsi dalla madre per accedere ad un’altra donna, deve avere risolto il problema con la madre, deve identificarsi con il padre, per poi poter accedere ad una donna differente. Per la femmina, il percorso è diverso». Intervista alla neuropsichiatra Migliarese. 

Famiglia 14_11_2016

Se la madre e il padre sono coloro che introducono nel mondo, che danno i criteri per stare nella realtà, creando i presupposti per il buono o cattivo sviluppo dell’identità di una nuova creatura, allora si capisce perchè il tema della genitorialità è un tema intramontabile e sempre attuale. Il problema è che oggi la confusione è così forte e la genitorialità talmente oltraggiata, che a tema non c’è più il “come” poter crescere figli sani, corazzati e dalla retta coscienza.

Il problema è che oggi bisogna fare i conti con una realtà che ci obbliga a ridare le ragioni di ciò che per natura, per tradizione e per cultura è sempre stato ovvio. Che la madre sia colei che ti porta in grembo e ti mette al mondo: una recente sentenza della Consulta dice che “la regola secondo cui è madre chi partorisce, non ha fondamento in principi di rango costituzionale”. Ancora. Che due padri o due madri non generano un figlio, perciò non sono genitori:  "Non sono nè il numero, nè il genere dei genitori a garantire le condizioni di sviluppo migliore per i bambini” dice il Tribunale dei minori di Roma nell’affidare un bambino a una coppia di uomini. E di nuovo. Che strappare un figlio alla madre che lo ha partorito per venderlo a terzi è un reato: i casi di ricorso all’utero in affitto ormai si moltiplicano e vengono raccontati con compiacenza dai grandi giornali. A colpi di sentenze e di propaganda si potrebbe andare avanti a lungo con gli esempi. 

Ma il punto rimane sempre il medesimo: a pagare il prezzo più salato di questa realtà capovolta sono i nostri figli. I nuovi nati. Nella loro incoscienza e innocenza. Per uscire da un’impostazione ideologica e allo stesso tempo smascherare l’ideologia che sta dietro a questa insinuante mentalità, La Nuova BQ ne ha parlato con Mariolina Ceriotti Maigliarese, esperta di famiglie e infanzia, la quale oltre ad essere moglie e madre di sei figli, è neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta di piccoli e grandi e ha pubblicato diversi libri sull’argomento. Con lei, che ben conosce il tema della genitorialità e le dinamiche dello sviluppo neuropsichico e affettivo del bambino, vogliamo far chiarezza su alcune questioni fondamentali.

A partire dalla fecondazione eterologa, passando per l’adozione di bambini a coppie omosessuali, sino ad arrivare alla pratica dell’utero in affitto, oggi si vuole negare ad ogni costo l’importanza del legame biologico. Quanto conta il legame biologico per il sano ed equilibrato sviluppo del bambino?

Il legame biologico è un legame fondamentale che non possiamo ignorare.  Ignorarlo è tragico. Il nostro corpo non è una macchina, ma custodisce in sé dei codici della vita potentissimi. Per negare questa verità, si devono spazzare via tutti gli studi di psicanalisi degli ultimi 200 anni, da Freud in poi, ed è quello che si sta facendo adesso con molta disinvoltura. Oltretutto noi specialisti abbiamo a disposizione oggi diversi studi neuropsicologici molto interessanti che dimostrano come il rapporto tra la madre e il figlio cominci già nella pancia. 

Ecco, facciamo un esempio concreto. Nel suo ultimo libro “Erotica e materna” (Edizioni Ares), lei dice che il “nocciolo della nostra personalità” si forma proprio dalla gravidanza ai primi sei/otto mesi di vita. Può spiegare? 

Questo è un aspetto importantissimo, cui però non si vuol guardare. Accade così. Il bambino viene da una simbiosi, ovvero dentro ad un mondo che non conosce se non all’interno della mediazione del corpo della madre. Quando poi nasce, lui cerca il referente fuori dal corpo materno in continuità con ciò che ha vissuto durante quei nove mesi. All’inizio il bambino non distingue tra se e la madre, è proprio un tutt’uno con la madre. Solo con lo sviluppo dei sensi – intorno al sesto mese di vita – comincia a distinguere che c’è una differenza tra se stesso e la madre. I primi sei mesi di vita servono, quindi, al bambino per iniziare a capire che dall’altra parte esiste qualcuno che gli risponde. Inizia, così, un dialogo che si chiama “dialogo tonico”, vale a dire: come la madre lo tiene in braccio o non lo tiene in braccio, come lo guarda o non lo guarda, come risponde o non risponde al pianto, e via dicendo. Bene, cosa percepisce il bambino da tutto questo? Percepisce che c’è un dialogo, oppure che non c’è un dialogo, che c’è o non c’è una risposta ai suoi bisogni, che ciò che lui fa, ottiene sul mondo una risposta. Allora questa relazione iniziale tra mamma e bambino è fondamentale, è assolutamente da tutelare. Perché è proprio da questa sintonizzazione tra mamma e bambino, che il bambino matura la percezione che il mondo fuori da lui è un mondo attendibile, un mondo positivo, un mondo buono. O viceversa un mondo negativo, inattendibile, cattivo. Questa cosa non la puoi più fare dopo. L’imprintig dello sviluppo è dato. Non si può più riavvolgere il nastro. 

Questa sintonizzazione è possibile da realizzare al di fuori del legame materno?

Le frequenze per la sintonizzazione le ha la madre: la madre è fatta per potersi sintonizzare con il proprio figlio. Ma trovare la sintonia è difficile, non è una dinamica semplice e scontata. Per capirci: è come la radio, se giro la manopola in modo grossolano, la musica si sente male. Allora le persone che possono trovare e trovare al meglio questa sintonia, sono la mamma e il suo bambino. La mamma avendolo avuto dentro di sé, ne è predisposta. Per esempio la gravidanza, nella seconda parte, ha proprio una fase di regressione della madre allo stato infantile, che è fatta per questo. La biologia è fatta in un modo tale che se sottrai queste cose all’uomo lo rovini. Gli togli le radici del benessere umano.  Per esempio, certi disturbi psicosomatici sono sempre disturbi dall’origine molto antica, dove è mancata questa sintonizzazione. Lo stesso vale per molti disturbi di natura psichiatrica. 

Parliamo di sessualità. Sempre nel suo ultimo libro, in merito allo sviluppo dell’identità del bambino, lei parla di un “percorso verso l’eterosessualità”. Cosa significa?

La prima figura d’amore è sempre la madre. Perciò il maschio è originariamente eterossessuale, dove per sessualità si intende, non solo la genitalità, ma tutto il movimento desiderante verso l’altro. L’oggetto primario del desiderio è sempre la madre. Dunque, per il maschio è eterosessuale, per la donna è omosessuale, perché la madre è femmina. Quindi il percorso del maschio deve essere quello di separarsi dalla madre per accedere ad un’altra donna. Ciò vuol dire: deve avere risolto il problema con la madre, deve identificarsi con il padre, per poi poter accedere ad una donna differente. Per la femmina, il percorso è diverso. Lei deve rimanere come la madre e cambiare l’oggetto di amore e di desiderio. Perciò son due percorsi differenti, con difficoltà differenti. In questo percorso la femmina rimane a lungo con una parte potenzialmente omosessuale.  Che si rivede molto in preadolescenza, quando c’è la tipica fase dell’amica del cuore. Questo accade perché per la donna, il femminile è una figura più facile di accesso. Colei che risponde in maniera più completa al bisogno affettivo di una donna, è un’altra donna. E, infatti, da quel che vedo, l’omosessualità femminile tra le giovani ragazzine, è in forte crescita. 

Perché?

Intanto la cosa che colpisce è che queste ragazzine non ti dicono “io sono omosessuale”, ma dicono “in questo momento io sono innamorata di una donna, magari domani mi innamoro di un uomo, dove sta il problema?”. Loro sostituiscono l’amore con l’aspetto esclusivamente sensoriale e sensibile della relazione, lo idealizzano, cercano una comprensione totale, che ritrovano più facilmente in un'altra ragazza. E poi, ti dicono anche che vogliono avere i figli, ma lo dicono con l’idea che l’uomo non serva, perché “tanto c’è l’inseminazione artificiale”. C’è veramente una grandissima confusione, è una trappola pazzesca. Allora cosa impediva prima che tutte le ragazze nel proprio sviluppo si fermassero a questo punto? Sicuramente una certa educazione e, insieme, un pensiero condiviso, anche sul piano culturale, sul fatto che il completare la propria identità in un senso rispetto ad un altro fosse un valore. Ma se si cancella questo, la confusione nelle nuove generazioni è totale. 

Dunque in questo scenario quanto conta la compresenza dei due genitori, maschio e femmina, per il sano sviluppo di un’identità, anche sessuale?

E’ fondamentale. La buona identità ha sempre bisogno di due genitori, maschio e femmina. Cioè ha bisogno di una mamma che sappia comunicare con questa figlia femmina, che le faccia sentire il valore dell’essere donna come lei, però lasciandole tutto lo spazio di potersi sviluppare diversamente da lei. E di un padre che le dà valore in quanto donna. Sono essenziali tutti e due. E viceversa vale per il maschio. Poi ci possono essere diverse configurazioni del problema, più dalla parte materna o da quella paterna. Però non serve immaginare problemi enormi: lo sviluppo della sessualità è proprio un percorso delicato e il fatto che non ci sia più una “protezione sociale” data da un pensiero, da una cultura condivisa che dà valore a questo, è terrificante. Ma la compresenza di padre e madre è fondamentale per l’intero sviluppo dell’identità, non solo per l’aspetto sessuale.

Per esempio?

Per esempio nell’adolescenza dei figli, le madri sole sono veramente nei guai. Perché in quella fase ci si rende conto benissimo che l’elemento affettivo da solo non ti permette di crescere un figlio. Il quale ti guarda e ti dice: ok, tu mi vuoi bene, ma io faccio quel che pare a me. Allora è evidente che non basta l’affetto per educare. Ci vuole l’amore di due genitori. Perché se manca la madre, al bambino viene a mancare tutto un aspetto di relazione sull’affettività primaria che solo la madre può dare. Se manca il padre al bambino manca quella figura che, proprio perché non l’ha portato in grembo, ha quella distanza affettiva da lui che gli permette, per esempio, di dargli delle regole.

Dottoressa, da dove ripartire?

In primo luogo dal fatto che ogni generazione è una nuova generazione. Cioè, ogni volta che viene al mondo un figlio, quello è nuovo. Può essere andata male fino al giorno prima, ma quella creatura è nuova e quindi si ha ancora la potenzialità farla crescere bene. Una vita buona è possibile. 

E in secondo luogo?

In secondo luogo dalle donne. Intanto perché la donna è colei che può permettere alla vita di venire al mondo oppure no. La vita vulnerabile, nuova passa dalla donna: questo è un potere terrificante. Gli uomini possono diventare padri senza saperlo: se una donna abortisce il figlio di un uomo, lui potrebbe non saperlo mai. In secondo luogo, dato che i figli vengono al mondo attraverso il corpo della donna, la prima educatrice del bambino è la donna che ha l’enorme potere di dare un indirizzo alla sua crescita. E anche qui, anche nello sviluppo del bambino, la donna ha il potere di permettere o meno al padre l’accesso al figlio. Per questo dico: il cambiamento è difficile se le donne non si rendono conto tutto questo. Oggi sta crescendo una generazione di donne in cui l’uomo e il padre è un accessorio. Ma le conseguenze di questo sono devastanti.