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OTTOCENTO DA CAPIRE/14

Verga, nostalgia di un mondo che sta sparendo

In Fantasticheria, novella della raccolta Vita dei Campi, Verga anticipa il romanzo I Malavoglia. Ambientato ad Aci Trezza, villaggio di pescatori nella provincia di Catania, Fantasticheria è un omaggio per un mondo saldato ad un universo valoriale costituito da famiglia, tradizione e lavoro. Un mondo che sta per essere soppiantato da quello urbano moderno.

Cultura 18_06_2017
Giovanni Verga

Nella raccolta Vita dei campi vi è una novella molto particolare, perché non racconta una storia dall’inizio alla fine, ma è lo spunto per una vicenda che verrà dallo scrittore narrata più tardi nel romanzo I Malavoglia. Si tratta di Fantasticheria, ambientata sulla riviera del catanese, precisamente ad Aci Trezza.

Poche pagine descrivono i luoghi, gli abitanti, la vita che vi si conduce. Ma la particolarità risiede anche nel narratore che non è solidale dal punto di vista sociale ed economico con i pescatori del paese. Chi racconta in prima persona è, infatti, un personaggio altolocato che nel racconto sembra rivolgersi ad un’amica in tono confidenziale come se le scrivesse una lettera ricordandole i giorni trascorsi insieme. Ecco l’incipit: «Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste: “Vorrei starci un mese laggiù”». Dopo soli due giorni la donna dal proposito di fermarsi a lungo in quel paese, stanca della monotonia. Così, all’alba del terzo giorno si ritrova alla stazione alla ricerca di un treno che la riporti nel mondo di città civilizzato. Lì, in quel paese che sembra fuori dal tempo, collocato in un mondo mitico ed ancestrale, dove la storia sembra non aver ancor fatto irruzione con i suoi cambiamenti ed il progresso, non vi sono che un piccolo porticciolo con le barche, i faraglioni, gli scogli e il mare. Che cosa possono fare il narratore e la gentildonna se non passeggiare per la strada impolverata, salire sugli scogli, fare un giro in barca e aspettare l’alba sulla spiaggia? Leggiamo con quale maestria e dovizia di linguaggio il narratore descriva l’alba che li sorprende «in cima al fariglione» e la bellezza della donna che sta al suo fianco: «Un’alba modesta e pallida, che ho ancora dinanzi agli occhi, striata di larghi riflessi violetti, sul mare di un verde cupo, raccolta come una carezza su quel gruppetto di casuccie che dormivano quasi raggomitolate sulla riva, mentre in cima allo scoglio, sul cielo trasparente e profondo, si stampava netta la vostra figurina, colle linee sapienti che vi metteva la vostra sarta, e il profilo fine ed elegante che ci mettevate voi». Di fronte a quello spettacolo inusitato la donna non riesce a far altro che esclamare: «Non capisco come si possa viver qui tutta la vita». Eppure, confessa il narratore, vi sono pescatori che in quel luogo trovano tutto ciò che la gentildonna cerca affannosamente nelle grandi metropoli europee.

Quei pescatori «dalle mani dure» conoscono bene i pericoli che vengono dal mare che talvolta nelle «giornate nere» «brontola e sbuffa». Con il mare i pescatori devono fare i conti, ogni tanto lui si porta via degli uomini con le sue burrasche e le sue tempeste. Il mare non è l’unico a spazzare via la gente, vi sono anche «il tifo, il colera, la malannata» che diradano «quel brulicame».

Il narratore anticipa che un giorno scriverà un libro su quei luoghi visti e su quegli abitanti che gli si sono stampati nella memoria. 

C’era un vecchietto che «stava al timone della barca» e che ora è morto all’ospedale della città «in una gran corsia tutta bianca» accudito dalle suore di carità che non comprendono «il suo dialetto semibarbaro». Questo vecchio sarà padron ‘Ntoni, il nonno, padre di Bastianazzo nei Malavoglia, una sorta di pater familias nella società patriarcale di Aci Trezza. Tutto è bianco in quell’ospedale: le corsie, le lenzuola, il pane, le mani delle suore di carità. Il narratore colora di bianco quell’ospedale in cui muore il vecchio, in antitesi al nero del «cantuccio nero vicino al focolare» dove avrebbe voluto rimanere fino alla fine dei suoi giorni.

Il narratore tratteggia poi un altro personaggio, una ragazza che vagheggia di cambiar vita e di far soldi in città, ma lì si perde finendo per diventare una prostituta: nei Malavoglia avrebbe preso il nome di Lia, abbreviazione di Rosalia. Senz’altro non avrebbe intrapreso quella strada se non fossero morti il padre (nei Malavoglia assumerà il nome di Bastianazzo, morto in mare) e il nonno (il padron ‘Ntoni di cui si è prima parlato).

C’è poi un altro ragazzo, il maggiore, forte e ben piantato per terra, che morirà nella battaglia di Lissa del 1866: sarà Luca nel romanzo, descritto qui con le fattezze del giovane ‘Ntoni, che nei Malavoglia avrà desiderio di andarsene da Aci Trezza per far fortuna altrove.

Soltanto alcuni ragazzi rimarranno fedeli alla terra e al mare, ad Aci Trezza, e cresceranno come il padre e il nonno «e popoleranno Aci-Trezza di altri pezzentelli, i quali tireranno allegramente la vita coi denti più a lungo che potranno, come il vecchio nonno, senza desiderare altro, solo pregando di chiudere gli occhi là dove li hanno aperti». Chi ha abbandonato il paese in nome del cambiamento e del successo si è perso nella città, chi rimane nel paese natio senza pretendere di più dalla vita camperà, in maniera misera, ma senza essere fagocitato dalla marea del progresso. Il narratore presenta qui «l’ideale dell’ostrica»: «il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui sassi che la circondano, mi sembrano – forse per quarto d’ora – cose serissime e rispettabilissime anch’esse». 

È senz’altro vero che qui Verga fa parlare il narratore adottando il metodo dell’impersonalità dal punto di vista narrativo e tecnico. Ma è anche vero che l’autore sembra tradire in queste frasi una simpatia umana per questo mondo saldato ad un universo valoriale costituito da famiglia, tradizione e lavoro, un mondo che non è ancora stato definitivamente scalfito dall’idolo dei soldi, del successo e della carriera cui aspirano gli uomini del mondo contemporaneo. I segni di questa idolatria si intravedono ormai anche in questo mondo antico e primitivo tanto che alcuni giovani sono stati trascinati via dal desiderio di un’altra vita e in maniera drammatica sono morti. Ecco la sintesi del dramma che il narratore promette prima o poi di raccontare: «Allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui». Meglio è per l’ostrica rimanere attaccati allo scoglio.