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IL CASO

Una ferita bisognosa di attenzione

Il caso di Padova e del giovane cui è stata tolta la potestà genitoriale. I media puntano sulla discriminazione perché il ragazzino è effemminato, avendo solo la madre come punto di riferimento. In realtà, come spiega il giudice, è un sintomo che c'è un disagio nel suo ambiente familiare. E quello è stato il grido di aiuto per le sue ferite. 

Editoriali 11_01_2017

La vicenda è complessa e presenta molti lati oscuri. Quindi è doverosa molta prudenza nel commentare i seguenti fatti. Lui è un bambino della provincia di Padova che ha subito abusi dal padre. E qui c’è già una prima pietra di inciampo. Infatti il tribunale assolve il padre per insufficienza di prove, ma aggiunge che “non c’è motivo di dubitare dei fatti del padre”.

Oltre a ciò si aggiunge il fatto che i servizi sociali indicano nella madre la causa dell’atteggiamento oppositivo del bambino nei confronti del padre.  Il tribunale dei minori allora decide che il minore debba trascorrere la giornata, dalle 7 alle 19, in una comunità diurna. Proprio in essa i responsabili della comunità notano che la situazione di disagio del ragazzo, ormai 13enne, si è acuita e tra l’altro mostra atteggiamenti effeminati, volutamente provocatori. Ed ecco un secondo provvedimento dei giudici che fa decadere i genitori dalla potestà genitoriale.

Nella decisione si legge tra l’altro che il minore “tende in tutti i modi ad affermare che è diverso e ostenta atteggiamenti effeminati in modo provocatorio”, tali atteggiamenti sarebbero “addebitabili alla mamma e alle sorelle visto che le sue figure di riferimento sono esclusivamente femminili”. In modo analogo la relazione dei servizi sociali affermava che “il suo mondo affettivo risulta legato quasi esclusivamente a figure femminili e la relazione con la madre appare connotata da aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale”. Il decreto dei giudici concludeva che nel ragazzo si evidenziano "problematiche relazionali profonde e segnali di disagio psichico". Secondo la relazione dei servizi sociali l’allontanamento dai genitori permetterebbe al 13enne di “avere uno spazio che gli consenta di incontrare i suoi pensieri ed i suoi desideri con conseguente percorso di revisione del suo mondo interno così come oggi lo percepisce". 

Ovviamente i media semplificano e parlano già di discriminazione. A dare la stura alle critiche è l’avvocato Francesco Miraglia, legale della madre che ha impugnato il decreto del tribunale: “Trovo scandalosa la decisione di allontanare un ragazzino solo per l’atteggiamento effeminato. Mi sembra un provvedimento di pura discriminazione. Non sappiamo quale sia l’orientamento sessuale" ma "non esistono comunità che possano accogliere un ragazzino che potrebbe essere omosessuale. E se arriva con la nomea di essere omosessuale? Non rischiamo di trasformarlo in un ragazzino a rischio suicidio? A me sembra una vicenda di una gravità inaudita".

Ripetiamo: la vicenda è ricca di nuances ed occorre andare con i piedi di piombo, ma non si può escludere, rebus sic stantibus, che il tribunale dei minori abbia agito correttamente. Vero è che in genere i giudici non di rado assumono con disinvoltura la decisione di strappare i minori dal nucleo familiare. Solo ragioni gravissime dovrebbero portare ad un decreto che faccia decadere i genitori dalla loro potestà. Forse potrebbe essere questo il caso: c’era un sospetto di abusi da parte del padre, i servizi sociali in un ambiente neutro e protetto hanno verificato poi che il disagio persisteva. Ed è qui il punto. La decadenza dalla potestà genitoriale, per quel che ci consta, non è causata dagli atteggiamenti effeminati del minore. Questi sono stati correttamente interpretati come effetti di un disagio che sta a monte. Sono solo la spia che qualcosa non va in quel ragazzo, che nel suo ambiente familiare non può crescere in serenità. Per ipotesi il minore avrebbe potuto presentare altri sintomi: autolesionismo, ribellione, aggressività, depressione, etc. L’atteggiarsi da femmina potrebbe essere nel caso di specie una delle possibili reazioni malsane ad un clima familiare che non l’aiuta ad essere sereno perchè non l’aiuta nel percorso che lo deve portare dall’essere maschio, all’essere uomo.

Nessuna discriminazione dunque – anche perché nel clima omofobico in cui sguazziamo è difficile ipotizzare assistenti sociali e giudici che condannano il transessualismo e l’omosessualità come motivi legittimi per togliere un bambino dai genitori – bensì solo la constatazione che l’effeminatezza di quel ragazzo è un grido di aiuto che aspettava da tempo una risposta adeguata. E – aggiungiamo noi – ogni disforia nell’identità psicologica sessuale è sempre un campanello di allarme che rivela l’esistenza nell’intimo della persona di un ferita profonda bisognosa di attenzione.