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LA RIFORMA

Un decreto per porre fine all'immigrazione illegale

La stragrande maggioranza dei richiedenti asilo non lo ottengono, perché non sono perseguitati in patria, né fuggono dalle guerre. E spesso spariscono. Con il "permesso di soggiorno per motivi umanitari" molti immigrati illegali hanno potuto vivere in Italia in non in clandestinità. Il decreto allo studio al governo vuol porre fine a questi abusi.

Politica 24_09_2018
Sgombero di un palazzo occupato da immigrati a Roma

I protocolli e i bandi Sprar, che hanno in carico i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale, la chiamano “immigrazione non programmata”, un eufemismo per non dire “illegale” come di fatto è. Dal 2015 a oggi sono arrivati in Italia illegalmente centinaia di migliaia di stranieri, in gran parte dicendosi profughi, in fuga da guerre e persecuzione. Non c’è voluto molto per capire che per lo più dichiararsi profughi e chiedere asilo era un espediente per non essere respinti. Ogni anno infatti vengono accolte solo poche migliaia di richieste di protezione internazionale. Quest’anno la percentuale dei richiedenti a cui finora è stato concesso lo status di rifugiato varia dal 6 al 9% a seconda dei mesi e quella di chi ha ottenuto protezione sussidiaria dal 3 al 7%. L’Italia però prevede una terza forma di accoglienza, il permesso di soggiorno per motivi umanitari che nel 2018 è stato concesso a circa il 28% dei richiedenti. Tuttavia non tutti i richiedenti respinti nel corso degli anni hanno lasciato il territorio italiano. Inoltre anche molti degli immigrati illegali che non hanno chiesto asilo sono rimasti in Italia sottraendosi al controllo delle autorità. Se non si sono trasferiti in altri stati europei, vivono in clandestinità, svolgendo lavori in nero o attività illegali.

Il decreto in discussione al Consiglio dei Ministri fa parte di un articolato programma di azioni per mettere fine al fenomeno dell’immigrazione illegale, nella convinzione, finalmente, che vada contrastato perché reca danno a tutti, e in termini non solo economici: ai cittadini italiani, gravati dell’enorme onere finanziario e sociale dell’assistenza, agli emigranti illegali, a cui l’Italia non è quasi mai in grado di offrire integrazione reale data l’attuale situazione del paese, ai rifugiati in cerca di asilo, che a causa del gran numero di sedicenti profughi non si riesce ad accogliere come meriterebbero, e ai paesi di origine, che perdono risorse umane inutilmente. Un ulteriore danno deriva dal fatto che almeno il 90% degli emigranti illegali ricorre per raggiungere l’Italia a organizzazioni di contrabbandieri di emigranti, alimentando una delle attività criminali più redditizie.

“Il presente intervento normativo – si legge nella relazione illustrativa del decreto immigrazione – si rende necessario ed urgente nell’ambito di una complessa azione riorganizzativa, concernente il riconoscimento della protezione internazionale e le forme di tutela complementare, finalizzata in ultima istanza a una più efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio nonché ad indurre misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale”.

Finora la maggior parte delle reazioni al decreto si sono concentrate sulla eventuale sostituzione del sistema di accoglienza diffusa e di microaccoglienza di cui i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e gli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) sono gli organismi. In realtà, al di là di come verrà riorganizzata l’accoglienza, del provvedimento, che si articola in cinque capi e 15 articoli, meritano una attenta analisi le disposizioni volte a individuare chi realmente ha bisogno di protezione internazionale e allontanare dal territorio nazionale chi usa la richiesta di asilo come espediente e chi, anche se gode dello status di rifugiato, commette azioni che mettono in pericolo la sicurezza nazionale e l’ordine pubblico, come prevede la stessa Convenzione di Ginevra sui rifugiati. 

Una delle disposizioni più rilevanti del decreto immigrazione, e che più farà discutere, è senza dubbio l'abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

“I principali profili di criticità dell’attuale sistema – spiega la relazione illustrativa – sono individuabili nell’anomala sproporzione tra il numero dei riconoscimenti delle forme di protezione internazionale (…) e il numero dei rilasci del permesso di soggiorno per motivi umanitari. (…) L’ampio ricorso a tale forma di tutela si fonda principalmente su una definizione legislativa dell’istituto dai contorni incerti, che lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva in contrasto con il fine di tutela temporanea di esigenze di carattere umanitario per il quale l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento”.

In altre parole, l’istituto è servito a consentire di risiedere in Italia a migliaia di persone che chiedevano asilo raccontando minacce e difficoltà impossibili da verificare, spesso anche inverosimili, oppure accampavano motivi inammissibili: un esempio tra i tanti, quello del ragazzo che ha sostenuto di aver lasciato il proprio paese perché il padre ammalatosi e divenuto cieco non gli pagava più le tasse scolastiche. 

Per quanto concerne l’allontanamento dal territorio nazionale, il decreto annuncia misure urgenti per assicurare l’attuazione dei provvedimenti di rimpatrio di coloro che non hanno titolo di soggiornare, utilizzando nuove forme di trattenimento e nuove procedure di frontiera. Inoltre intende ampliare il catalogo dei reati che comportano il rifiuto o la revoca della protezione internazionale.