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GUERRA EUROPEA

Ucraina, storia di un conflitto "congelato"

Il dialogo a Parigi fra i ministri degli esteri russo e ucraino (con Germania e Francia nella veste di mediatori) si è concluso con un nulla di fatto. L'Ucraina non ha ancora il controllo dei suoi confini orientali, alla Russia interessa mantenere Kiev sotto pressione con una guerra ibrida nelle province di Donetsk e Luhansk. E il paese rischia di sprofondare nella crisi economica.

Esteri 08_03_2016
Ucraina, tregua al fronte

Sono rimaste incerte le prospettive di composizione del conflitto nelle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk al termine della riunione dei ministri degli Esteri di Ucraina e Russia, e in veste di mediatori di Francia e Germania, rinviata più volte e finalmente avvenuta la scorsa settimana a Parigi. Conflitto “di bassa intensità” lo definiscono gli analisti politici. Ma a ricordarcelo nelle sue proporzioni hanno provveduto le Nazioni Unite, tramite l’Alto commissariato per i diritti umani, evidenziando la crescita del numero delle vittime (in due anni, dall’aprile 2014 al 15 febbraio di quest’anno, ben 9.167 morti e 21.044 feriti), in sintonia con le fonti giornalistiche che quasi quotidianamente riferiscono di continue perdite umane. 

Il cessate il fuoco, per quanto sancito dagli accordi di Minsk , resta dunque precario anche se in proposito nulla si è saputo dall’ultimo rapporto OSCE, l’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa, i cui osservatori sono incaricati di monitorare quel che accade sul terreno. Dovrebbe in esso emergere, fra i tanti inadempimenti degli accordi di Minsk, il mancato ritiro di militari stranieri o foreign fighters, combattenti illegali o mercenari che dir si voglia. Fra i combattenti volontari ucraini, che affiancano soldati dell’esercito, un recente resoconto giornalistico ha citato la presenza di austriaci, svizzeri e persino di un afgano e di un russo, quest’ultimo oppositore politico di Putin; e fra i combattenti separatisti dei battaglioni Vostok, Somalia e Sparta di serbi, francesi, spagnoli, tedeschi. Il 20 febbraio c’è stato uno scambio di prigionieri: i separatisti hanno rilasciato quattro militari ucraini, i soldati ucraini cinque miliziani e un sacerdote.

Entro dicembre 2015 l’Ucraina avrebbe dovuto ristabilire il pieno controllo del lungo confine fra le due regioni separatiste con la Russia, ma questo non è avvenuto. Anzi, il mese scorso esercitazioni su larga scala sono state compiute dalle forze armate russe, interessando l’intero distretto del Sud, cioè anche la Crimea annessa due anni fa e il Mar Nero (vi sono stati impegnati 8.500 militari, 900 carri armati, 200 aerei ed elicotteri e 50 unità navali). Questa situazione è stata denunciata a Parigi dal ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin quando il collega francese ha auspicato che si possano svolgere in giugno le elezioni, previste in febbraio, nelle due regioni separatiste (a cui il Parlamento di Kiev ha accordato uno statuto speciale autonomo). Klimkin ha detto chiaramente, e lo ha ripetuto in una dichiarazione alla stampa, che le elezioni dovranno svolgersi “in piena sicurezza” (evidentemente quella che non c’è) e questa può essere “assicurata da un’ampia e robusta presenza internazionale sul terreno”. 

A Parigi dunque non è stato compiuto l’atteso passo avanti. L’impressione è che il Cremlino, irremovibile nell’opposizione alla scelta dell’Ucraina di avvicinarsi all’Unione Europea, continui a tenerla in ostaggio, mantenendo calda, ma sotto controllo per convenienze internazionali, quella sorta di “guerra ibrida” (sperimentata con la Georgia nelle regioni dell’Abkhazia e dell’Ossezia) che ha comportato l’occupazione militare prima della Crimea, sbrigativamente annessa; quindi delle due regioni confinanti di Donetsk e Lugansk, autoproclamatesi repubbliche, i cui leader infatti non cessano di esaltare l’obiettivo di far parte della Federazione russa. Val la pena di ricordare che queste violazioni delle regole della comunità internazionale – i cui precedenti portano indelebile il marchio dei regimi staliniano e nazista – hanno provocato le sanzioni occidentali alla Russia, che ha risposto con delle contro-sanzioni (e sono queste che stanno danneggiato agricoltori ed operatori economici europei; quelli italiani, in particolare, volti verso il nostro governo scalpitano per la revoca delle sanzioni UE). La situazione rischia così di protrarsi.

Significativo il gesto del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov che, lasciando la riunione di Parigi qualche minuto prima della sua conclusione, ha eluso i giornalisti. I suoi colleghi, il francese Jean Marc Ayrault e il tedesco Frank Walter Steinmeier, avevano fatto delle importanti dichiarazioni quando, in preparazione dell’incontro di Parigi, il 23 febbraio si erano recati a Kiev. Al presidente Piotr Poroshenko e al premier Arseni Iatsenyuk, impegnati in un braccio di ferro politico, hanno sollecitato la composizione dei contrasti e di impegnarsi ancor più nell’ attuazione di riforme strutturali (prioritaria quella del sistema giudiziario), nella lotta alla corruzione dilagante, nel superamento della recessione economica e del crescente degrado sociale. Tutti ingredienti di una crisi interna che, se esplodesse, potrebbe essere occasione per la Russia di agire per il ripristino della sua egemonia.

Per scongiurare una prospettiva del genere, in Germania è stato preparato un “piano Marshall” per la stabilizzazione istituzionale e politica e lo sviluppo economico e finanziario dell’Ucraina. Della sua esistenza ha parlato la settimana scorsa il deputato Karl-Georg Wellman, capo del gruppo parlamentare tedesco-ucraino, affermando che sarà complementare del Piano di associazione con l’Unione Europea ma “sotto il controllo e il monitoraggio della Germania”, ed enfatizzando un “futuro per l’Ucraina di grande importanza per tutta l’Europa”.

Ma le tensioni permangono. Sulla povertà diffusa, sul malcontento per le pensioni da fame, sui costi crescenti di farmaci che la sanità pubblica non è in grado di elargire, sulla spavalderia dei corrotti e dei loro collusi, soffiano i fomentatori dello scontro politico, di destra e di sinistra, che colgono in eventi commemorativi (come in febbraio il secondo anniversario della rivolta del Maidan) o di cronaca (il processo in corso a Mosca alla elicotterista ucraina accusata di aver “pilotato” l’uccisione, nel Donbass, di due giornalisti russi), l’occasione per alimentare disordini, il pretesto per esacerbare gli animi, approfondire l’odio. Domenica, nel centro di Kiev, è stata addirittura inscenata l’impiccagione di Putin, somigliantissimo il fantoccio sbattuto dal vento fra le urla di persone vere.