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SOCIAL NETWORK

Twitter in crisi, anche i social piangono

La chiusura della sede italiana, a cui potrebbero presto seguire quelle di Germania e Olanda, mette sotto gli occhi di tutti la crisi di questo social, che pure vanta 1.3 miliardi di iscritti. Ma i limiti posti dalla brevità dei post (140 caratteri) e la struttura che premia i messaggi dei personaggi noti è all'origine dei problemi.

Economia 09_12_2016
Twitter

Che Twitter non passasse un bel momento era chiaro ormai da anni, ma in Italia gli strascichi di queste brutte notizie non erano ancora arrivati. Da qualche giorno invece la notizia della chiusura della sede italiana ha scatenato sui social network ondate di risentimento e di paura. 17 persone, hanno impilato le proprie cose in una scatoletta di cartone, hanno chiuso l’ufficio di via Camperio a Milano e sono tornati a casa a inviare curricula.

Twitter è un social network di micro blogging dove è possibile interagire con il resto della community attraverso la stesura di brevi segmenti di testo (non più di 140 caratteri) conditi da immagini, video e gif animate. Twitter conta 1,3 miliardi di iscritti, con 320 milioni di utenti attivi al mese. In Italia, gli iscritti sono 8 milioni (circa uno su 4 di quelli aventi connessione internet), con una recessione di 1 milione rispetto al 2014.

Le ragioni della crisi di questo social network sono individuabili in una serie ben fornita di elementi. Quello principale sembra essere la limitazione del formato (140 caratteri), che limita le possibilità creative e costringe a una sintesi di pensiero da non dare per scontata. Dall’altra - ed è diretta conseguenza del primo fattore - la community di riferimento: Twitter è a diretta disposizione di politici e giornalisti, calciatori e presentatori: insomma, hanno principalmente voce le grandi personalità, che vantano da principio un grosso numero di fan (che si traducono, su Twitter, in follower): per gli altri, non c’è interesse, e i contenuti svaniscono nel tempo.

L’idea, quindi, che a tutti sia data la possibilità di esprimersi attraverso il social network è teoricamente vera, ma praticamente falsa. Soprattutto su Twitter, dove la successione cronologica dei contenuti sulla pagina fa sì che gli stessi siano fruibili solo per pochi istanti prima di venir schiacciati da contenuti più recenti. L’interesse - quindi - è a priori: si genera verso persone già conosciute: ed è quindi giustificato per i giornalisti, sempre attenti a carpire storie da raccontare. Ma per il comune utente, Twitter rimane poco “espressivo”.

All’inizio del mese di ottobre, Twitter era addirittura sotto la lente di ingrandimento di alcune multinazionali, che vedevano nel social network un acquisto di circa 16 miliardi di dollari. Tuttavia, la vendita non si è mai concretizzata, anzi: le azioni di Twitter hanno subito un’involuzione dell’11% dopo il rifiuto di Google, Apple e Disney. A metà ottobre Twitter aveva annunciato il taglio del 9% della propria forza lavoro: circa 300 dipendenti. non era ancora ufficiale, tuttavia, che la chiusura degli uffici avrebbe interessato anche l’Europa. Twitter Italia S.r.l., ad esempio, stava crescendo: l’utile si attestava attorno ai 300 mila euro - con un netto di circa 180 mila - e non vi erano debiti bancari. Il problema è il ritmo di crescita ridotto. Per questo la notizia ha generato uno stupore iniziale, e adesso si attende la chiusura anche delle sedi di Germania e Olanda, dove sono presenti attività di vendita e di marketing.

Di fatto, Twitter è un canale informativo, dove gli utenti selezionano personaggi da seguire e rimangono aggiornati sulle notizie in real-time. D’altra parte, non è capace - tramite la sua struttura ontologica di messaggio breve, di 140 caratteri (sebbene, come sappiamo, Twitter stia cercando di rendere più elastico questo limite senza tuttavia snaturarsi) - di muovere né alla conoscenza del brand né tantomeno alle vendite. Tutt’al più, Twitter rimane un buon sistema per fare Customer Service in maniera veloce ed efficace, qualora tuttavia si vogliano destinare risorse su questo strumento dall’utilizzo non immediato.

Il grande problema di Twitter sta nel fatto di non essere democratico. Non è un giudizio di valore (sarebbe ipocrita definire Facebook o Instagram democratici, ad esempio), non è sostanzialmente peggiore dei suoi compagni. Ma i grossi limiti espressivi inducono ad usare la piattaforma quasi come un nuovo canale per lanci di agenzia, poiché solo chi è capace di una sintesi di pensiero estrema può valorizzare i 140 caratteri che Twitter propone. Inoltre, il fatto di non impiegare un algoritmo per la successione dei contenuti - di fatto cronologica, non di “valore” - preserva dalla creazione di una “bolla di filtraggio”, ma lascia tutto in mano all’attenzione dell’utente, che inevitabilmente predilige contenuti di personaggi famosi rispetto a quelli su cui l’interesse è ridotto. La crisi di Twitter, quindi, è ontologica, ed è necessaria una rivoluzione totale per uscirne.