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L'INTERVISTA

«Torniamo in Terra Santa per salvare la fede»

«Per salvare la fede dalla gnosi dobbiamo tornare in Terra Santa. Sono i pellegrinaggi a far fiorire una civiltà». Lo dice monsignor Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, nella chiacchierata con la Nuova BQ al termine di un pellegrinaggio in Israele. «La funzione storica della Terra Santa é quella di combattere questa lebbra del cristianesimo, la gnosi di un messaggio da usare per dialogare con la mentalità mondana».

Ecclesia 28_06_2017

"Per salvare la fede dalla gnosi dobbiamo tornare in Terra Santa. Sono i pellegrinaggi a far fiorire una civiltà". Parla così monsignor Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, nella chiacchierata con la Nuova BQ in un bar di Gerusalemme, alla fine del pellegrinaggio organizzato dal 19 al 25 giugno dall'agenzia di alcuni amici di Istoria Viaggi.

Monsignor Negri, dopo dodici anni é di nuovo in Terra Santa. Ci venne all'inizio del suo episcopato ed é tornato alla fine del suo mandato nella diocesi di Ferrara-Comacchio. Cosa porta nel cuore di questi giorni?

Come spesso accade le cose più importanti succedono come casualmente. Era tempo che un gruppo di amici spingeva per venire insieme nella Terra di Cristo, ciò ha coinciso con la fine del mio mandato: mi sembrava fosse venuto il momento di dire sì e ne sono contento, devo dire. E' stato il compimento del mio episcopato in cui ho voluto difendere intransigentemente il cristianesimo come evento. Ho infatti combattuto contro la tendenza dilagante nella Chiesa a ridurre il cristianesimo ad un messaggio protestantizzandola. Messaggio la cui contestualizzazione sarebbe da lasciare ai filosofi e interpreti, come ha recentemenfe lasciato intendere il generale dei gesuiti.

La Terra Santa come difesa della la vera fede. Interessante.

Chi viene in questi luoghi capisce che il Cristianesimo non é un messaggio. La funzione storica della Terra Santa é quella di combattere questa lebbra del cristianesimo, la gnosi di un messaggio da usare per dialogare con la mentalità mondana.

Come ha accompagnato i suoi amici ad immedesimarsi con i fatti della nascita, vita e morte di Cristo?

Sono gratoa chi mi ha invitato e della comunione immediata vissuta con gli amici presenti, comunione possibile perché ciascuno era qui radicato in Cristo e per Cristo. E così abbiamo vissuto una carità vera fra noi. Persino la nostra esemplare guida, un cristiano locale preparatissimo, lo ha notato dicendoci che con i gruppi legati a Istoria Viaggi stabilisce un legame profondo, che non accade con altri. É evidente dunque che non abbiamo visitato delle pietre morte, ma abbiamo rivissuto il fatto di Cristo, presente qui e ora fra noi, risalendo a Lui dai momenti storici che lo hanno coinvolto. 

Come tornate a casa?

Il popolo che visita la Terra Santa attraverso i pellegrinaggi sente la necessità di spalancare il cuore all'origine e trapassare in profondità la banalità della vita quotidiana per trovarne la sua vera dimensione, che é la nostra storia inserita in quella di Cristo, la sua nascita, morte e resurrezione che dobbiamo sperimentare anche a noi.

Oltre che di messaggio, altri nella Chiesa parlano dell'essenzialità del cristianesimo come evento, mettendo però in secondo piano segni, luoghi, storia, tradizione, quindi la dottrina che lo caratterizzano, come sè Cristo non fose un tutt'uno con questi. E pensare che qui i francescani si sono fatti uccidere pur di difendere anche i luoghi più nascosti della vita di Gesù.

Un evento senza segni non é un evento. La vita umana é connotata da segni diversi a seconda delle stagioni della vita. Se togli i segni alla vita cosa resta? Non avrebbe memoria né identità. Non sapremmo chi siamo. Palare quindi di evento senza questi segni é un altro modo per ridurre, senza dirlo, il Cristianesimo a messaggio. Al contrario, ripeto, la Terra Santa è un antidoto alla riduzione della fede: non servirsene non é maturità, ma stupidità. 

Eppure nel libro di Claudel caro a don Giussani, L'Annuncio a Maria, Anna Vercors partì per Gerusalemme come per riparare alla condizione terribile in cui versavano la Chiesa e la Francia, ma tornando, di fronte al sacrificio nascosto di sua figlia, esclamò: "Che fine della vita é vivere? Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi su questa miserabile terra? Non vivere, ma morire e non disgrossar la croce, ma salirvi e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la vera gioia".

É vero che la vita si gioca più nel sacrificio quotidiano che nelle grandi imprese, ma Anna lo ha capito andando in pellegrinaggio. I medioevali andavano in pellegrinaggio per alimentare la fede: é come prendere una boccata d'ossigeno, facendo memoria del fatto e del metodo per il fiorire della vita, che non toglie la banalità del quotidiano ma gli ridà il respiro giusto. Infatti, se si togliessero al Medioevo i numerosi pellegrinaggi del suo popolo, si dimenticherebbe il cuore pulsante della più grande civiltà cristiana. Naque tutto da questi pellegrinaggi.

Ci spieghi perché.

Perché permettevano al popolo di Dio di essere continuamente impegnato nel quotidiano ma con il cuore radicato in Cristo e proiettato verso il fine ultimo della vIta, il Paradiso. Per questo da sempre la Chiesa, non appena un regime gli concede un po' di libertà (un esempio è la Polonia con la devozione alla Madonna di Czestochowa) individua una meta di pellegrinaggio dove l'evento di Dio incarnato riaccade, affinché la Chiesa risorga dal quotidiano, che appunto non significa fuggire da esso ma penetrarlo in profondità, trasfigurandolo.

Alcuni sostengono che i pellegrinaggi italiani si sono ridotti al minimo per paura degli attentati. Conferma?

Non é mai stato questo a fermare i cristiani: i pellegrinaggi diminuiscono con la diminuzione della fede. Perciò interverrò spesso per ricordare la necessità di fare pellegrinaggi affinché la fede non muoia e si rinnovi.

A proposito, cosa ha da dire alla nostra fede fragile e miope questa terra dove le religioni monoteiste convivono con identità forti e radicate?

Vedere le religioni incontrarsi con grande rispetto nella varietà e nella forza delle loro identità colpisce. Qui sono evidenti le profonde diversità maturare dentro una convivenza e non certo per strategie studiate nei seminari. La forza di queste identità vissute gomito a gomito è come se, pur magari implicitamemte, facesse percepire a chi abita queste terre di vivere in funzione di un compito più grande e in qualche modo unico.

Cosa percepisce dell'islam in Israele?

Certo se passi di qui e guardi non all'Islam dottrinale, ma a quello della gente che lavora, corre, vive per tirare la fine del mese non si percepisce la stessa apertura e accoglienza nostra. E non lo dico come un'accusa ma come un dato: ho visto gente con tanta tristezza sul volto, come la si vede anche in Occidente. Al contrario qui i cristiani sono molto lieti. A confermare che sia la salvezza dell'Occidente sia dell'Oriente é il Cristianesimo. Se l'Occidente non ritorna a Cristo resta sazio e disperato, mentre se l'Oriente non incontra Cristo é destinato a una vita grave.