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BREXIT

Theresa May balla sulla stessa musica dei laburisti

Alla Conferenza annunale del Partito Conservatore britannico, spezzando la tradizionale unità, Boris Johnson attacca la May. La premier arriva su palco danzando sulle note degli Abba, ma evita di rispondere al rivale sul suo piano per la Brexit. E fa promesse elettorali simili a quelle laburiste.

Esteri 04_10_2018
Theresa May

La premier britannica Theresa May arriva sul palco danzando sulle note di Dancing Queen degli Abba, ostentando sicurezza di fronte a una platea non propriamente osannante. La Conferenza annuale del Partito Conservatore, che si tiene a Birmingham è solitamente un raduno di fedelissimi e si conclude con la conferma della leadership del premier. In questo caso, la May deve fronteggiare una fronda interna che la vorrebbe defenestrare entro sei mesi. “Sta danzando sulla punta di uno spillo, davanti a un pubblico che complotta per deporla”, commenta a botta calda Vince Cable, leader dei Liberaldemocratici.

Boris Johnson, già sindaco di Londra e ministro degli Esteri quando la Brexit era appena stata votata, l’ha attaccata frontalmente, soprattutto sul Piano di Checquers, la strategia delineata presso la residenza estiva della premier per uscire dall’Ue, già bocciata da Bruxelles. Per Boris Johnson, il piano della May, anche se dovesse riuscire, manterrebbe il Regno Unito troppo vincolato all’Ue. E’ in pratica un falso piano di uscita. Johnson aspira effettivamente alla leadership del Partito. Non appena la May dovesse essere sconfitta, è pronto a subentrarle. Conta sul fatto di essere stato lui il capofila della battaglia a favore del "leave" dell'uscita dall'Ue, mentre la May sta negoziando la Brexit pur essendo una "remainer". Quindi, senza troppo entusiasmo, per una battaglia che non era la sua. 

La May ha risposto il giorno dopo (ieri, per chi legge) con un discorso in cui, a parte l’operazione simpatia, ha evitato accuratamente del suo piano per la Brexit. Piuttosto ha enunciato una serie di promesse di spesa pubblica, al grido di “l’austerity sta finendo” e “i giorni migliori sono in vista”. Prima di tutto ha annunciato che sarà rimosso il limite di indebitamento dei comuni per la costruzione di nuove case popolari. I comuni sono già fortemente indebitati con lo Stato (per 26 miliardi di sterline) per opere di edilizia popolare, costruendo 6000 unità abitative all’anno. Si prevede che, saltando il tetto sull’indebitamento, i comuni possano costruire fino a 20mila unità abitative all’anno. Aggiungendo, però, dai 10 ai 15 miliardi di sterline di debito. La seconda promessa riguarda il servizio sanitario nazionale (Nhs), una costante nella propaganda della Brexit, in cui si affermava che i soldi trasferiti a Bruxelles sarebbero poi stati usati per curare i cittadini britannici. La May promette un nuovo piano a favore dello screening preventivo dei tumori, per aumentare le diagnosi precoci al 75% dei casi entro il 2028. Per questo occorrerà un investimento stimato di altri 20 miliardi di sterline.

Considerando che i Conservatori vivono sulla promessa di meno tasse per tutti, sicuramente le aliquote non potranno essere alzate per finanziare questi nuovi, ambiziosi, piani pubblici. Quindi sarà tutto finanziato in deficit. C’è come un déja vu, in tutte queste promesse. Non stiamo parlando del governo italiano, in questo caso, ma del programma laburista di Jeremy Corbyn, che ha appena concluso il suo Congresso. La premier conservatrice ha più volte attaccato Corbyn nel suo discorso conclusivo, accusandolo di essere utopistico, fautore di un pacifismo ingenuo e di voler alzare le tasse. Ma alla fine, alla logica laburista lei ne contrappone una molto simile, quasi identica: “Far funzionare il mercato a beneficio di tutti”. Anche lo slogan, “Per tutti, non per pochi”, sembra copiato pari pari da quello del Partito Laburista. E’ una strategia che paga? Di solito, Brexit a parte, gli elettori fra l’originale e la copia tendono a scegliere l’originale. Secondo gli osservatori di parte conservatrice, è stata soprattutto questa la causa della magra performance delle elezioni dell’anno scorso, che sono state quasi perse pur partendo da un vantaggio immenso.