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VITA

Staminali: scienza da una parte, Europa dall’altra

Un ricercatore giapponese "costringe"  le staminali adulte a servire come quelle embrionali, ma la UE continua ad autorizzare la ricerca che uccide.

Attualità 20_12_2011
Embrione umano
«Anche se questo tipo di terapia [che fa uso di cellule staminali embrionali] non è ancora stato sperimentato completamente potrebbe aiutare a salvare delle vite umane o, al peggio, spingere in avanti la ricerca scientifica». Così parlava Ian Wilmut, papà della pecora clonata di nome Dolly, dalle colonne del giornale The Scotsman nel gennaio del 2006. Ed aggiungeva: «Se aspettiamo ancora che tutti gli elementi siano sperimentati e testati potremmo ritardare molto la messa a punto di trattamenti efficaci». Passano quasi sei anni e lo stesso Wimut fa dietro-front e al Daily Telegraph qualche giorno fa ha dichiarato: «Create staminali senza embrioni. Scelgo questa strada».

Wilmut, responsabile del gruppo di Riprogrammazione cellulare del Centro di Medicina rigenerativa presso l’Università di Edimburgo, è stato fulminato sulla via di Damasco da un suo collega, il professor Shinya Yamanaka dell'Università di Kyoto. Questo scienziato giapponese ha appena pubblicato i risultati della sua ricerca che aveva illustrato in anteprima qualche mese fa in occasione del meeting dell’International Society for Stem Cell Research tenutosi a Toronto e dove era presente lo stesso Wilmut. Yamanaka è riuscito a riprogrammare le cellule adulte facendole diventare simili, per funzionalità, alle staminali embrionali. Queste ultime sono "totipotenti", cioè capaci di differenziarsi in molteplici tessuti: pelle, neuroni, ossa, etc. La scoperta del giapponese Yamanaka è importante sia dal punto di vista scientifico che etico. Sul primo versante potremmo avere una fonte inesauribile di cellule staminali dal paziente stesso. Prelevando ad esempio dalla sua cute alcune cellule e riprogrammandole, queste potrebbero trasformasi in quei tessuti di cui lo stesso paziente ha bisogno senza rischi di rigetto: neuroni per curare Alzheimer, Parkinson e SLA, pelle per le ustioni, cellule del pancreas per il diabete, etc. Wilmut aggiunge che questa tecnica, a differenza di quella che interessa le staminali embrionali, non presenta il pericolo che queste cellule diventino cellule tumorali. Dal punto di vista etico poi nessun embrione verrebbe sacrificato dato che il prelievo delle cellule si praticherebbe su persona adulta. Così chiosa ancora Ian Wilmut: «La nuova via di ricerca è accettata socialmente ed è estremamente appassionante».

Che la strada da prendere sia quella delle staminali adulte e non quella che prevede la soppressione degli embrioni è cosa nota non solo agli addetti ai lavori ma anche al popolino. Nell’ottobre dello scorso anno l’inchiesta Eurobarometro ha rilevato che il 56% degli intervistati - il campione era rappresentativo di tutta la popolazione europea - considerava il concepito come persona umana e il 69% era favorevole alla ricerca sulle staminali adulte. Solo una piccola minoranza appoggiava la ricerca sulle staminali embrionali.

Fin qui la scienza e il sentito comune. La politica, almeno quella europea, però sembra andare in altra direzione. L’Ottavo Programma Quadro dell’Unione Europea “Horizon 2020” pare che prevederà il finanziamento delle ricerche che comportino la distruzione degli embrioni. Il budget previsto per il periodo 2014-2020 è di 80 miliardi di euro: tanto per intenderci la manovrina richiesta da questa stessa Europa all’Italia è di 30 miliardi. La Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) non è stata a guardare e il 7 dicembre scorso ha pubblicato una nota dove chiede agli estensori del Programma Quadro di fare un passo indietro sulle staminali embrionali e invece un passo avanti su quelle adulte. Queste «dovrebbero dunque beneficiare di un finanziamento prioritario nel nuovo programma quadro Horizon 2020», continua il comunicato dei vescovi.

Qualche commentatore ha poi considerato la disciplina prevista dal Programma Quadro in contraddizione con la sentenza dello scorso ottobre della Corte Europea riguardante il caso “Greenpeace vs Brüstle” in cui si vietava la possibilità di brevettare le scoperte scientifiche ottenute tramite la distruzione di embrioni. Ma purtroppo non c’è nessuna contraddizione. La Corte infatti, applicando la Direttiva 98/44/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, aveva permesso la ricerca sugli embrioni che comportano la soppressione degli stessi, limitandosi solo a vietare di lucrarci su. Quindi al pari del Programma Quadro la Corte dice sì alla ricerca sugli embrioni e implicitamente ai finanziamenti della stessa, ma dice no alla vendita delle scoperte derivate da questa stessa ricerca. Perciò nessuno strabismo in ambito europeo.

Detto ciò però l’obiezione è d’obbligo: ma perché permettere di finanziare delle ricerche i cui risultati non potranno far arricchire nessuno? Cosa se ne fanno le aziende farmaceutiche di soldi provenienti dalla UE che poi non possono essere investiti in tecnologie vendibili ad alcun compratore? Due sono le possibili risposte. La prima: il divieto di brevettabilità riguarda solo l’Europa. Le multinazionali farmaceutiche hanno sedi in tutto il mondo e quindi sarà per loro facile chiedere il brevetto in un paese non europeo. In secondo luogo premere sul finanziamento delle ricerche sugli embrioni porterà prima o poi a far cadere il divieto di brevettabilità. Tutti hanno rilevato la contraddizione che investire nella ricerca senza possibilità di venderne i risultati è un paradosso. Il modo di superare il paradosso sarà permettere di brevettare le scoperte di questi esperimenti scientifici. Tanto più che uno degli obiettivi dell’Ottavo Programma Quadro è quello di aiutare “le imprese innovative a trasformare le loro scoperte tecnologiche in prodotti validi con un reale potenziale commerciale”. Dunque pare proprio che sia questione solo di tempo.