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PAPA ALLA FAO

«Si parla di nuovi diritti, ma non della lotta alla fame»

Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao. Per combattere la fame, ha detto il Papa, occorre tornare alla nozione di legge naturale in un mondo che parla troppo di “nuovi diritti” e perde spesso di vista i diritti reali. 

Editoriali 21_11_2014
Papa Francesco alla Fao

Il 20 novembre 2014 Papa Francesco ha ricevuto i partecipanti alla seconda Conferenza internazionale sulla nutrizione organizzata dalla Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, cui ha rivolto un importante discorso invitando, per combattere la fame, a tornare alla nozione di legge naturale in un mondo che parla troppo di “nuovi diritti” e perde spesso di vista i diritti reali. La fame, ha detto il Papa, non è un'entità astratta. Riguarda gli affamati, che sono persone. «La lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla “priorità del mercato”, e dalla “preminenza del guadagno”, che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi, soggetta a speculazione, anche finanziaria». Ma è anche ostacolata da una falsa concezione dei diritti, già denunciata da Benedetto XVI nell'enciclica Caritas in veritate. Anzitutto, come già ricordava Papa Ratzinger, oggi «si parla molto di diritti, dimenticando spesso i doveri». In secondo luogo, s'inventano diritti immaginari a tutto discapito di quelli reali e concreti. «Mentre si parla di nuovi diritti, l’affamato è lì, all’angolo della strada».

Da molto tempo la dottrina sociale della Chiesa si occupa del problema della fame e indica che la soluzione può venire solo da uno sforzo internazionale in cui ciascun Paese riconosca che «i destini di ogni nazione sono più che mai collegati tra loro, come i membri di una stessa famiglia, che dipendono gli uni dagli altri». Ma questo oggi è difficile perché «viviamo in un’epoca in cui i rapporti tra le nazioni sono troppo spesso rovinati dal sospetto reciproco, che a volte si tramuta in forme di aggressione bellica ed economica, mina l’amicizia tra fratelli e rifiuta o scarta chi già è escluso. Lo sa bene chi manca del pane quotidiano e di un lavoro dignitoso. Questo è il quadro del mondo, in cui si devono riconoscere i limiti di impostazioni basate sulla sovranità di ognuno degli Stati, intesa come assoluta, e sugli interessi nazionali, condizionati spesso da ridotti gruppi di potere».

Al contrario, la «prima preoccupazione» dovrebbe essere «la persona stessa, quanti mancano del cibo quotidiano e hanno smesso di pensare alla vita, ai rapporti familiari e sociali, e lottano solo per la sopravvivenza». Già nel 1992, ha ricordato Francesco, alla prima Conferenza internazionale sulla nutrizione, San Giovanni Paolo II lanciò la formula del «paradosso dell'abbondanza». «C’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso! Purtroppo questo ‘paradosso’ continua a essere attuale. Ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come su quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche, dalle esigenze di sicurezza nazionale, dalla corruzione o da un richiamo doloroso alla crisi economica».

Il problema non è solo economico ma culturale e morale. Le nostre società «sono caratterizzate da un crescente individualismo e dalla divisione» che rendono «solidarietà» una parola che molti considerano sospetta. Ma «quando manca la solidarietà in un paese, ne risentono tutti. Di fatto, la solidarietà è l’atteggiamento che rende le persone capaci di andare incontro all’altro e di fondare i propri rapporti reciproci su quel sentimento di fratellanza che va al di là delle differenze e dei limiti, e spinge a cercare insieme il bene comune».

Il Pontefice ha indicato la radice culturale e insieme giuridica di questa crisi: si è rifiutata la nozione di legge naturale, «fonte inesauribile d’ispirazione» perché «iscritta nel cuore umano, che parla un linguaggio che tutti possono capire». Una nozione che «come le persone, anche gli Stati e le istituzioni internazionali sono chiamati ad accogliere» e che garantisce gli autentici diritti. Accogliere la legge naturale non è un optional, ma è un vero «dovere» per gli Stati e per le stesse organizzazioni internazionali. Ne deriveranno «criteri che, sul piano etico, si basano su pilastri come la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà; allo stesso tempo, in campo giuridico, questi stessi criteri includono la relazione tra il diritto all’alimentazione e il diritto alla vita e a un’esistenza degna, il diritto a essere tutelati dalla legge, non sempre vicina alla realtà di chi soffre la fame».

Attenzione, ha aggiunto il Papa, le questioni del cibo e dell'acqua spesso scatenano guerre, per non parlare dei disastri ecologici causati da politiche scriteriate. «Ricordo una frase», ha detto Francesco, «che ho sentito da un anziano, molti anni fa: "Dio sempre perdona sempre le offese, gli abusi; sempre perdona. Gli uomini perdonano a volte. La Terra non perdona mai!” Custodire la sorella Terra, la madre Terra, affinché non risponda con la distruzione». Sul piano geopolitico, «nessuna forma di pressione politica o economica che si serva della disponibilità di cibo può essere accettabile» e «nessun sistema di discriminazione, di fatto o di diritto, vincolato alla capacità di accesso al mercato degli alimenti, deve essere preso come modello delle azioni internazionali che si propongono di eliminare la fame». Con implicito riferimento a un'ampia letteratura sociologica e politica, il Pontefice ha aggiunto che «l'acqua non è gratis, come tante volte pensiamo. Sarà il grave problema che può portarci a una guerra».

La dottrina sociale della Chiesa parte e arriva sempre alla persona. Va «oltre le carte, per scorgere al di là di ogni pratica i volti spenti e le situazioni drammatiche di persone provate dalla fame e dalla sete». «Queste persone non ci chiedono altro che dignità. Ci chiedono dignità, non elemosina!». Spetta a una politica ispirata dalla morale rispondere seriamente a questa richiesta.

 

 

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