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UCRAINA

Se la guerra civile diventa anche religiosa

La guerra civile ucraina è una questione politica, non religiosa. Il clero di Kiev, sia quello cattolico che quello ortodosso, ha sempre insistito su questo punto, nonostante le divisioni interne (che ci sono). Ma è il patriarca di Mosca, Cirillo, che accusa cattolici e "scismatici" di voler sradicare gli ortodossi.

Esteri 20_08_2014
Il patriarca Cirillo

La guerra in corso nell’Ucraina orientale è un conflitto fra Stati, non fra religioni. Tiene a precisarlo l’arciprete ortodosso (Patriarcato di Mosca) Gheorghi Kovalenko, capo del dipartimento sinodale per l'Informazione. È questa la chiave di lettura che data al conflitto dalla Chiesa di Kiev. Da Mosca, invece, la guerra viene rappresentata come un conflitto fra greco-cattolici filo-occidentali contro ortodossi fedeli a Mosca. E il lettore occidentale non può che rimanere spiazzato, a questo punto. In realtà, le dichiarazioni dei vertici del mosaico di Chiese che compone quell’angolo di ex Urss, rivelano una complessa sovrapposizione di più conflitti, guerreggiati o “combattuti” solo a parole, che stanno svolgendosi in parallelo.

Il primo conflitto è puramente politico: un pezzo di Ucraina, la Crimea, è stato del tutto assorbito dalla Federazione Russa e difficilmente tornerà sotto la giurisdizione di Kiev. È la Crimea. Si tratta della prima violazione dei confini nazionali di uno Stato europeo da parte della Russia. Considerando i rapporti di forza, nessuno è in grado di sfidare la prima potenza nucleare del mondo e indurre Mosca a restituire quel territorio all’Ucraina, ripristinando i confini accettati dalla Russia stessa nel 1991 e garantiti dallo stesso governo del Cremlino con la firma del protocollo di Budapest del 1994. La Crimea resta dunque sospesa in un vuoto giuridico: teoricamente ancora parte dell’Ucraina, di fatto già parte della Russia, militarmente occupata da truppe fedeli a Mosca. Da un punto di vista religioso è ancora parte integrante della Chiesa ucraina: le diocesi della chiesa ortodossa locale sono ancora sotto la giurisdizione della metropolia di Kiev e non sono state assorbite dal Patriarcato di Mosca.

Il secondo conflitto è sempre politico ed è diretta conseguenza del primo. Mosca, infatti, sostiene apertamente i separatisti delle regioni di Donetsk e Luhansk, dove si continua a combattere una dura guerra civile contro il governo centrale di Kiev. Non si tratta solo di un sostegno politico, ma anche materiale tramite l’invio di armi, rifornimenti e soprattutto volontari provenienti dai quattro angoli della Federazione, dal Caucaso settentrionale alla Siberia. Ci sono cosacchi, ceceni, ingusci, osseti, bielorussi, veterani dell’esercito regolare russo, abkhazi, volontari stranieri che hanno scelto di militare sotto le bandiere di Putin, che combattono contro le truppe regolari di Kiev e contro la Guardia Nazionale reclutata in fretta e furia dopo la rivoluzione dei Maidan. Anche questa è una guerra in cui la religione c’entra poco, considerando la gran varietà di confessioni (o non confessioni) che militano dalle due parti. Tanto per fare un esempio, ci sono volontari ceceni, musulmani, sia dalla parte di Kiev, sia dalla parte di Mosca.

Una guerra civile di lunga durata, comunque, non poteva non avere ripercussioni sul piano religioso. Una prima crepa si è divaricata fra le due Chiese ortodosse prevalenti in Ucraina, quella che risponde al Patriarcato di Mosca e quella che risponde al Patriarcato di Kiev. Il 13 agosto, in occasione dell’elezione del nuovo metropolita Onofrio, considerato un filo-russo, il presidente Petro Poroshenko ha espresso le sue congratulazioni, ma il patriarca di Kiev no. L’ufficio stampa di quest’ultimo definisce Onofrio un «ideologo del mondo russo» la cui elezione dimostra il «rapporto di dipendenza della maggior parte dei vescovi di questa Chiesa» nei confronti «della dottrina aggressiva del mondo russo, che è diventata fondamento ideologico dell’aggressione in corso, per mano del Cremlino ai danni dell’Ucraina, dell’occupazione della Crimea e del terrore nelle regioni del Donbass». Nei mesi scorsi, il Santo Sinodo del Patriarcato di Kiev aveva rimproverato ad Onofrio di aver «interrotto il dialogo ufficiale con il Patriarcato di Kiev per superare lo scisma nella Chiesa (ortodossa, ndr), in vista della costituzione di una sola Chiesa ortodossa locale in Ucraina».

Questa presa di posizione da parte del Patriarcato di Kiev appare ingiustificata, se consideriamo le ultime dichiarazioni del Patriarcato di Mosca ucraino a favore dell’integrità territoriale del Paese. Dunque, tutt’altro che inclini a giustificare le annessioni e le ingerenze russe. In una dichiarazione del Concilio dei Vescovi del 16 agosto, leggiamo infatti: «La nostra Chiesa si pronuncia per il rafforzamento della sovranità e la conservazione dell’integrità territoriale del Paese. Noi ci appelliamo ai responsabili degli Stati e alla comunità mondiale, a tutti gli uomini di buona volontà, di impegnarsi affinché cessi lo spargimento di sangue». Il Concilio ha dichiarato la propria intenzione di continuare il dialogo con il Patriarcato di Kiev, per superare le divisioni, purché sia un dialogo svolto all’interno del diritto canonico e senza ingerenze di temi politici. Quanto alla questione della Crimea, «Da cittadini ucraini, pensiamo allo stesso modo del nostro governo e dell'intera comunità internazionale che la Crimea è territorio dell'Ucraina e deve essere restituita», come ha ribadito anche ieri l’arciprete Gheorghi Kovalenko.

Piuttosto si sta delineando una divisione all’interno dello stesso Patriarcato di Mosca. Perché il patriarca Cirillo, da Mosca, esprime posizioni politiche molto differenti, se non opposte, rispetto a quelle che sentiamo a Kiev. Nella sua lettera al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, Cirillo punta il dito contro i greco-cattolici e gli “scismatici” ortodossi che li starebbero sostenendo. «Fin dallo scorso autunno, quando era appena iniziata la crisi politica in Ucraina, i rappresentanti della Chiesa greco-cattolica e le comunità scismatiche (ortodosse, ndr), che si mostravano sul Maidan a Kiev, predicavano apertamente il loro odio contro la Chiesa ortodossa, invocando la confisca dei luoghi di culto ortodossi e lo sradicamento dell’ortodossia dal territorio ucraino». Difficile anche trovare simili dichiarazioni da parte dei vescovi cattolici. Ma il patriarca Cirillo insiste, elencando una serie di fatti violenti perpetrati da cattolici contro ortodossi e parlando esplicitamente in termini di guerra di religione: «Non possiamo ignorare il fatto – scrive a Bartolomeo – che il conflitto in Ucraina abbia un’inequivocabile causa religiosa. Gli Uniati e gli scismatici ad essi legati, cercano di avere il sopravvento sulla Chiesa ortodossa canonica in Ucraina, mentre la Chiesa ortodossa ucraina continua, con pazienza e coraggio a prendersi cura dei suoi fedeli sofferenti in ogni situazione difficile. Gran parte del clero che serve in luoghi che sono diventati campi di battaglia, sono rimasti con il loro gregge, condividendo con esso il terrore di una guerra civile. Le loro famiglie stanno soffrendo degli attacchi e della mancanza d’acqua e cibo e muoiono sotto i bombardamenti d’artiglieria».

La divaricazione dei punti di vista, più evidente di così non potrebbe essere. Se Cirillo vede un’aggressione cattolica (e di scismatici locali) ai danni degli ortodossi, nella sua stessa Chiesa locale l’aggressore appare piuttosto l’ortodossa Russia. E non i cattolici che abitano nelle regioni occidentali del Paese. Come sempre, quando si parla di Chiese ortodosse, la fedeltà al proprio Stato è solo teoricamente inferiore a quella nei confronti del proprio patriarcato. In una situazione di guerra, questa doppia lealtà tende a manifestarsi in modo ancor più esplicito. Fino allo scisma. Ed è questo ciò che si rischia in Ucraina: finché il conflitto resta confinato alla politica e al braccio di ferro fra Mosca e Kiev, si può sempre sperare in una sua ricomposizione. Se la religione entrasse in campo, sarebbe una guerra senza fine.