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LOTTI SI AUTOSOSPENDE

Scandalo Csm: Pd in trincea, non può fare finta di nulla

Il Csm va in frantumi, la magistratura tocca il punto più basso della sua credibilità. La posizione di Lotti è davvero imbarazzante e conferma l’asse da sempre molto solido tra ambienti di sinistra e magistratura. La terzietà delle toghe è messa seriamente in discussione. 

Politica 15_06_2019
Luca Lotti (PD)

Il Consiglio superiore della magistratura (Csm) va in frantumi, la magistratura tocca il punto più basso della sua credibilità, il Quirinale è preoccupato della piega che stanno prendendo le cose, e nel Pd volano gli stracci. E’ sempre più difficile decifrare quanto sta accadendo nell’ambito dell’inchiesta sugli incontri di alcuni membri del Consiglio superiore della magistratura con esponenti della politica per trattare le nomine della procura di Roma e di altri capoluoghi.

A partire dalle indagini per corruzione di Luca Palamara, ex presidente Anm e membro Csm, sono emerse varie intercettazioni su manovre sotterranee che svelano intrecci tra politica e toghe.  Luca Palamara avrebbe ottenuto soldi e regali da alcuni lobbisti per influenzare alcune sentenze. Venuto a conoscenza dell’indagine su di lui grazie ad amicizie con colleghi, Palamara avrebbe cercato di pilotare la nomina del prossimo procuratore di Perugia per avere un alleato a capo dei magistrati che stavano indagando su di lui.

Ma a scuotere i Palazzi del potere sono le commistioni inestricabili tra potere giudiziario e potere politico, in particolare renziano. Due uomini particolarmente vicini all’ex premier Matteo Renzi, vale a dire l’ex ministro Pd Luca Lotti e il parlamentare dem Cosimo Ferri, magistrato, avrebbero tramato per orientare quelle nomine. Il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, nell'atto di incolpazione a carico di cinque togati del Csm, riferendosi a Lotti – già indagato a Roma per il caso Consip – ha scritto:  “Si è determinato l'oggettivo risultato che la volontà di un imputato abbia contribuito alla scelta del futuro dirigente dell'ufficio di procura deputato a sostenere l'accusa nei suoi confronti”. Nelle intercettazioni - a proposito del vicepresidente del Csm David Ermini, anch’egli del Pd, parlando con Luca Palamara, Cosimo Ferri e consiglieri del Csm della strategia per la nomina del successore di Giuseppe Pignatone, Luca Lotti avrebbe pronunciato frasi come “Però qualche messaggio gli va dato forte” e “dobbiamo fare la guerra”.

Lotti, che ieri si è autosospeso dal Pd, raccogliendo l’invito del tesoriere del suo partito Luigi Zanda, si è difeso pubblicando un post su Facebook: “In questi giorni ho dovuto sopportare una vera e propria montagna di fango contro di me. Ci sono abituato, un politico deve esserlo per forza. Ma davvero stavolta credo siano stati superati dei livelli minimi di accettabilità”. E ha aggiunto: “In un incontro che si è svolto in un dopo cena ho espresso liberamente le mie opinioni: parole in libertà, non minacce o costrizioni. È Stato scritto - dice - che lì sarebbero state decise le nomine dei capi di alcune procure, scelta che in realtà spetta al Csm: ricordo infatti che queste nomine vengono approvate da un plenum di 26 persone, sono proposte dalla V commissione e necessitano il concerto del Ministro della Giustizia. Quindi ho commesso reati? Assolutamente no. Ho fatto pressioni o minacce? Assolutamente no”.

Si tratta, però, di situazioni davvero imbarazzanti, che confermano l’asse da sempre molto solido tra ambienti di sinistra e magistratura. La terzietà delle toghe è messa seriamente in discussione proprio da queste promiscuità, che nella storia d’Italia sono una costante. Basti pensare alle porte girevoli tra accesso alla magistratura e candidature politiche o alle esternazioni mediatiche di molti giudici, che spesso pronunciano giudizi su casi dei quali si occupano direttamente.

I nodi sono venuti al pettine e l’organo di autogoverno delle toghe rischia l’implosione a causa di uno scandalo che è sfuggito probabilmente al controllo degli stessi protagonisti. Peraltro Lotti è da un po’ che non governa più. Difficile pensare che dopo di lui queste trame si siano arrestate. Probabilmente è venuta sin qui fuori soltanto una parte di verità. Ci saranno magari altri regolamenti di conti e attacchi incrociati. Forse siamo solo all’inizio di una resa dei conti.

In linea di principio, le dichiarazioni garantiste del segretario Pd, Nicola Zingaretti, sono ineccepibili. In una nota precisa che "se emergeranno rilievi penali, mi atterrò sempre al principio garantista e di civiltà giuridica secondo il quale prevale la presunzione di innocenza vino alle sentenze definitive. Agli esponenti del Pd protagonisti di quanto è emerso non viene contestato alcun reato. Per questo ogni processo sommario celebrato sulla base di spezzoni di intercettazioni va respinto". Si legge ancora nella nota: “Il Pd non ha mai dato mandato a nessuno di occuparsi degli assetti degli uffici giudiziari. Dal punto di vista dell’opportunità politica il partito che ho in mente non si occupa di nomine di magistrati”. Il problema che però Zingaretti sottovaluta o finge di sottovalutare è il rilievo deontologico e disciplinare delle condotte di alcune toghe, che avevano familiarità di rapporti con uomini del suo partito.

Come si esce da questo vero e proprio verminaio? Forza Italia e Fratelli d’Italia chiedono lo scioglimento del Csm e l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha indetto per il mese di ottobre delle elezioni suppletive per i pm dimissionari. Infatti, spiegano fonti del Quirinale, “la richiesta di scioglimento anticipato comporterebbe la rielezione dei suoi membri con i criteri attuali” e “contrasterebbe con la necessità di cambiare le procedure elettorali da più parti richieste”. La sostituzione dei dimissionari è, a detta del Quirinale, il primo passo affinché "si volti pagina" rispetto a quello che è successo nel Csm, restituendo alla magistratura indipendenza e prestigio. Intanto, però, si naviga a vista.