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NUOVO LIBRO

Sarah: «Nessuno può vietarci di celebrare l'Eucaristia»

Nel suo nuovo libro - Catechismo della vita spirituale (Cantagalli) - il cardinale Robert Sarah indica un itinerario di conversione attraverso i sacramenti come strada per costruire un rapporto forte con Dio e servire una Chiesa in crisi di fede. Ponendo al centro l'Eucaristia, senza la quale non possiamo vivere. 

Ecclesia 24_01_2023 English
Il cardinale Robert Sarah

Se da anni la Chiesa vive nella confusione, per non dire l’apostasia, negli ultimi mesi assistiamo a una accelerazione che non può non creare disorientamento e amarezza nei semplici fedeli. Si parla tanto di lotta agli abusi sessuali, poi assistiamo impotenti a una mega-operazione ai massimi livelli della Chiesa per proteggere padre Marko Rupnik, gesuita e artista, già riconosciuto colpevole di abusi e con una scomunica tolta misteriosamente a tempo di record. Intanto, ci si trova davanti alla concreta possibilità che un vescovo che sposa tesi eretiche diventi addirittura il custode dell’ortodossia cattolica: si tratta del tedesco Heiner Wilmer, che in dicembre sembrava destinato alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, nomina “frenata” dall’intervento presso il Papa di una ventina di cardinali, ma che oggi sembra tornata possibile. E ancora, il triste spettacolo che emerge dal processo in corso in Vaticano per la vicenda del palazzo londinese al centro di operazioni finanziarie molto dubbie, in cui è l’immagine dello stesso pontefice regnante che ne esce chiaramente ammaccata.

E questi sono soltanto alcuni esempi di quel che sta accadendo – a cui si potrebbero aggiungere la vergogna del “Cammino sinodale” tedesco, la guerra alla liturgia che appartiene alla tradizione della Chiesa, una più che ambigua preparazione del Sinodo sulla sinodalità, le rivelazioni e le denunce contenute nelle testimonianze di queste settimane di monsignor Gänswein, dei cardinali Müller e Pell - e che danno l’idea di una Chiesa trasformata in un campo di battaglia.

Come fa dunque un semplice fedele, ma anche un consacrato, un vescovo e anche un cardinale a non lasciarsi risucchiare in una diatriba che rischia di essere tutta “orizzontale”? A non lasciarsi scoraggiare da una Chiesa che sembra oscurare la presenza di Cristo anziché rivelarla, in cui è drammaticamente attuale il «tradimento degli apostoli», la loro «sporcizia», come ebbe a dire una volta l’allora cardinale Ratzinger?

Ricentrandoci sul compito della nostra vita, che è la conversione. Ce lo ricorda il libro del cardinale Robert Sarah, Catechismo della vita spirituale (Edizioni Cantagalli), in libreria dal prossimo 27 gennaio, che inizia proprio con le parole di Gesù, riportate dall’evangelista Marco: «Convertitevi e credete al Vangelo». Quello proposto dal cardinale Sarah è un itinerario per fare esperienza di Gesù, assolutamente imperdibile per chi in questi tempi di grandi stravolgimenti, nel mondo e nella Chiesa, desidera un punto fermo, ed eterno, su cui costruire la propria vita.

Quello che il cardinale Sarah propone è un «cammino nel deserto» perché «il deserto, che scava nell’uomo il vuoto, la sete e il silenzio, lo prepara all’ascolto di Dio e della sua Legge», il deserto è un luogo «dove si può vivere una profonda esperienza mistica di incontro con Dio che trasforma e trasfigura». La santità, che è il nostro scopo, esige questo corpo a corpo con Dio Quello nel deserto è un itinerario spirituale inevitabile se si vuole vivere seriamente: «Se accettiamo di percorrerlo, sulle orme di Abramo, di Mosè, dei profeti e del popolo eletto, moriremo a noi stessi per risorgere più vivi, portatori dei frutti dello spirito».

E l’itinerario, attraverso cui si snoda questo libro, è quello dei sette sacramenti: battesimo, confermazione, matrimonio, sacerdozio, penitenza o confessione, Eucaristia e unzione degli infermi. Perché questo è ciò che ci ha lasciato Gesù per vivere sempre alla Sua presenza. «Attraverso i suoi sacramenti, Cristo ci ha preso per mano per portarci in Paradiso». Vivere fino in fondo questa esperienza, crescere in una fede personale a prova di mondo, è anche il migliore servizio che possiamo offrire alla Chiesa: «Abbiamo già fin troppi eminenti specialisti e dottori in scienze religiose – dice il cardinale Sarah -. Ciò che drammaticamente manca oggi alla Chiesa sono uomini di Dio, uomini di fede e sacerdoti che siano adoratori in spirito e verità».

Non si tratta di scappare dal mondo, dai problemi e dalle contraddizioni, per rifugiarsi in una spiritualità che tiene fuori una realtà che non si sa accettare. Tutt’altro: il cammino nel deserto, l’esperienza dell’incontro con Gesù, serve per «tornare nel mondo per annunciare Gesù Cristo». Siamo nel mondo, ma «alla luce della fede il mondo ci appare come lo vede Dio, ben diverso da come appare agli occhi di chi giudica con le proprie capacità».

Questo dà la capacità di un giudizio chiaro e molto concreto su quanto avviene nel mondo. E il cardinale Sarah ce lo dimostra in tante pagine di questo libro, ad esempio nel capitolo dedicato all’Eucaristia, che potremmo definire come il cuore di questo volume. «L’Eucaristia – ci dice il prefetto emerito del Culto Divino – è un bisogno primordiale, una necessità vitale. (…) Un cristiano senza sacramenti e senza Eucaristia è un cadavere ambulante. Come dicevano i martiri di Abitene (…): “Noi cristiani non possiamo vivere senza l’Eucaristia”. (…) Senza la presenza di Gesù-Eucaristia, il mondo è condannato alla barbarie, alla decadenza e alla morte». Da questa consapevolezza discende un chiaro giudizio su quanto avvenuto negli ultimi anni, nel tempo del Covid, di cui riportiamo ampi stralci:

«Nessun governo, nessuna autorità ecclesiastica può legittimamente vietare la celebrazione dell’Eucaristia. In molti paesi, la recente chiusura delle chiese per ragioni sanitarie non rappresenta il primo tentativo nella storia da parte del potere di soffocare e distruggere definitivamente la Chiesa di Dio, né di contestare il diritto fondamentale degli uomini di onorare Dio e di offrirgli il culto a Lui dovuto. (…) Troppi cristiani ritengono che per essere uomini del proprio tempo e farne attivamente parte sia necessario mettere tra parentesi la propria fede e il proprio rapporto con Dio, come se questi riguardassero soltanto la sfera privata, troppo spesso descritti come una fuga dalle proprie responsabilità e un modo di abbandonare vigliaccamente il mondo al suo dramma. Di qui, la passività con cui la banalizzazione della fede e della pratica religiosa è stata accettata da popoli un tempo cristiani, come ha tristemente mostrato il modo in cui tanti governi hanno impedito ai credenti, per ragioni sanitarie, di celebrare degnamente, solennemente e comunitariamente i grandi misteri della loro fede. Le persone si sono sottomesse senza opporre alcuna resistenza a disposizioni che non si curavano minimamente di Dio.

(…) Le nostre società sono state prese dal panico davanti alla morte. La vita, si è soliti ripetere, è il bene più prezioso, da tutelare a tutti i costi. Ma vivere davvero è semplicemente un rimanere in vita? Qual è questa vita per la quale ogni cosa può essere sacrificata? Siamo arrivati al punto in cui, per non perdere la vita, le persone hanno paradossalmente cessato di vivere, di muoversi, di parlarsi, di aiutarsi, di mostrare il proprio volto e il proprio sorriso, di stringersi la mano e di abbracciarsi, di pregare insieme? Per quale tipo di sopravvivenza dovremmo rinunciare a entrare nella casa del Signore per rendergli un culto degno di Lui e ricevere l’Eucaristia, fonte di vita, «farmaco di immortalità», come l’hanno chiamata i Padri? Che valore ha la vita che ci resta, se non possiamo più nemmeno accompagnare gli anziani alla morte e offrire loro conforto?

(…) Certo, nel corso di un’epidemia si devono assumere tutte le necessarie precauzioni igieniche, però non al punto di sopprimere in noi ogni espressione esteriore di carità, o di rinunciare all’Eucaristia, fonte di vita, presenza di Dio in mezzo a noi, estensione della Redenzione a tutti i fedeli, ai vivi come a quelli defunti. Pur prendendo le dovute precauzioni contro il contagio, vescovi, sacerdoti e fedeli dovrebbero opporsi con tutte le proprie forze a quelle leggi di ordine sanitario che non rispettano Dio e la libertà di culto, poiché tali leggi sono più letali del coronavirus».

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