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BUDAPEST

Rifugiati: il rimpatrio degli ungheresi dal Venezuela

La crisi politica del Venezuela sta entrando in una fase nuova, forse decisiva, col ritorno di Guaidó a Caracas. E nel frattempo, in silenzio, l’Ungheria si sta riprendendo i cittadini di origine ungherese emigrati in Venezuela e ora bisognosi di tutto. Dando un esempio anche agli altri paesi con una forte comunità in Venezuela (come l'Italia)

Esteri 05_03_2019
Venezuela, la bandiera dell'SOS

La crisi politica del Venezuela sta entrando in una fase nuova, forse decisiva. Dopo essere stato a Bogotà, Colombia, per chiedere l’aiuto della comunità degli Stati americani, il presidente ad interim Juan Guaidó è tornato nella capitale venezuelana. Il regime di Maduro gli aveva vietato di uscire dai confini nazionali, la settimana scorsa, e poi aveva minacciato il suo arresto in caso di ritorno. Per ora Guaidó è libero e politicamente attivissimo: sta organizzando un nuovo round di manifestazioni per domenica prossima. E nel frattempo, in silenzio, l’Ungheria si sta riprendendo i cittadini di origine ungherese emigrati in Venezuela e ora bisognosi di tutto. Dando un esempio anche agli altri paesi con una forte comunità in Venezuela.

Il timore che Guaidó possa essere arrestato è comunque fondato. Anche al suo arrivo all’aeroporto, oltre ad una folla di sostenitori, ad attenderlo c’erano anche diplomatici statunitensi ed europei, giusto per dire che la comunità internazionale è presente e lo protegge per quanto possa. “Gli Stati Uniti e tutte le nazioni amanti nella libertà in tutto il mondo, stanno dalla parte del presidente ad interim Guaidó, l’Assemblea Nazionale e tutte le forze democratiche, intente a lavorare per l’indizione di elezioni libere ed eque che riporteranno la democrazia in Venezuela”, ha dichiarato il vicepresidente americano Mike Pence. Il Segretario di Stato Mike Pompeo, ha aggiunto: “La comunità internazionale deve unirsi e premere per la fine del regime brutale di Maduro e per una pacifica restaurazione della democrazia in Venezuela”.

Intanto la popolazione patisce le pene dell’inferno: alla fame si aggiunge la repressione poliziesca, oltre al timore (anche questo fondato) che scoppi una guerra civile, resa possibile dalla diffusione delle armi e dalla proliferazione delle milizie. L’Ungheria sta silenziosamente dando una mano almeno ai cittadini di origine ungherese: accoglie i cittadini venezuelani in fuga dalla crisi e dalla repressione, basta che dimostrino di avere almeno un parente ungherese. La comunità ungherese nel Paese latino americano non è delle più grandi e si è formata interamente nella metà del secolo scorso in due ondate. Nella prima c’erano gli ungheresi che fuggivano dall’occupazione sovietica, nel 1945. Dunque, tutti coloro che temevano per la loro vita sotto la nuova dittatura totalitaria. Nella seconda ondata partirono per il Venezuela soprattutto coloro che fuggivano alla repressione sovietica della fallita rivoluzione anticomunista del 1956. I loro discendenti e parenti hanno ora ottenuto il diritto a rientrare in patria. Il programma è finora rimasto segreto. È stato scoperto solo in seguito a un’inchiesta giornalistica condotta dal quotidiano indipendente ungherese Index. A quanto risulta, finora 350 venezuelani-ungheresi hanno lasciato Caracas per Budapest, con un viaggio pagato dallo Stato ungherese. Altri 750 sarebbero ancora in lista di attesa, candidati per il viaggio della salvezza. I viaggi sono organizzati dall’ambasciata ungherese in Ecuador e dai Cavalieri di Malta.

In Ungheria questa inchiesta ha sollevato non poche polemiche. Si dice che l’accoglienza dei venezuelani abbia poco a che fare con gli ungheresi: quasi nessuno di loro parla la lingua madre, trattandosi di persone nate e cresciute nel paese latino americano. E a quanto pare i controlli sulla loro parentela sono molto laschi: è probabile che vi sia anche gente che con l’Ungheria non c’entri nulla, ma che abbia approfittato dell’aiuto offerto. In compenso tutti coloro che arrivano, oltre al biglietto pagato, hanno anche diritto a un programma di educazione linguistica e di inserimento sociale. I giornali dell’opposizione sollevano il sopracciglio e si chiedono se questo non strida al confronto con la politica del muro e del “no” all’immigrazione dal Medio Oriente e Nord Africa che, più di ogni altra, ha caratterizzato la politica del governo Orban. E che potrebbe costare la sua espulsione dal Partito Popolare Europeo.

Il fatto è che dal Mediterraneo non si sa bene chi arrivi, né quali intenzioni abbia, né se abbia realmente bisogno di aiuto. Anche in Italia, i dati dimostrano che, fra i richiedenti asilo, solo il 5% ottiene lo status di rifugiato. Dal Venezuela, invece, arrivano realmente persone che fuggono dalla fame (nella migliore delle ipotesi) e dalla violenza di regime (nella peggiore). Le stesse storie raccolte da Index mostrano uno spaccato di umanità sofferente, persone derubate di tutto, terrorizzate, al tempo stesso, dalla violenza di strada e dalla polizia, gente a cui il regime ha rubato l’azienda, il lavoro, un futuro. Un’umanità disperata su cui è veramente difficile polemizzare.

L’Italia, piuttosto, cosa ha fatto per la sua enorme comunità in Venezuela? Il governo italiano, uno dei pochi che non ha riconosciuto Guaidó quale legittimo presidente, continua a ostacolare gli italiani che vogliono tornare in patria (come abbiamo documentato qui). Quindi, non solo non stiamo offrendo loro un viaggio di ritorno, ma mettiamo i bastoni fra le ruote, con una burocrazia farraginosa, anche a chi, pur parlando l'italiano e avendo tutte le carte in regola, vorrebbe fuggire a spese sue dall’inferno maduriano per tornare nella terra di origine.