Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
LA PROPOSTA

Quattro motivi contro l'educazione sessuale a scuola

Meglio che l’educazione sessuale rimanga fuori dalle competenze della scuola e sia invece considerata tre competenze specifiche (tra le tante altre) della famiglia. Ci sono quattro motivi perché questa scelta venga attuata: occorre discuterne adesso che il governo sta varando la riforma della scuola.

Educazione 12_01_2015
No all'educazione sessuale a scuola

Nel suo fervore impotente, il nostro premier ha detto che in febbraio, dopo aver superato gli scogli della legge elettorale, della riforma costituzionale, dell’elezione del presidente della Repubblica, dei marò, della sicurezza del Paese e di altre cosette di questo tipo, metterà mano alla misteriosa riforma della scuola, che sarebbe la vera cosa seria, se fosse seria. Molte sarebbero le cose da dire e scrivere in proposito, cosa che abbiamo fatto, superando le ingenti difficoltà tecniche create dai meccanismi dell’indagine popolare, come associazione Nonni2.0: qui vorrei focalizzare l’attenzione su di un aspetto che potrebbe sembrare particolare, ma che in realtà implica una grande opzione culturale che, purtroppo, oggi trova grandi resistenze.

In parole povere ed essenziali, ritengo che l’educazione sessuale debba rimanere fuori dalle competenze della scuola e rimanere tra le competenze specifiche (tra le tante altre) della famiglia. Provo a elencare alcuni dei motivi a sostegno di questa tesi, che mi sembra di molto buon senso, in un momento in cui tale virtù latita in modo spaventoso.

1) Tutto ciò che attiene alla sfera sessuale riguarda la parte più intima di ogni persona umana e questa intimità deve essere rispettata con ogni mezzo. Fare dell’educazione sessuale una materia scolastica significherebbe entrare con indelicatezza e, talora, con violenza in un ambito che non trova gli studenti tutti maturati allo stesso modo per affrontare un tema così delicato. Sulle questioni intime, un conto è parlarne a tu per tu, un conto è parlarne di fronte a 20 o 30 persone. In famiglia questa intimità viene meglio rispettata, perché i genitori conoscono bene il grado di maturazione dei propri singoli figli e quindi sanno quando e come affrontare certi temi. La conoscenza sessuale non può non avvenire per gradi, secondo l’evoluzione di ogni giovane: ciò non potrebbe, per forza di cose, avvenire nella scuola. Quanto qui detto vale in ogni caso, anche se gli insegnanti fossero i migliori del mondo, perché si tratta di un problema oggettivo, non soggettivo.

2) Quanto scritto al punto precedente vale tanto più oggi. Dato lo stato semi anarchico in cui si svolge la vita scolastica, è noto che riescono ad entrare nella scuola gruppi di “educatori” che, con la scusa di predicare contro l’emarginazione, di fatto svolgono una educazione sessuale a senso unico, che è poco definire violenta. Si sono verificati casi in cui, fatti uscire dalla classe gli insegnanti ordinari (i quali dovrebbero rifiutarsi di farlo), parlano di masturbazione a bambini di 4-6 anni, affermano nelle classi delle medie che i rapporti orali e anali sono normali, dicono a ragazzine delle medie di non dire ai genitori se rimangono incinte, perché sarà il giudice a decidere circa l’aborto. Sono esempi non rari, che confermano come sia meglio per l’intera società che l’educazione sessuale rimanga in capo alla famiglia.

3) Si parla tanto, a proposito ed a sproposito, di privacy: ecco, se l’educazione sessuale diventasse una materia scolastica, la privacy sarebbe clamorosamente e per forza violata, perché sarebbe materialmente impossibile evitare tale violazione in un gruppo di 20/30 persone, soprattutto se giovani.

4) L’educazione sessuale non può essere assimilata ad altre materie scolastiche. Un conto è illustrare le leggi fisiche o matematiche, un conto è affrontare tematiche che sconfinano necessariamente in questioni di carattere morale e di senso della vita, che, ancora una volta, riguardano la tradizione famigliare e sulla quale uno Stato democratico non deve intervenire. Solo le dittature entrano nelle convinzioni intime delle singole persone.

Immagino già una possibile obiezione all’ipotesi qui prospettata: la famiglia non è in grado (e talora non vuole) di svolgere tale compito educativo. Respingerei subito tale critica, dicendo che, semmai, lo Stato e la società devono aiutare la famiglia a svolgere tale compito, ma non devono sottrarglielo. Anche in questo caso, occorrerebbe attuare il principio di sussidiarietà, di cui si parla invano. Aiutiamo la famiglia a svolgere i compiti ad essa assegnati dagli art. 29 e seguenti della Costituzione “più bella del mondo”, senza sostituirsi ad essa. Anche sotto questo profilo sarebbe un grande avanzamento democratico.