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MALI

Quando l'Occidente non riconosce i suoi nemici

Il Malì potrebbe trasformarsi in un nuovo Afghanistan e l’interventismo transalpino potrebbe scatenare una nuova ondata di terrorismo islamista contro la Francia. Ma l'Europa (così come l'America di Obama) preferisce stare a guardare.

Articoli tematici 15_01_2013
Malì, esercito in addestramento

In un articolo pubblicato l’8 gennaio La Nuova Bussola Quotidiana aveva sottolineato il rischio che le mille esitazioni e le aspettative (malriposte) sui negoziati coi jihadisti che nel marzo scorso avevano occupato il nord del Malì non facessero altro che aiutare gli islamisti a consolidare le loro posizioni. L’articolo, dal titolo purtroppo rivelatosi profetico “Così si consegna l'Africa ai jihadisti” si concludeva con la notizia delle colonne dei miliziani di al-Qaeda nel Magheb, Ansar Dine e Mujao segnalate in partenza verso sud.

L’intervento militare francese sviluppatosi a partire dal 10 e 11 gennaio non ha rappresentato l’inizio delle attese operazioni di riconquista della regione settentrionale dell’Azawad, ma solo il tentativo di bloccare l’offensiva dei salafiti verso la capitale Bamako e tesa a conquistare tutto il Malì. Un’operazione difensiva quindi, pianificata da Parigi in tempi brevissimi coinvolgendo inizialmente le forze schierate in Ciad e Burkina Faso più tardi raggiunte da truppe e velivoli provenienti dalla Francia fino a raggiungere una consistenza che nei prossimi giorni raggiungerà i 2.500 militari con 10 cacciabombardieri Mirage e Rafale e due dozzine di elicotteri.
I limiti di questa operazione sono ben rappresentati dalle scarse forze messe inizialmente in campo (appena 600 militari) rivelatesi subito insufficienti di fronte all’aggressività e alla preparazione bellica dei miliziani e all’ampio fronte della loro offensiva in un territorio più esteso della Francia.

L’intervento di Parigi offre molte opportunità e comporta molti rischi. Questi ultimi sono ben evidenti: il Malì potrebbe trasformarsi in un nuovo Afghanistan e l’interventismo transalpino potrebbe scatenare una nuova ondata di terrorismo islamista contro la Francia e i suoi residenti all’estero.
Le opportunità sono invece costituite dall’occasione di raccogliere un ampio ventaglio di forze occidentali e africane per respingere l’attacco verso Bamako dei jihadisti e poi avviare le operazioni di riconquista dell’Azawad contando anche sul supporto dei gruppi tuareg laici definitisi pronti a collaborare con la Francia contro i terroristi.

Per dare vita a uno sforzo del genere occorrono però impegni precisi e credibili al fianco dei francesi che nessuno in Occidente sembra voler assumere. Gli Stati Uniti continuano a fornire informazioni d’intelligence ai francesi, ma si tengono “dietro le quinte” come vuole l’ormai consolidata “dottrina Obama”.
L’Unione europea non sembra voler perdere anche questa occasione per dimostrare la sua inconsistenza di fronte alle crisi internazionali.
Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, è convinto che sia "urgente fermare i terroristi" e "i gruppi ribelli", ma auspica evidentemente che a farlo siano altri. La Ue infatti metterà a disposizione della campagna militare solo 250 istruttori per l'esercito del Malì affiancati da altri 250 militari necessari al supporto logistico e alla protezione degli istruttori. Un contributo misero se si valuta che il consolidamento dei jihadisti in Sahel e Nordafrica rappresenta una pistola puntata contro l’Europa e i suoi interessi.

L’idea che tocchi ai francesi gestire la patata bollente del Malì sembra piacere a tutti i partner europei a giudicare dai limitati contributi messi in campo rappresentati per lo più da aerei da trasporto e comunque da forze non da combattimento.
Al di là delle limitazioni operative resta poi sulle spalle dell’Occidente l’imperativa necessità di definire una strategia coerente nei confronti del mondo arabo e islamico.
La guerra di oggi in Malì è figlia del conflitto scatenato ieri, in primo luogo dai francesi e poi dalla Nato, contro Muammar Gheddafi che da anni era un baluardo (certo non democratico) contro l’estremismo islamico.

In tutto il Medio Oriente abbiamo favorito “rivoluzioni” che hanno sostituito regimi laici filo-occidentali con regimi islamisti altrettanto antidemocratici, ma anti-occidentali, mentre in Siria combattiamo Bashar Assad “al fianco” di salafiti e qaedisti. In questo senso la guerra del Malì potrebbe ricoprire un ruolo positivo se riuscisse a svegliare un Occidente smarrito che ha perso di vista i suoi interessi e non riconosce più i suoi nemici.