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OMOFOBIA

Quale giustizia per Marco e Stefano

Marco e Stefano. Due adolescenti che si sono tolti la vita da poco. Ma non tutto si spiega con il bullismo e l'omosessualità derisa. Faziosità e interessi devono essere messi da parte di fronte ai drammi di questi ragazzi.

Cronaca 29_08_2013
bullismo

Anche Stefano qualche giorno fa, in un piccolo comune emiliano, ci ha lasciati, come Marco qualche settimana prima. La notizia di Stefano però non ha valicato i confini della provincia; il dolore è rimasto quasi privato, senza clamore. Eppure trattasi di due suicidi. La cosa merita un’attenta riflessione scevra da elementi propri degli Scalfarotto di turno, sempre pronti alla stessa, efficacissima operazione mediatica: l’individuazione di una causa esterna, magari di un colpevole potenziale del suicidio di un adolescente.

Addirittura può capitare ai terapeuti, agli specialisti, di non capire bene, di non comprendere appieno, ma non ai giornalisti o ai politici. Loro no, hanno già tutto chiaro in mente, solo certezze: Marco è vittima di bullismo, deriso perché omosessuale. E Stefano? Intanto parte la campagna di comunicazione, aggressiva, tambureggiante, attraverso cui magari riuscire ad approvare una legge che magicamente dovrebbe placare il dolore dei parenti delle vittime. Giustizia è fatta e verità pure. Tranne poi scoprire che le cose non stanno esattamente così, che sarebbe invece opportuno analizzare meglio il caso specifico prima di iniziare battaglie contro nemici invisibili o forse inesistenti.

Prima ancora di sottolineare gli stress esistenziali che generalmente precedono il suicidio (insuccessi, handicap fisici, eventi di perdita/morte/separazione), a qualcuno è forse venuta in mente l’eventualità che Marco, Stefano e gli altri abbiano sofferto di disturbi psicopatologici come i disturbi della personalità, la depressione o l’uso di sostanze psicoattive? Il depresso “si sente giù”, triste, costantemente preoccupato, confuso, irritabile, sviluppa in genere fobie e spesso anche veri e propri problemi fisici.

Dal mio osservatorio privilegiato di neuropsichiatra infantile mi sembra di vedere molto di quanto su descritto in Marco e Stefano. La depressione è infatti malattia non solo degli adulti, ma può manifestarsi anche negli adolescenti o addirittura nei bambini. Sembrano discorsi clinici, in realtà dovrebbero interessare le istituzioni e la scuola visto che la percentuale di suicidio è triplicata negli ultimi 30 anni attestandosi come seconda causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 19 anni.

Questa è la verità dei tanti Marco e Stefano. Marco vale molto di più di uno spot per la legge sull’omofobia. Del resto come si può pensare che nel maremoto della crescita di un adolescente l’identità sessuale sia già definita? A meno che non si voglia per forza affermare l’omosessualità come un dato naturale, come una delle opzioni possibili previste in natura: incardinando le disposizioni contro l’omofobia nella Legge Mancino-Reale, parificando l’omofobia al razzismo, si pone l’omosessualità sullo stesso piano di un dato naturale.

Ergo, la legge sull’omofobia andrà a colpire la pretesa di affermare che l’omosessualità non è nella natura dell’uomo. Così ogni problematica e sofferenza dell'omosessuale è attribuita o ad un'omofobia sociale o ad un'omofobia interiorizzata. In questa ottica, un rapporto scadente tra padre e figlio dipende dall'atteggiamento omofobico del padre che si sente minacciato dall'effeminatezza del figlio; oppure l'isolamento del ragazzo dai suoi coetanei è da ascrivere ad una omofobia interiorizzata, cosi come l'alienazione dell'omosessuale adulto dalla famiglia e dalla società. In pratica è tutta colpa della società omofoba.

Finché la faziosità e gli interessi di parte muoveranno simili battaglie le vite di Marco, Stefano e altri andranno perse invano. Per organizzare una risposta concreta, coinvolgendo scuole, istituzioni, servizi sanitari e sociali, non serve sventolare bandiere, basta avere le foto dei nostri figli davanti agli occhi.